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 ( L'EDITORIALE ) Cinque anni dopo Barcellona 
 Evidentemente, se c'è necessità di "rivitalizzarlo", implicitamente si ammette che il processo si trova incagliato fra gli scogli di questo mare ancora in subbuglio. In realtà, il bilancio di questo primo quinquennio non può 
          considerarsi entusiasmante, anzi molti osservatori e specialisti lo 
          considerano "deludente in tutti i campi"  
          (1) D'altra parte, si doveva sapere che la strada imboccata a Barcellona 
          non era di agevole percorso. Già a quel tempo, molti problemi furono 
          evidenziati, ma il clamore celebrativo, orchestrato intorno a quell'avvenimento, 
          spense le rari voci (fra queste noi) che tentarono di mettere in luce 
          le incongruenze d'impostazione, possiamo dire progettuali (ad esempio, 
          l'eccessiva preponderanza della componente mercantilistica)  
          e il velleitarismo di alcuni obiettivi poco commisurati rispetto 
          alla realtà politica, socio-economica e culturale dei 12 Paesi Terzi 
          Mediterranei (PTM). Per non dire della principale "questione politica", costituita 
          dal pluridecennale conflitto fra arabi e israeliani, che si pensò semplicisticamente 
          di eludere, delegando all'Amministrazione USA la ricerca di una soluzione 
          negoziata. Da Oslo ad oggi, sono passati 7 anni e non si è risolto un 
          bel nulla: la rivolta divampa nei Territori col suo tragico carico di 
          giovani vite umane spezzate che non fanno altro che accrescere la montagna 
          di odio fra popoli che dovrebbero convivere, praticamente sullo stesso 
          territorio. La questione palestinese, dunque, ritorna e non sembra che 
          la strada imboccata possa portare, entro tempi brevi, ad una soluzione 
          politica equa e duratura per tutta la regione. Questa situazione peserà come un macigno sul tavolo di Marsiglia. 
          Sarà già un buon risultato l'arrivo di tutti gli invitati, tuttavia 
          appare molto improbabile l'approvazione della proposta di "Carta per 
          la pace e la stabilità nel Mediterraneo" che dovrebbe costituire lo 
          strumento chiave per dare senso e valore al primo canestro di Barcellona, 
          mirante a creare nel Mediterraneo uno spazio comune di pace, di stabilità, 
          di democrazia e di diritti umani e politici. Così come sarà difficile sciogliere il nodo della partecipazione 
          della Libia, la quale - pare - abbia presentato una richiesta formale 
          di adesione, successivamente ritirata giacchè ritenuta non pienamente 
          rispondente agli acquis di Barcellona. Anche su questo punto l'opinione 
          pubblica ha il diritto di conoscere la natura e le eventuali ragioni 
          della "ritrosia" libica ad accettare le condizioni contenute nella Dichiarazione 
          del 1995. Dal versante balcanico, specie oggi dopo la caduta del regime 
          di Milosevic, si ripropone il ruolo dei Paesi rivieraschi dell'Adriatico 
          nel sistema del partenariato euro-mediterraneo. Si tratta di paesi, 
          a tutti gli effetti mediterranei, ormai quasi tutti usciti da una drammatica 
          fase di transizione, che sempre più graviteranno nell'area mediterranea, 
          ai quali non si potrà continuare a negare la possibilità di partecipare 
          ad uno sforzo comune di pacificazione, in una prospettiva di sicurezza 
          e di prosperità condivise.                       
           Se il contesto politico resta segnato da questi ed altri 
          aspetti irrisolti, non meno problematico appare il quadro programmatico 
          ed operativo. Al centro delle discussioni di Marsiglia sarà l'ammontare 
          della dotazione finanziaria del MEDA 2 (a quanto si dice, di poco superiore, 
          in valori reali, della precedente) per la copertura del periodo 2000-2006, 
          e la bozza di nuovo regolamento, (il cui testo è stato approvato, nei 
          giorni scorsi, dal Consiglio per gli affari generali) con il quale si 
          pensa d'imprimere un nuovo impulso ai meccanismi procedurali del partenariato, 
          per recuperare il ritardo accumulatosi ed evitare lungaggini e sprechi 
          di risorse. Sotto accusa sono in particolare la qualità e capacità di 
          spesa (al di sotto del 30% dei fondi impegnati) e il grado di coinvolgimento 
          dei partners del Sud. In ordine a quest'ultimo aspetto, la responsabilità 
          non è imputabile soltanto alla parte europea, ma anche ai Dodici che 
          dovrebbero trovare idonee forme di consultazione per non continuare 
          a presentarsi al tavolo negoziale in ordine sparso, ciascuno portatore 
          di propri interessi nazionali. Siamo di fronte a una situazione di sostanziale impasse rilevata, 
          a più riprese, da voci anche autorevoli. Recentemente, perfino il ministro 
          degli esteri francese, Hubert Vedrine, che presiederà la conferenza 
          di Marsiglia, ha parlato di insufficienze evidenti e di vere lacune: 
          "penso al settore politico certamente, nel quale le cose avanzano lentamente; 
          al programma MEDA, il cui funzionamento lascia a desiderare e deve essere 
          rivisto, anche al modesto numero di accordi di associazione in vigore 
          (tre solamente) ." (2) Infine, uno sguardo veloce alle riforme che attendono di 
          essere varate per delineare una prospettiva di crescita democratica 
          effettiva, di pluralismo, di trasparenza amministrativa e di pieno rispetto 
          dei diritti umani, sociali e politici, in tutta l'area del Mediterraneo. In questo campo non c'è solo ritardo, ma si configura una 
          sorta di "aggiramento" dei problemi, e degli obblighi contratti a Barcellona. 
          Bisogna essere chiari: a parte qualche timido segnale di facciata, le 
          riforme politiche non vanno avanti nei paesi contraenti del Sud, perché 
          le leadership non sono ancora convinte della necessità di un'apertura 
          democratica verso la società civile. Si fa pochissimo, e per giunta 
          non in direzione della domanda interna di democrazia e di libertà, ma 
          soltanto per tenere buoni "quelli di Bruxelles" che tengono il cordone 
          della borsa. A Marsiglia e altrove, bisogna riaffermare l'universalità 
          di questi valori, per altro sanciti dalla Carta dell'ONU, il cui pieno 
          rispetto non può essere monetizzato, ma garantito secondo tempi e modalità 
          appropriate. Oltre alla dimensione politico-diplomatica, c'è quella della 
          cosiddetta "società civile" che dovrà far sentire di più e meglio il 
          suo peso in questo processo. Più che alla rituale kermesse, a margine 
          della Conferenza ministeriale di turno, penso ad un'azione di sensibilizzazione 
          e di mobilitazione più ampia e permanente, a scala euro-mediterranea, 
          perché siano i popoli del Mediterraneo, finalmente usciti dal secolare 
          letargo, a riappropriarsi del loro comune destino. 1)      Jean-Paul Chagnollaud in "Confluences-Méditerranée", n. 
          35, autunno 2000; 2)      Hubert Vedrine, intervista a "Confluences-Méditerranèe", 
          op.cit. ( torna su )  | 
     
      
       Numero 8 - ottobre 2000 
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