( L'EDITORIALE ) Cinque anni dopo Barcellona Dopo
Barcellona, Malta, Stuttgart, la Conferenza dei ministri degli Affari
esteri dei 27 Paesi del partenariato euro-mediterraneo si riunirà a
Marsiglia, il 15 e il 16 novembre 2000, per fare il punto sullo stato
di avanzamento del complesso sistema di relazioni avviato nel 1995,
per valutare i ritardi e le difficoltà presenti e, soprattutto, per
"rivitalizzare il processo di Barcellona", come sollecitato dalla Commissione
europea, con un documento specifico del maggio scorso. Evidentemente, se c'è necessità di "rivitalizzarlo", implicitamente si ammette che il processo si trova incagliato fra gli scogli di questo mare ancora in subbuglio. In realtà, il bilancio di questo primo quinquennio non può
considerarsi entusiasmante, anzi molti osservatori e specialisti lo
considerano "deludente in tutti i campi"
(1) D'altra parte, si doveva sapere che la strada imboccata a Barcellona
non era di agevole percorso. Già a quel tempo, molti problemi furono
evidenziati, ma il clamore celebrativo, orchestrato intorno a quell'avvenimento,
spense le rari voci (fra queste noi) che tentarono di mettere in luce
le incongruenze d'impostazione, possiamo dire progettuali (ad esempio,
l'eccessiva preponderanza della componente mercantilistica)
e il velleitarismo di alcuni obiettivi poco commisurati rispetto
alla realtà politica, socio-economica e culturale dei 12 Paesi Terzi
Mediterranei (PTM). Per non dire della principale "questione politica", costituita
dal pluridecennale conflitto fra arabi e israeliani, che si pensò semplicisticamente
di eludere, delegando all'Amministrazione USA la ricerca di una soluzione
negoziata. Da Oslo ad oggi, sono passati 7 anni e non si è risolto un
bel nulla: la rivolta divampa nei Territori col suo tragico carico di
giovani vite umane spezzate che non fanno altro che accrescere la montagna
di odio fra popoli che dovrebbero convivere, praticamente sullo stesso
territorio. La questione palestinese, dunque, ritorna e non sembra che
la strada imboccata possa portare, entro tempi brevi, ad una soluzione
politica equa e duratura per tutta la regione. Questa situazione peserà come un macigno sul tavolo di Marsiglia.
Sarà già un buon risultato l'arrivo di tutti gli invitati, tuttavia
appare molto improbabile l'approvazione della proposta di "Carta per
la pace e la stabilità nel Mediterraneo" che dovrebbe costituire lo
strumento chiave per dare senso e valore al primo canestro di Barcellona,
mirante a creare nel Mediterraneo uno spazio comune di pace, di stabilità,
di democrazia e di diritti umani e politici. Così come sarà difficile sciogliere il nodo della partecipazione
della Libia, la quale - pare - abbia presentato una richiesta formale
di adesione, successivamente ritirata giacchè ritenuta non pienamente
rispondente agli acquis di Barcellona. Anche su questo punto l'opinione
pubblica ha il diritto di conoscere la natura e le eventuali ragioni
della "ritrosia" libica ad accettare le condizioni contenute nella Dichiarazione
del 1995. Dal versante balcanico, specie oggi dopo la caduta del regime
di Milosevic, si ripropone il ruolo dei Paesi rivieraschi dell'Adriatico
nel sistema del partenariato euro-mediterraneo. Si tratta di paesi,
a tutti gli effetti mediterranei, ormai quasi tutti usciti da una drammatica
fase di transizione, che sempre più graviteranno nell'area mediterranea,
ai quali non si potrà continuare a negare la possibilità di partecipare
ad uno sforzo comune di pacificazione, in una prospettiva di sicurezza
e di prosperità condivise.
Se il contesto politico resta segnato da questi ed altri
aspetti irrisolti, non meno problematico appare il quadro programmatico
ed operativo. Al centro delle discussioni di Marsiglia sarà l'ammontare
della dotazione finanziaria del MEDA 2 (a quanto si dice, di poco superiore,
in valori reali, della precedente) per la copertura del periodo 2000-2006,
e la bozza di nuovo regolamento, (il cui testo è stato approvato, nei
giorni scorsi, dal Consiglio per gli affari generali) con il quale si
pensa d'imprimere un nuovo impulso ai meccanismi procedurali del partenariato,
per recuperare il ritardo accumulatosi ed evitare lungaggini e sprechi
di risorse. Sotto accusa sono in particolare la qualità e capacità di
spesa (al di sotto del 30% dei fondi impegnati) e il grado di coinvolgimento
dei partners del Sud. In ordine a quest'ultimo aspetto, la responsabilità
non è imputabile soltanto alla parte europea, ma anche ai Dodici che
dovrebbero trovare idonee forme di consultazione per non continuare
a presentarsi al tavolo negoziale in ordine sparso, ciascuno portatore
di propri interessi nazionali. Siamo di fronte a una situazione di sostanziale impasse rilevata,
a più riprese, da voci anche autorevoli. Recentemente, perfino il ministro
degli esteri francese, Hubert Vedrine, che presiederà la conferenza
di Marsiglia, ha parlato di insufficienze evidenti e di vere lacune:
"penso al settore politico certamente, nel quale le cose avanzano lentamente;
al programma MEDA, il cui funzionamento lascia a desiderare e deve essere
rivisto, anche al modesto numero di accordi di associazione in vigore
(tre solamente) ." (2) Infine, uno sguardo veloce alle riforme che attendono di
essere varate per delineare una prospettiva di crescita democratica
effettiva, di pluralismo, di trasparenza amministrativa e di pieno rispetto
dei diritti umani, sociali e politici, in tutta l'area del Mediterraneo. In questo campo non c'è solo ritardo, ma si configura una
sorta di "aggiramento" dei problemi, e degli obblighi contratti a Barcellona.
Bisogna essere chiari: a parte qualche timido segnale di facciata, le
riforme politiche non vanno avanti nei paesi contraenti del Sud, perché
le leadership non sono ancora convinte della necessità di un'apertura
democratica verso la società civile. Si fa pochissimo, e per giunta
non in direzione della domanda interna di democrazia e di libertà, ma
soltanto per tenere buoni "quelli di Bruxelles" che tengono il cordone
della borsa. A Marsiglia e altrove, bisogna riaffermare l'universalità
di questi valori, per altro sanciti dalla Carta dell'ONU, il cui pieno
rispetto non può essere monetizzato, ma garantito secondo tempi e modalità
appropriate. Oltre alla dimensione politico-diplomatica, c'è quella della
cosiddetta "società civile" che dovrà far sentire di più e meglio il
suo peso in questo processo. Più che alla rituale kermesse, a margine
della Conferenza ministeriale di turno, penso ad un'azione di sensibilizzazione
e di mobilitazione più ampia e permanente, a scala euro-mediterranea,
perché siano i popoli del Mediterraneo, finalmente usciti dal secolare
letargo, a riappropriarsi del loro comune destino. 1) Jean-Paul Chagnollaud in "Confluences-Méditerranée", n.
35, autunno 2000; 2) Hubert Vedrine, intervista a "Confluences-Méditerranèe",
op.cit. ( torna su ) |
Numero 8 - ottobre 2000
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