LA GUERRA
PER L'ACQUA IN MEDIO ORIENTE IL CASO DEL BACINO DEL TIGRI - EUFRATE Dott.
Carmine Gianluca ANSALONE
1.
INTRODUZIONE La regione
comunemente individuata come MENA (Middle
East - North Africa) è senza dubbio una delle più aride al mondo,
dove, in oltre 5000 anni di storia, l'acqua è stata spesso oggetto di
guerre e conflitti più o meno localizzati. Il controllo, l'impiego e la
ripartizione delle risorse idriche continuano a scatenare ancora oggi
tensioni tra gli Stati e tra le popolazioni di quell'area. Tassi di
crescita demografica vicini al 3% annuo, uno sviluppo economico che stenta
a decollare, investimenti stranieri che ristagnano da tempo a causa delle
tensioni etniche, politiche e religiose, stanno determinando una competizione
crescente tra i governi della regione per accaparrarsi le limitate risorse
idriche dei tre bacini fluviali più estesi (il Nilo, il Giordano e il
Tigri - Eufrate). Un capitolo
emergente dei cosiddetti "security
studies" che ha per oggetto di analisi la sicurezza ambientale ("environmental security"), sta cercando
di diffondere la consapevolezza nelle opinioni pubbliche internazionali
dei pericoli legati ai potenziali conflitti per l'acqua. E' opinione diffusa
tra questi studiosi che esistano fondamenti e variabili oggettive per
poter asserire con un buon grado di ragionevolezza l'imminente esplosione
di violenze interstatali per il controllo dell'acqua: tali variabili sono,
ad esempio, il livello di scarsità delle risorse idriche, l'effettivo
grado di condivisione tra due o più Paesi di uno stesso bacino idrico,
il potere relativo di questi Stati, l'accesso a fonti idriche alternative. 2.
IL BACINO
DEL TIGRI - EUFRATE La guerra
per il controllo del bacino del Tigri - Eufrate, che da ormai 40 anni
vede coinvolti la Turchia, la Siria e l'Iraq, è considerata come una delle
più rilevanti "guerre silenziose" mai combattute, che rischia però oggi
di conoscere una deflagrazione dirompente. E' importante chiarire da subito
che ogni conflitto, potenziale o in corso, legato alle risorse idriche,
non può essere astratto rispetto alla cornice politica, culturale ed economica
in cui si sviluppa: ne è un esempio il fatto che, tra i punti essenziali
di un possibile, futuro accordo tra Israeliani e Palestinesi, ci dovrà
necessariamente essere un agreement
sulla ripartizione e sulla sovranità dei bacini idrici superficiali o
sotterranei del West Bank e di Gaza. E, non a caso, il problema del controllo
delle sorgenti d'acqua è stato finora "eluso" o rimandato, così come lo
status di Gerusalemme e la questione delicata dei profughi Palestinesi. Il fiume
Eufrate ha origine dalla confluenza di due corsi minori, il Karasu e il
Murat, la cui sorgente è localizzata sulle vette delle montagne del sud
- est della Turchia. Durante il suo percorso, il fiume riceve solo sporadici
e trascurabili contributi dagli affluenti siriani (l'Eufrate percorre
la Siria per 657 km) o iracheni (il territorio iracheno è attraversatoper
1.200 km). L'Eufrate ha una portata di circa 32.5 bcm2 (bilioni di cm
quadri), ma è al contempo il fiume più lungo della regione (2.700 km). Il Tigri
ha origine dal Lago Hazer (ancora in Turchia) e segna il confine naturale
tra la Turchia e la Siria per poi scorrere in Iraq. I suoi affluenti principali
sono il Botan, il Batmansu, il Karpansu e il Grande Zap (o Zap Maggiore)
che nascono in Turchia, e il Diyala e lo Zap Minore che nascono in Iran.
A differenza del suo corso gemello, il Tigri riceve quindi un sostanziale
contributo idrico dall'Iraq: di conseguenza, l'offerta d'acqua di cui
può disporre Baghdad dal Tigri è molto meno sensibile alle alterazioni
di corso operate dalla Turchia di quanto non accada per l'Eufrate. L'Iraq
ha dimostrato anche di avere gli strumenti tecnici per sfruttare e impiegare
le risorse del Tigri, costruendo negli ultimi 20 anni canali artificiali,
dighe, sbarramenti, in buona parte però distrutti dai bombardamenti alleati
nel corso della Guerra del Golfo del 1990-91. Entrambi i fiumi, però,
sono soggetti a significative variazioni stagionali nella portata, a causa
della irregolarità delle piogge e delle nevi. 3.
LA GESTIONE
E LO SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE IDRICHE NEL BACINO DEL TIGRI - EUFRATE A) Fino al 1970: lo sfruttamento delle risorse
idriche del Tigri e dell'Eufrate è stato spesso oggetto di contenziosi
militari e diplomatici già a partire dalla dissoluzione dell'Impero Ottomano
e dalla fine di quell'unità politica che, fino a quel momento, aveva sopito
ogni potenziale conflitto nell'area. In ogni caso, almeno fino agli anni
'70, non si erano avuti grossi motivi di tensione trai tre Paesi rivieraschi
(Turchia, Siria e Iraq). In particolare, l'Iraq, in qualità di rivierasco
di corso inferiore sfruttava intensamente l'acqua dei due fiumi, mentre
la Turchia e la Siria, nella loro posizione di rivieraschi di corso superiore,
facevano scarso affidamento sui corsi tortuosi e incostanti del Tigri
e dell'Eufrate, in attesa di trovare soluzioni tecniche adeguate per controllarne
il flusso. Il governo di Baghdad promosse programmi di irrigazione su
larga scala già a partire dalla fine del XIX secolo, quando una serie
di canali e condutture (alcune risalenti al periodo babilonese) vennero
puliti e rimessi in opera. Proprio alla vigilia della I Guerra Mondiale,
quando l'Iraq era ancora parte integrante dell'Impero Ottomano, venne
costruita una prima diga a Hindiya; altri progetti analoghi seguirono,
tanto sul corso del Tigri quanto su quello dell'Eufrate (a Ramadi). All'indomani
del Primo conflitto mondiale, la diplomazia si mise all'opera per cercare
di definire, in maniera inequivocabile, i diritti legittimi dei tre rivieraschi
sul corso dei due fiumi. In questo senso, tre documenti costituiscono
dei riferimenti giuridici essenziali: il Trattato di Ankara del 1921 (che
formalizzava il confine tra Turchia e Siria), il Trattato di Losanna del
1923, che dava vita alla Turchia in quanto entità statale sovrana, e il
Trattato di Amicizia e Buon Vicinato tra Turchia e Iraq del 1946. Questi accordi
funzionarono nella misura in cui, per una decina di anni, lo sfruttamento
delle risorse idriche si mantenne su livelli minimi e quindi accettabili
per tutti e tre i rivieraschi. I veri problemi iniziarono quando la Turchia
e la Siria dettero il via, negli anni '60 a progetti governativi di breve
- medio periodo per lo sfruttamento intensivo delle acque dell'Eufrate
a scopi di irrigazione e di generazione elettrica. Grazie ai finanziamenti
degli Organismi Intergovernativi (in
primis la Banca Mondiale), la Turchia iniziò la costruzione della
diga Keban sull'Eufrate nel 1974.
Da parte sua, la BM si fece portavoce delle inquietudini dei governi
occidentali che avevano finanziato il progetto, chiedendo ad Ankara assicurazioni
sulla posizione di Siria e Iraq. La Turchia si impegnò ad avviare al più
presto negoziati diplomatici ed incontri di esperti con gli altri due
rivieraschi (cosa che avvenne tra il 1972 e il 1973). Sulla base di queste
confortanti dichiarazioni, la BM concesse un'ulteriore elargizione che
consentì ad Ankara di avviare i lavori per la seconda, maestosa diga di
Karakaya (1976). B) Gli anni delle crisi: nel 1968,
la Siria cominciò i lavori della diga Tabqa (poi rinominata "Al-Thawra",
in arabo rivoluzione) sull'Eufrate, con il supporto tecnico e finanziario
dell'Unione Sovietica. Tanto quest'ultima diga quanto lo sbarramento di
Keban vennero ultimate nel 1975, al termine di una stagione particolarmente
secca, rendendo così difficoltoso e potenzialmente conflittuale l'impiego
simultaneo dei due bacini artificiali. L'Iraq accusò la Siria di aver
ridotto il corso dell'Eufrate a livelli insostenibili per il Paese, mentre
Damasco a sua volta incolpò il vicino turco. La penuria d'acqua condusse
la Siria e l'Iraq sull'orlo di un conflitto armato: nel 1974 Baghdad ammassò
truppe al confine, minacciando di bombardare la diga Al-Thawra. La situazione
migliorò lentamente grazie alla mediazione di URSS e Arabia Saudita, che
intimarono al governo di Damasco di rilasciare più acqua in modo da garantire
un portata sufficiente nel corso dell'Eufrate. Sulla base di un accordo
concluso nel 1975 (e mai reso pubblico), Damasco avrebbe trattenuto solo
il 40% delle acqua del fiume per i propri bisogni e, di conseguenza, avrebbe
girato il restante 60% all'Iraq. Consapevole della situazione potenzialmente
dirompente, nel momento esatto in cui si apprestava a porre le fondamenta
della diga Karakaya, il governo di Ankara si precipitò a siglare un accordo
con i suoi due vicini che garantiva una portata costante nel corso dell'Eufrate
pari a 500 m3/s (metri cubi al secondo). La diga Karakaya entrò in funzione
nel 1987, appena quattro anni dopo l'inizio della faraonica diga Ataturk,
sbarramento artificiale ancora oggi insuperato per capacità e per dimensioni.
Venne quindi
a crearsi una sorta di circolo perverso in base al quale ogni minimo progetto
attuato dai rivieraschi di corso superiore diventava un incubo per quelli
di corso inferiore. C)
Il Progetto
GAP: progressivamente divenne chiaro che tutti i progetti idrici
sviluppati dal governo di Ankara negli anni '70 e '80 (le dighe Keban,
Karakaya, Ataturk.) erano in realtà tasselli di un unico grande mosaico,
capolavoro dell'ingegneria idraulica: il cosiddetto GAP (Guneydogu Anadoli Projesi), ovvero Progetto per l'Anatolia del Sud
- Est. L'obiettivo principale della Turchia attraverso questo progetto,
era quello di incrementare la produzione idroelettrica (visto che al tempo
Ankara era costretta ad importare circa il 50% del suo fabbisogno energetico)
ma anche gli schemi di irrigazione. Il progetto
investe un'area complessiva di 75.000 km quadrati, quasi il 9.5% della
superficie totale del Paese. Circa 6 milioni di persone vivono in quell'area,
di cui soltanto il 9% è costituito da Turchi, mentre la parte restante
è composta soprattutto da Curdi e da altre minoranze. A programma terminato,
l'area irrigabile investita passerà dagli attuali 2,9% della superficie
totale a 22,8%. E' stato
stimato che, a progetto GAP ultimato, la produzione elettrica nel Paese
raddoppierà. Sulla base delle dichiarazioni del governo di Ankara, il
GAP è un "progetto di sviluppo regionale il cui obiettivo è di migliorare
il benessere e le condizioni delle popolazioni locali" (in maggioranza
di etnia curda), la loro posizione economica, aumentando la produzione
e abbattendo la disoccupazione (che, in effetti, è la vera piaga nella
regione), arrestando così la massiccia migrazione verso i centri urbani. D) La Seconda Crisi: ovviamente, la Siria e
l'Iraq restano convinti che i programmi turchi comprometteranno irreversibilmente
le rispettive potenzialità di sfruttamento delle risorse idriche. In effetti,
nel 1990, il governo di Ankara annunciò l'interruzione totale per qualche
giorno nel corso dell'Eufrate, necessaria a riempire il bacino artificiale
della neo - avviata diga Ataturk. Damasco e Baghdad si convinsero definitivamente
che la Turchia stava acquisendo, grazie al progetto GAP, un potenziale
di ricatto estremamente elevato. Soltanto dopo un mese di black - out, Ankara ripristinò il flusso
regolare dell'Eufrate. E) I Negoziati: al contempo, gli sforzi diplomatici
e le pressioni internazionali si moltiplicavano. Nel 1980, la Commissione
Mista Turco - Irachena si accordò sulla costituzione di una Commissione
Tecnica Congiunta (JTC) con il compito di considerare possibili soluzioni
tecniche al problema della penuria d'acqua, valutando i margini di una
gestione più razionale delle risorse idriche. Nel 1983 la Siria entrò
a far parte di questa Commissione; ma dopo appena 16 incontri a livello
esclusivamente tecnico (e non politico), i colloqui raggiunsero un punto
morto. Solo alcuni vertici bilaterali si tennero negli anni successivi.
L'esito di uno di questi incontri, nel 1987, fu la firma di due diversi
protocolli d'intesa tra la Turchia e la Siria: nel primo, si sottolineava
la necessità e l'urgenza di una cooperazione economica tra i due paesi
e, in riferimento alle risorse idriche, si ribadiva l'impegno turco a
rilasciare al vicino siriano una quota d'acqua non inferiore ai 500 metri3/sec
dal corso dell'Eufrate; il secondo protocollo aveva un carattere più politico,
ed intimava al governo di Damasco di interrompere qualunque tipo di supporto
alla guerriglia curda. In effetti, la Siria stava addestrando e finanziando
i ribelli del PKK in modo da indurre la Turchia a rilasciare più acqua.
Le minacce incrociate si moltiplicarono da quel momento: nel 1989, l'allora
Primo Ministro turco Turgut Ozal minacciò di chiudere i rubinetti alla
Siria se Damasco non avesse smantellato con la forza i campi di addestramento
allestiti per il combattenti curdi. F) La diffidenza politica: come sarà
ormai chiaro, la questione dello sfruttamento competitivo delle acque
del Tigri - Eufrate è strettamente legata a problemi politici più vasti,
quali il conflitto curdo, la stabilità politica dell'intera regione, la
minaccia irachena, la precaria posizione della Siria che, ora più che
mai, si trova a giocare una vera e propria "partita per l'acqua" su due
tavoli: quello per il bacino del Tigri - Eufrate (che la vede contrapposta
alla Turchia) e quella per il Giordano (che la vede contrapporsi a Israele).
I governanti iracheni e siriani hanno avuto più di una dimostrazione di
quanto l'acqua possa essere usata come deterrente politico dalla Turchia.
Alcune recenti rivelazioni hanno addirittura sottolineato come, all'indomani
dello scoppio della Guerra del Golfo, le Nazioni Unite, e in particolare
la Gran Bretagna, avessero fatto pressioni sul governo di Ankara perché
chiudesse immediatamente i rubinetti, assetando in questo modo Baghdad
e costringendo Saddam Hussein al ritiro immediato dal Kuwait. Il governo
di Ankara si rifiutò, dimostrando che, almeno fino a questo momento, la
Turchia non ha mai voluto usare l'acqua come strumento di lotta politica,
preferendo piuttosto la strategia della deterrenza verso i suoi vicini. G) Lo Stato Attuale: nel 1995 si prospettò la
minaccia di un nuovo dirompente conflitto per l'acqua nel bacino del Tigri
- Eufrate, quando la Turchia chiese ai governi occidentali finanziamenti
per la costruzione di una nuova diga (la diga Birecik sull'Eufrate). Questa
volta, la minaccia turca era talmente concreta che i governi di Damasco
e Baghdad non si limitarono a fare lobbying
contro la Turchia (non solo nella Lega Araba ma anche con i governi europei),
ma addirittura decisero di risanare una ferita ormai aperta da almeno
5 anni: la prospettiva di un accordo politico tra Siria e Iraq divenne
improvvisamente concreta, dopo la pesante frattura prodottasi all'indomani
della Guerra del Golfo, quando Assad si schierò apertamente a favore della
coalizione anti - Saddam. Vero è che
Damasco e Baghdad convengono unicamente su un unico punto (e cioè che
la minaccia rappresentata dal progetto turco GAP è seria e concreta),
ma si tratta di una convergenza che potrebbe comunque dimostrarsi decisiva
per gli equilibri regionali. In effetti, l'accordo politico
- militare concluso tra Israele e Turchia nel 1996 ( e poi perfezionato
nel 1999) dimostra la volontà dei governi mediorientali di trovare a tutti
i costi degli equilibri. Questa alleanza, giudicata dagli esperti come
uno dei fatti politici più importanti negli ultimi 30 anni, potrebbe però
comunque avere implicazioni importanti e positive per la stabilità dell'area,
nella misura in cui Ankara potrebbe pensare seriamente di esportare acqua
non solo verso Tel Aviv (cosa che già fa) ma anche verso altri territori
(in particolare Libano, Cisgiordania e Gaza) dando così il proprio contributo
agli equilibri mediorientale. E' indubbio
che l'issue della gestione congiunta
delle risorse idriche nel bacino del Tigri - Eufrate (ma non solo) resterà
nell'agenda politica internazionale per molti anni. Uno degli ostacoli
principali alla rapida e soddisfacente soluzione del problema risiede
nelle differenti percezioni e atteggiamenti da parte di Turchia, Iraq
e Siria. Questi ultimi due Paesi insistono sulla necessità di concludere
al più presto un accordo a tre sulla gestione congiunta delle risorse
d'acqua, mentre la Turchia è persuasa dell'opportunità di coinvolgere
la Comunità Internazionale, approntando un codice di condotta universale.
Inoltre, Ankara reputa che il Tigri e l'Eufrate debbano essere considerati
come parte integrante di un unico "sistema idrologico integrato", prospettiva
questa corroborata da alcune risoluzioni delle Nazioni Unite. Da parte
sua, il governo turco propone una sorta di "Piano su tre livelli" da attuarsi
nei prossimi anni con la collaborazione di Siria e Iraq: in sostanza,
esso prospetta la possibilità di una distribuzione equa delle risorse
idriche sulla base dei bisogni nazionali effettivi (criterio questo che
in ogni caso favorirebbe la Turchia). Tale "Piano" presuppone una convergenza
di interessi nel lungo periodo, anche se, allo stato attuale, sono al
contrario le tensioni di breve periodo a prevalere e ad inficiare ogni
potenziale tentativo di accordo. Ciò presupporrebbe
innanzitutto un ritorno immediato al lavoro iniziato dalla JTC, che dovrebbe
questa volta concentrarsi sulla raccolta e l'elaborazione di dati idrologici
in modo da stabilire quali siano effettivamente i bisogni di ogni singolo
rivierasco. Ciò potrebbe contribuire a creare un clima di fiducia reciproca
essenziale per giungere poi ad un assetto finale. Da parte sua, la Turchia
dovrebbe evitare di considerarsi un Paese privilegiato: pur potendo contare
infatti su una disponibilità d'acqua estremamente elevata (almeno in rapporto
agli altri Paesi del Medio Oriente), non è detto che, in un futuro non
molto lontano, il governo di Ankara non possa trovarsi a fronteggiare
una crisi idrica potenzialmente devastante per le sorti del Paese, posto
che, ancora oggi, Ankara è uno dei principali esportatori di prodotti
agricoli vero i mercati mediorientali e dell'UE. In particolare, la Turchia
non deve sottovalutare il crescente e preoccupante fenomeno dell'urbanizzazione,
per cui, oltre ad assicurarsi un quantità d'acqua sufficiente per l'irrigazione,
il governo turco dovrebbe anche provvedere a ricostruire completamente
il sistema fognario e di condutture di Istanbul o di Yizmir, per evitare
che la periferia delle grandi città (che si allarga a vista d'occhio)
si trovi presto senz'acqua. Non va neanche
sottovalutata l'importanza che un intervento sovranazionale può avere
in questi casi: in particolare, il lavoro svolto dalla Corte Internazionale
di Giustizia in merito al contenzioso sul Danubio (prodottosi tra Ungheria
e Slovacchia al momento della separazione pacifica tra quest'ultima e
la Repubblica Ceca) si è rivelato di grande impatto e può costituire un
precedente per la risoluzione delle controversie legate allo sfruttamento
congiunto dei bacini idrici. Oggi è chiaro
come, se da un lato la UE sta facendo pressioni crescenti su Ankara, condizionando
la sua adesione all'Unione ad un miglioramento nella tutela dei diritti
umani, anche la Turchia cerca di non forzare i tempi, ben sapendo dell'esistenza
di norme comunitarie che impongono limiti allo sfruttamento delle risorse
idriche da impiegare in agricoltura: mutatis mutandis, si ripropone oggi la stessa situazione che vide
coinvolta la Spagna di Francisco Franco 30 anni fa, quando Madrid decise
più volte di posticipare l'adesione all'allora CEE per poter sfruttare
fino in fondo le acque di alcuni fiumi al confine con il Portogallo e
per poter impiegare il 60% di quell'acqua a fini agricoli. Un clima di fiducia politica reciproca è oggi essenziale per risolvere questo conflitto per l'acqua nel bacino del Tigri - Eufrate, un problema legato strettamente al contenzioso etnico e religioso in atto nella regione. Ma, per una volta, sarebbe opportuno e necessario discernere i problemi ed affrontarli separatamente con criterio e lungimiranza. La cooperazione tecnica ed economica, ora più che mai necessaria, è senza dubbio meno spettacolare (soprattutto in Medio Oriente), ma è capace di mitigare la logica dello scontro a tutti i costi. ( torna su )
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Numero 8 - ottobre 2000
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