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       ( ANALISI )  PARADOSSI 
        LIBANESI E CRISI STRUTTURALEdi Georges Corm * (in "L'Orient- Le jour" del 31/10/2000) Nella Foto: 
          Beirut Il bilancio di questi ultimi due anni è stato oggetto d'incessanti 
          polemiche, iniziate già con la nomina del governo del signor Hoss. Le 
          accuse ripetute in modo monotono contro questo governo d'incompetenza 
          e di "gestione calamitosa" non sostituiscono un'analisi equilibrata 
          e serena delle sfide con le quali si è confrontato il paese e dei rimedi 
          messi in atto. SUL PIANO POLITICO E REGIONALE: La politica del presidente della Repubblica ha perseguito 
          cinque obiettivi: - Il ristabilimento dell'autorità presidenziale nel quadro 
          degli accordi di Taef e la fine del sistema della troika per ristabilire 
          la stabilità politica e la dignità dello Stato; - Il rifiuto dell'insediamento dei Palestinesi in Libano. 
          I libanesi si sono battuti e hanno pagato il prezzo più alto per impedire 
          tale insediamento, questo obiettivo è veramente centrale nella volontà 
          presidenziale; - La rapida liberazione del sud del paese facendo coraggiosamente 
          dello Stato il protettore della resistenza condotta da Hezbollah; - Il contenimento delle relazioni dei politici con la Siria 
          al fine di elevare queste relazioni al livello dello Stato, evitando 
          la confusione che li ha caratterizzati; nello stesso tempo, il presidente 
          si è reso garante del coordinamento fra il Libano e la Siria nel campo 
          delle relazioni estere, in modo da evitare la rottura dell'ultimo asse 
          di solidarietà araba di fronte ad Israele; - Una pratica dell'esercizio del potere esecutivo libera 
          da vincoli comunitari; i membri del governo  
          Hoss non sono stati nominati in base a  
          criteri di appartenenza comunitaria e le discussioni nel Consiglio 
          dei ministri vertevano sui problemi sociali ed economici, senza litigi 
          di natura comunitaria. Questi obiettivi hanno chiaramente indisposto le forze politiche 
          locali, regionali e internazionali, come hanno dimostrato le critiche 
          formulate in ordine alla gestione del problema della liberazione del 
          Sud del Libano, a dispetto dei successi ottenuti... Infatti, nell' "elite" politica libanese esiste una vera 
          schizofrenia o dissociazione della personalità. Il suo desiderio di 
          riforme è solo un esercizio verbale, poiché appena un presidente riformista 
          tenta di cambiare l'ordine delle cose, si scontra contro il muro di 
          tutti i conservatorismi comunitari, economici o di politica estera. Di più, è curioso vedere come questo conservatorismo che 
          irrigidisce i comportamenti e impedisce la riforma, abbia creato nella 
          stessa elite entusiasmi malsani per avventure politiche di tipo "radicale", 
          quali quelle incarnate da Kamal Joumblatt (benché bisogna riconoscere 
          che il programma del Movimento nazionale era un programma riformista 
          relativamente moderato), da Bachir Gemayel, Samir Geagea o Michel Aoun 
          o, nel campo economico, le politiche dei meccanismi della ricostruzione. E' anche curioso costatare che fin qui la classe politica 
          tradizionale e la società civile libanese non hanno prodotto dei "riformatori" 
          capaci d'imporre le loro vedute. Quelli che hanno avuto una forte personalità 
          hanno gridato nel deserto (come Maurice Gemayel, in particolare). SUL PIANO DELLA RIFORMA ECONOMICA E FINANZIARIA  La schizofrenia è divenuta più acuta verosimilmente nel campo 
          della riforma economica. E' sotto gli occhi di tutti come il Libano 
          offre un livello di servizi statali equivalente a quello dei paesi scandinavi 
          o della Francia e della Germania, ma nessuno è disposto ad accettare 
          il livello di fiscalità di questi paesi. In questo campo, circolano 
          idee banali davvero disarmanti, poiché la più parte vorrebbe, nello 
          stesso tempo, sopprimere ogni fiscalità o ridurle ad un livello simbolico, 
          ma avere nello stesso tempo uno Stato forte che sia uno Stato-provvidenza. La credenza quasi metafisica dell'elite economica del paese 
          secondo cui l'imposta uccide gli investimenti.. Divenuta un ostacolo 
          maggiore per riformare la situazione economica, sociale e finanziaria 
          del paese. Questa credenza metafisica, poiché tutte le prove statistiche 
          ci mostrano che i flussi più importanti di capitali, compresi quelli 
          arabi, si orientano verso i paesi ad alta fiscalità, solo una porzione 
          minore vanno verso i paesi dove esistono politiche di defiscalizzazione 
          dell'investimento estero. I detentori di capitali preferiscono i paesi industrializzati 
          o in via d'industrializzazione rapida ai paesi economicamente stagnanti 
          poiché, non avendo una vera politica di ricerca e di acquisizione delle 
          scienze e delle tecniche, si contentano di proporre esenzioni fiscali. Qualunque cosa si dica del governo uscente, noi abbiamo messo 
          in atto gli elementi essenziali di un assestamento delle finanze pubbliche, 
          condizione imperativa per un ritorno alla competitività dell'economia 
          libanese. L'adozione della TVA (IVA) è il cuore della modernizzazione 
          fiscale e i preparativi per la sua applicazione sono largamente avanzati. 
          Tuttavia, in Libano, il problema fondamentale del fisco resta quello 
          di un sistema il cui peso, benché poco elevato, tocca massicciamente 
          i produttori di beni e servizi. In effetti, i redditi finanziari e del 
          capitali sono totalmente esenti da imposte, anche se costituiscono una 
          parte molto importante del reddito nazionale. A più riprese abbiamo sottolineato questa anomalia che, un 
          giorno, dovrà essere corretta poiché il nostro fisco è oggi antieconomico. D'altronde, la riuscita privatizzazione del settore dell'energia 
          e delle telecomunicazioni, così come una riforma della sicurezza sociale 
          che il nostro governo ha avviato (segnatamente i fondi pensione e la 
          defiscalizzazione dell'assicurazione) dovranno consentire di abbassare 
          il livello elevato dei costi di cui soffrono i settori produttivi dell'economia. Un miglioramento del funzionamento del mercato finanziario 
          come anche la separazione progressiva della politica monetaria dal debito 
          pubblico e la fissazione della parità della lira in rapporto al dollaro 
          e all'euro (e non più soltanto in rapporto al dollaro), sono due altri 
          elementi principali del risanamento; essi contribuiranno ad assicurare 
          un calo durevole dei tassi d'interesse, variabile strategica per l'uscita 
          dalla crisi, della riduzione del deficit di bilancio etc.  A guisa d'alternativa, le amabili fantasie keinesiane (aumento 
          della spesa pubblica per stimolare la crescita e l'occupazione) che 
          si ascoltano o neo- reganiane (riduzione delle tasse per incentivare 
          i consumi e lo sviluppo e l'offerta dei beni) fanno tremare ogni economista 
          serio. E' un controsenso evidente pensare che riducendo le tasse 
          per stimolare l'investimento privato e che aumentando le spese dei lavori 
          pubblici si entra nel circolo virtuoso di una crescita sostenuta che 
          permetterà a termine di ridurre il livello d'indebitamento. Tutta l'esperienza dal 1993 al 1997 dimostra che i tassi 
          di crescita sono rimasti modesti in un paese uscito d'una guerra e che 
          i tassi di aumento annuale del debito è stato dell'ordine di 5 a 10 
          volte quello del..(?) Bisogna d'altronde intendersi sulla natura della crisi economica 
          che colpisce il Libano. Se si considera che è stata determinata dal 
          nostro governo, allora s'impone il ritorno alle ricette della ricostruzione. 
          Al contrario, se si considera che l'economia libanese soffra di una 
          crisi strutturale profonda che gli anni di euforia fondiaria e finanziaria 
          non hanno fatto che mascherarla provvisoriamente e, in conseguenza aggravare, 
          allora si ritorna alla necessità di riformarla in profondità, affinchè 
          l'economia del paese ritrovi una competitività che le assicuri un ruolo 
          produttivo maggiore nell'economia regionale. Per uscire dal circolo vizioso del debito, bisogna entrare 
          nel circolo virtuoso di una competitività che noi abbiamo perduto; bisogna 
          anche che vengano progressivamente liberati gli enormi flussi d'investimenti 
          congelati nel settore fondiario di lusso e/o negli alloggi mastodontici 
          quali quelli al centro della città o dei diversi progetti di costruzione 
          a mare. Una diga sul mare che immobilizza mezzo miliardo di dollari 
          senza ricaduta economica nè effetto di trascinamento sul resto dell'economia 
          è uno spreco monumentale; lo è anche un aeroporto o un'infrastruttura 
          sovradimensionata. Ciò pone il problema dell'effetto deprimente che 
          esercita il livello del carico fondiario sulla redditività di altre 
          attività economiche. Si può certo arguire che bisognava prendere iniziative durante 
          questi due anni, ma non dimentichiamo che abbiamo dovuto affrontare 
          problemi che non erano stati trattati o regolamentati fra il 1992 e 
          il 1998. Gli umori litigiosi del vice-primo ministro con numerose società 
          sono certo stati un punto molto negativo per il nostro governo, ma tutto 
          ciò non annulla il resto del lavoro compiuto. Siamo stati capaci, in 
          quanto Libanesi, di uscire dagli schemi. E' necessario mettere da parte 
          le liti politiche. Gli attacchi violenti contro la presidenza della 
          Repubblica, simbolo della sovranità e dell'unità del paese, non sono 
          in ogni caso il rimedio.   *Georges CORM, economista e scrittore libanese, molto 
          noto nel mondo arabo e in Francia, è stato ministro delle finanze del 
          governo Hoss, recentemente sostituito dalla compagine di Hariri.  ( torna su ) 
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       Numero 8 - ottobre 2000 
 
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