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          POLITICA ) 
       
      
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      D'ALEMA 
        IN GIORDANIA E IN SIRIA: rimettere in marcia il processo di 
        pace in Medio Oriente.  
        Il Presidente del Consiglio, on Massimo D'Alema, ha effettuato nei giorni 
        21-23 febbraio u.s. un viaggio in Giordania e in Siria. Nel corsi dei 
        suoi incontri con il re Abdallah II e con Hafez al Assad ha manifestato 
        la preoccupazione per lo stallo del processo di pace in M.O. ed ha espresso 
        la disponibilità italiana ed europea al fine di rimetterlo in marcia, 
        secondo le scadenze previste dagli accordi.  
        In particolare, D'Alema ha posto l'accento sull'attuale posizione d'Israele: 
        "siamo in un momento davvero preoccupante ... il governo d'Israele appare 
        in una posizione non comprensibile e credo che noi dobbiamo chiedere con 
        molta fermezza che siano rispettati gli impegni presi a Sharm el-Sheikh 
        ..." "Ho avuto occasione d'incontrare Barak, di sentire le sue parole 
        d'impegno per la pace ... abbiamo il diritto che a quelle parole seguano 
        atti più concreti e convincenti ..."  
      D'ALEMA 
        A DAMASCO: UN RUOLO PIU' ATTIVO DELL'EUROPA PER LA PACE IN M.O. 
         
        (in agenzia "SANA" del 22- 23 febbraio 2000)  
        Il presidente Hafez al-Assad ha ricevuto, nel Palazzo del Popolo a Damasco, 
        il Primo Ministro italiano, Massimo d'Alema, con il quale ha esaminato 
        lo stato del negoziato di pace in Medio Oriente e le posizioni che hanno 
        ostacolato i colloqui di pace sul versante siriano. Il presidente al-Assad 
        si è detto favorevole ad un ruolo europeo attivo per convincere Israele 
        ad accettare le risoluzioni della legalità internazionale e a cessare 
        di sottrarsi alle scadenze del processo di pace. Sono state esaminate 
        anche le relazioni siro-italiane: le due parti si sono dichiarate soddisfatte 
        dell'evoluzione di queste relazioni ed hanno espresso il comune desiderio 
        di svilupparle in tutti i campi ...  
        Successivamente, le delegazioni siriana e italiana, guidate rispettivamente 
        da Mahmoud al-Zoubi, presidente del Consiglio dei ministri, e da Massimo 
        D'Alema, Primo ministro Italiano, hanno esaminato le relazioni di cooperazione 
        economica, commerciale, scientifica e culturale esistenti fra i due Paesi, 
        le possibilità e i mezzi per svilupparle e diversificarle. In particolare 
        sono state discusse: la possibilità della realizzazione di progetti misti 
        industriali, agricoli e nel campo dell'elettricità e di accordi concernenti 
        la protezione degli investimenti e per evitare la doppia imposizione. 
        A conclusione dell'incontro, è stato convenuto di affidare l'esame dei 
        progetti specifici ai ministri del commercio dei due Paesi.  
        Nel corso di una conferenza-stampa, il Primo ministro italiano, Massimo 
        D'Alema, ha confermato il sostegno dell'Italia e dell'U.E. al processo 
        di pace nella regione e all'instaurazione di una pace giusta e globale 
        conformemente alle risoluzioni della legalità internazionale e al principio 
        della terra in cambio della pace ... Il Primo ministro italiano ha detto 
        che l'Europa farà ogni sforzo possibile per obbligare le parti interessate 
        a rispettare gli impegni assunti; precisando che non vi sarà pace nella 
        regione senza la Siria e senza la restituzione dei territori occupati, 
        conformemente alle risoluzioni dell'ONU.  
        "Il presidente al-Assad si è mostrato molto preoccupato per lo stato attuale 
        del processo di pace e ha espresso il desiderio del suo Paese d'intraprendere 
        negoziati di pace reali e seri", ha aggiunto il responsabile italiano 
        che considera" molto importante" la valutazione positiva del presidente 
        al-Assad circa l'attitudine degli Stati Uniti rispetto al processo di 
        pace. D'Alema ha espresso la preoccupazione del suo Paese di fronte all'ultima 
        aggressione israeliana contro tre stazioni elettriche libanesi costruite 
        dall'Italia, rivolgendo un invito a fermare tali aggressioni e a ritornare 
        al tavolo dei negoziati per giungere al ritiro israeliano dal Libano del 
        sud.  
      
        ( 
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        ALGERIA 
          - BOUTEFLIKA ANNUNCIA CAMBIAMENTI AI VERTICI MILITARI 
           
          ( Mourad Mentouri in "www.algeria-interface" del 25/2/2000 )  
          Gli annunciati movimenti gerarchici all'interno delle forze armate algerine 
          non modificano la configurazione dell'alto comando dell'ANP (Armata 
          nazionale popolare). Più che una vera ristrutturazione del comando militare, 
          i 7 cambiamenti effettuati alla direzione di 4 regioni militari, della 
          gendarmeria, della guardia repubblicana e delle forze navali s'iscrivono 
          nel quadro di un movimento classico.  
          Tuttavia, l'effetto dell'annuncio consiste nel fatto che il comunicato 
          ufficiale - e laconico - sia stato emanato dalla Presidenza della Repubblica, 
          lasciando intendere che Bouteflika abbia voluto questi cambiamenti ... 
          che, però, non toccano i più influenti generali: Mohamed Lamari, capo 
          di stato maggiore, che detiene il grado più elevato (generale di corpo 
          d'armata) e di fatto il portafoglio della Difesa; Mohamed Mediane, direttore 
          del dipartimento ricerca e sicurezza; Smail Lamari, capo del controspionaggio. 
          Considerati come i veri signori dell'Armata, dopo il pensionamento del 
          generale Khaled Nezzar nel 1993, i tre restano dunque ai posti di comando. 
        ( 
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        20 
          MILIARDI DI DOLLARI I DANNI CAUSATI DAL TERRORISMO ISLAMISTA 
           
          (Ahmed Ancer in "El Watan" del 20/2/2000)  
          Venti miliardi di dollari, questo è - secondo il presidente della Repubblica 
          - il terribile costo dei danni provocati dal terrorismo all'Algeria 
          e agli algerini durante quasi 8 anni d'isteria islamista.  
          Bouteflika ha esibito queste cifre nel corso di una conferenza stampa 
          data recentemente ad Abu Dhabi, per meglio accreditare presso gli arabi 
          del Golfo il processo detto della "concordia civile".  
          Il presidente pensa così di rafforzare la sua azione, con l' argomento 
          che il paese ha già pagato un prezzo esorbitante in questa guerra civile... 
          Ciò ch'è contestabile nell'azione dei poteri pubblici dopo la primavera 
          del 1992, compreso quello dell'attuale presidente della Repubblica, 
          è questa volontà di volere sempre manipolare le realtà per sottometterle 
          ai loro disegni politici congiunturali. In effetti, fino ad oggi, nessuna 
          autorità (governativa o al livello più alto della gerarchia) ha preso 
          il coraggio a due mani per informare gli algerini e l'opinione internazionale 
          della vera dimensione della catastrofe nella quale l'islamismo politico 
          ha precipitato l'Algeria. Peggio, Bouteflika ha anche osato dire che 
          avrebbe potuto lui stesso reagire come un terrorista se si fosse trovato 
          in una situazione analoga d'ingiustizia. Perché gli algerini non hanno 
          mai avuto un bilancio esaustivo di tutto ciò che è successo? Perché, 
          per esempio, le perdite umane e le distruzioni dei beni del settore 
          della scuola non sono mai stati valutati? Si hanno soltanto informazioni 
          parcellizzate relative a circa 800 istituti scolastici incendiati parzialmente 
          o totalmente.  
          Allorquando il capo del governo, Ouyahia, ha acconsentito di rispondere 
          finalmente ai deputati (23 gennaio 1998), lo fece per tirare la coperta 
          e tentare di dimostrare che, con lui, il terrorismo perdeva colpi, divenendo 
          residuale. Tuttavia, egli diede cifre terribili. Così, l'islamismo armato 
          era riuscito nel 1995 a far chiudere 156 sedi municipali sulle 1541 
          che conta il Paese; 2851 abitazioni sono state distrutte fra il 1995 
          e il 1997, nel momento in cui l'economia nazionale era dissanguata, 
          precipitando milioni di algerini in un'indicibile miseria (1040 imprese 
          sabotate durante quei tre anni).  
          Ouyahia, non volendo certamente aggravare la barbarie islamista, fermò 
          lì il suo elenco... L'opinione pubblica sa quali sono le devastazioni 
          provocate nelle Università, nell'industria, nel settore della sanità, 
          quante centinaia di parchi comunali e di aziende sono state incendiati? 
           
          Conoscerà un giorno il numero dei diplomati scappati (all'estero) a 
          causa del terrorismo?  
          Ecco i fatti da far conoscere all'opinione pubblica araba, visto che 
          numerosi dirigenti dei paesi del Golfo sono implicati negli aiuti di 
          cui ha beneficiato l'islamismo...  
          Oggi, il presidente della Repubblica si comporta come i suoi predecessori. 
          Egli annuncia all'opinione pubblica delle cifre fredde, isolate dal 
          loro contesto. Il lavoro per preservare la memoria è ancora tutto da 
          realizzare. Ed incombe agli intellettuali di non lasciare questo compito 
          ai politici i quali hanno una visione troppo contingente degli avvenimenti... 
           
        ( 
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        REGIMI 
          POLITICI E PARLAMENTI NEI PAESI ARABI: L'ECCEZIONE ALGERINA  
          (in "El Watan" del 20/2/2000)  
          In questo articolo, Assia T., prendendo spunto dai lavori della 35° 
          sessione del Consiglio dell'Unione Parlamentare Araba (UPA), tenutasi 
          recentemente ad Algeri, svolge un' impietosa analisi della realtà parlamentare 
          araba nel suo rapporto con l'opinione pubblica e con i regimi al potere 
          e mette in risalto, nonostante tutto, l'originalità del processo democratico 
          in Algeria. 
          "In effetti, sia nel Maghreb sia nel Medio Oriente, tutti i membri dei 
          Parlamenti sono eletti, dunque sottomessi a scrutinio. Solamente, si 
          verifica che essi rappresentano, nella stragrande maggioranza dei casi, 
          la stessa tendenza politica...Quella del potere vigente. Quando non 
          è questo il caso, lo stesso potere autorizza l'emergere di una opposizione-alibi 
          come succede in Tunisia, in Egitto o sotto la monarchia marocchina. 
          In Egitto per esempio domina solo il partito nazionale di Hosni Moubarak. 
          Maggioritario in Parlamento, esso designa ad ogni elezione il candidato 
          Moubarak e questi, dal suo arrivo al potere nel 1981, mantiene una situazione 
          di rigida chiusura, aggravata, dopo la stessa data fino ad oggi, dall'instaurazione 
          dello stato d'emergenza.  
          Quanto al suo parlamento "Majliss Al Chaab", esso ha struttura monocamerale. 
          Fra i 454 membri, 440 sono eletti a scrutinio diretto, altri 10 sono 
          designati dal capo dello Stato. Quanto alle donne, 9 in tutto, rappresentano 
          una percentuale del 1,98% ...  
          In Medio Oriente, contesto ostile all'emergere della democrazia, solo 
          il Kuwait e la Giordania hanno un parlamento eletto. 65 membri siedono 
          nel Parlamento kuwaitiano, compresi i ministri non eletti che sono considerati 
          membri di diritto. L'emiro ha proposto, già da qualche tempo, un progetto 
          di legge per conferire il diritto di voto alle donne a partire dal 2003. 
          Questa legge è stata semplicemente rigettata. Nei paesi del Golfo, le 
          donne non sono né eleggibili né elettrici.  
          In Arabia Saudita, grazie alle pressioni degli americani è stato creato 
          un Consiglio "strettamente" consultivo all'indomani della guerra del 
          Golfo. Una risposta anche al mondo occidentale che accusava gli USA 
          di aiutare i regimi totalitari. In Giordania, anche se il vento dell'apertura 
          diventa sempre più forte, bisogna ricordare che gli islamisti stavano 
          per accaparrarsi del paese. Il defunto re Hussein ha operato un vero 
          "colpo di Stato" nel 1993 quando sciolse l'Assemblea dove essi erano 
          in maggioranza.  
          Oggi, superato il pericolo islamista, la monarchia è dotata di due Camere. 
          Nella prima siedono 80 membri eletti a scrutinio diretto. Fra loro 12 
          cristiani e Circassi si disputano il seggio. Nessuna donna siede in 
          Parlamento, allorché al Majaliss El Umma, fra i 40 membri scelti dal 
          re, figurano 3 donne.  
          Sul versante del Mediterraneo, il Libano ha optato per un giusto dosaggio 
          ripartendo i 128 posti della sua Assemblea nazionale fra deputati musulmani 
          e cristiani ...  
          Durante queste giornate d'incontri fra parlamentari arabi, solo l'Algeria 
          può vantarsi di rappresentare realmente il panorama politico nel seno 
          del suo Parlamento e del suo Senato.  
          Malgrado tutte le lacune e le frodi che hanno intaccato le ultime elezioni, 
          la prima camera tenta di distinguersi dall'era "beni oui oui", tanto 
          cara all'ex partito unico. Dall'estrema destra (partiti islamisti) all'estrema 
          sinistra (PT), praticamente tutte le tendenze sono rappresentate dai 
          380 parlamentari.  
          I dibattiti sono così contraddittori quanto liberi, segno che la libertà 
          di espressione non è più un discorso di parata. Certo, i dibattiti parlamentari 
          non sono più trasmessi in diretta dalla televisione, con grande delusione 
          dei telespettatori ...  
        ( 
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        LIBANO 
          DOPO I RAIDS E LE MINACCE ISRAELIANE, VERTICE DELLA LEGA ARABA A BEIRUT 
           
          (in "Sana" del 26/2/2000)  
          La Lega Araba terrà nei giorni 11 e 12 marzo a Beirut la 113/a sessione 
          del suo consiglio dei ministri degli Affari esteri in solidarietà con 
          il Libano.  
          M. Ahmad Ben Hala, segretario generale aggiunto della Lega, ha sottolineato 
          che la solidarietà araba con il Libano di fronte alle aggressioni israeliane 
          è iscritta all'ordine del giorno delle riunioni. Si tratta di lanciare 
          un messaggio ufficiale di solidarietà con il Libano e d'informare Israele 
          e il mondo intero che il Libano non è solo sul campo di battaglia.  
          Ad Amman, il re Abdallah II, che aveva annullato la settimana scorsa 
          una visita in Israele, ha espresso ieri la sua solidarietà con il Libano 
          "nei suoi sforzi per recuperare i suoi diritti e il suo territorio occupato", 
          allorché a Beirut il ministro kuwaitiano degli Affari esteri sottolineava 
          che il suo paese era pronto a partecipare ad un summit arabo sul Libano 
          anche in presenza dell'Iraq, ciò cui si era opposto fino ad oggi. Il 
          Kuwait inoltre si è impegnato a finanziare in parte la ricostruzione 
          delle installazioni distrutte dai raids israeliani dell'8 febbraio. 
           
        ( 
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        LA 
          PROTESTA SIRIANA CONTRO I RAIDS ISRAELIANI 
           
          (in agenzia "Sana" del 16/2/2000)  
          Farouk al-Charaa, ministro degli esteri siriano, ha inviato un messaggio 
          al Segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, per esporre la posizione 
          della Siria di fronte all'aggressione israeliana contro il Libano e 
          contro la lettera del ministro degli esteri israeliano, David Levy, 
          a M. Annan.  
          Nel suo messaggio, il capo della diplomazia siriana qualifica come "illogiche 
          e irresponsabili" i tentativi del ministro degli esteri israeliano di 
          giustificare le aggressioni contro il Libano e di scaricare le responsabilità 
          su altre parti e di lanciare minacce attraverso i mass-media internazionali. 
           
          "Questi comportamenti sono l'espressione del disprezzo d'Israele dei 
          principi della legge internazionale, della Carta dell'ONU e delle risoluzioni 
          delle Nazioni Unite, particolarmente la 425 emanata 22 anni fa e che 
          obbliga Israele a ritirarsi da tutti i territori libanesi occupati". 
           
          "Israele tenta - continua il ministro al-Chara - di presentare la sua 
          aggressione contro il Libano come un atto di autodifesa e l'aggressore 
          come la vittima dell'aggressività", precisando che Levy sembra ignorare 
          che la resistenza all'occupazione straniera è un diritto legittimo riconosciuto 
          dalle leggi internazionali e praticato da tutti i popoli del mondo. 
           
        ( 
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        JOSPIN 
          "COMPRENDE" LE RAPPRESAGLIE ISRAELIANE IN LIBANO  
          (da "L'Orient-Le jour" del 25/2/2000)  
          Nel corso della sua prima visita ufficiale in Israele, il Primo ministro 
          francese Lionel Jospin ha condannato le operazioni degli Hezbollah, 
          incluse quelle contro i soldati israeliani, qualificandole "terroristiche", 
          mentre ha mostrato "comprensione" per le rappresaglie israeliane contro 
          il Libano.  
          "La Francia condanna gli attacchi di Hezbollah e in ogni modo tutti 
          gli attacchi terroristici che possono essere sferrati contro soldati 
          o eventualmente popolazioni civili israeliane", ha affermato nel corso 
          di una conferenza stampa a Gerusalemme.  
          Egli ha tenuto a precisare che "nè il presidente della Repubblica, Chirac, 
          né il ministro degli esteri Vedrine, né io stesso abbiamo mai utilizzato 
          l'espressione "Resistenza libanese" a proposito degli Hezbollah".  
        ( 
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        INDIGNATO 
          IL PRIMO MINISTRO LIBANESE, SELIM HOSS 
          (in "l'Orient - Le jour" del 26/2/2000)  
          Qualificando pericolose le parole del suo omologo francese (Jospin n.d.r.), 
          il capo del governo libanese Selim Hoss ha convocato l'ambasciatore 
          di Francia Philippe Le Courtier per spiegargli la disapprovazione delle 
          autorità ufficiali rispetto alle posizioni di m. Jospin.  
          M. Hoss ha dichiarato: "Ci è difficile credere alle parole pericolose 
          attribuite a m. Jospin o anche di comprendere la logica su cui si basa 
          quando dice che il movimento di resistenza in Libano è un movimento 
          terrorista e che l'occupazione d'Israele di una parte della nostra terra 
          ha lo scopo di proteggere le sue frontiere ... Noi speriamo che la Francia, 
          il paese amico con il quale abbiamo dei legami storici, rinnovi il suo 
          appoggio alla nostra causa e al nostro diritto legittimo alla resistenza 
          e alla liberazione".  
          "Il terrorismo s'incarna nell'occupazione israeliana della nostra terra, 
          nei suoi bombardamenti quotidiani di villaggi abitati da civili e nelle 
          distruzioni d'infrastrutture... s'incarna anche nel grande numero di 
          prigionieri e di ostaggi nelle prigioni d'Israele e nelle minacce persistenti 
          dei suoi responsabili di bruciare la terra del Libano", ha aggiunto 
          il primo ministro libanese, alludendo alle dichiarazioni del ministro 
          degli esteri israeliano David Levy.  
          Facendo un parallelo con l'occupazione nazista della Francia, m. Hoss 
          si è chiesto: "L'occupazione da parte della Germania nazista del territorio 
          francese costituiva una cintura di sicurezza per proteggere le sue frontiere? 
          L'eroica resistenza francese che ha salvato la fierezza della Francia 
          è stata un movimento terrorista che bisogna condannare?"  
          "Le leggi internazionali e gli accordi hanno sancito il diritto dei 
          popoli a resistere all'occupante... Se lo scopo è di preservare la vita 
          dei soldati israeliani, essi non hanno che da uscire dal Libano." Ha 
          concluso m. Hoss. 
        ( 
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        JOUMBLATT 
          CHIEDE SPIEGAZIONI AL PRESIDENTE DELL'INTERNAZIONALE SOCIALISTA 
           
          (in "l'Orient-Le jour " del 26/2/2000)  
          Il capo del Partito socialista progressista, Walid Joumblatt, ha inviato 
          un telegramma al presidente dell'Internazionale socialista, Antonio 
          Guterres, denunciando le dichiarazioni fatte da Lionel Jospin e dal 
          presidente del Consiglio italiano Massimo d'Alema durante le loro visite 
          in Israele.  
          "Non ci aspettavamo questa aggressività verso il popolo libanese e verso 
          la resistenza legale libanese contro l'occupazione israeliana", ha detto 
          m. Joumblatt che ha considerato le dichiarazioni di Jospin come un modo 
          per "trasformare i resistenti francesi in terroristi".  
          Egli ha deplorato che tali posizioni siano state espresse da "un socialista 
          quando generalmente questo genere di discorso era appannaggio delle 
          formazioni di destra".  
          Joumblatt ha sottolineato come l'occupazione israeliana dei territori 
          arabi costituisce "la peggior forma di terrorismo", ritenendo che le 
          dichiarazioni di Jospin e di D'Alema hanno unicamente uno scopo elettorale 
          e non servono gli interessi dei due paesi nella regione, si è augurato 
          che Guterres gli dia i chiarimenti necessari.  
        ( 
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        CHIRAC: 
          COSTANZA ED EQUILIBRIO NELLA POLITICA ESTERA FRANCESE  
          (dal comunicato emesso il 26 febbraio dalla Presidenza della Repubblica 
          francese)  
          Il presidente Jacques Chirac ha telefonato sabato 26 febbraio al primo 
          ministro Lionel Jospin di ritorno dal suo viaggio in Israele e in Palestina. 
           
          "Il Capo dello Stato ha riaffermato la costanza della politica estera 
          della Francia e l'equilibrio che ispira l'azione del nostro paese nel 
          vicino Oriente, azione che resta inalterata ... Trattandosi delle relazioni 
          fra Israele e il Libano, il presidente della Repubblica ha ricordato 
          le responsabilità particolari affidate nell'aprile del 1996 dalle parti 
          interessate a Francia e agli USA, in uno spirito di fiducia e d'imparzialità". 
           
          "Rimettere in causa questa imparzialità significa danneggiare la credibilità 
          della nostra politica estera e la capacità della Francia di agire per 
          la pace."  
        ( 
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      Numero 
        2 - febbraio 2000 
      ( 
        numeri precedenti ) 
        
        
        
        
        
        
        
        
        
      
      
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