( L'EDITORIALE )

Massacro in Palestina
E L'EUROPA DOV'E' ?

Mentre nei Territori Autonomi la repressione israeliana continua a mietere vittime fra i palestinesi ( i morti sono più di 80 e circa 2000 i feriti), la diplomazia internazionale, pilotata dal segretario di Stato USA, tenta affannosamente di riprendere l'esile filo dello snervante negoziato fra palestinesi e israeliani, per giungere ad un accordo che possa mettere fine ai massacri e dare un durevole assetto di pace alla tormentata regione mediorientale.

Tentativo alquanto incerto, labile, poiché si svolge nel vivo di una rivolta popolare incontenibile, nel corso di una crisi politica della eterogenea maggioranza parlamentare che sosteneva il governo Barak e che potrebbe sfociare nell'ennesimo scioglimento anticipato della Knesset, alla vigilia delle elezioni americane dalle quali uscirà un nuovo presidente e mentre i gruppi integralisti palestinesi premono addirittura per ottenere le dimissioni di Arafat, come richiesto dal portavoce di Hamas, Ibrahim Ghosheh, qualche giorno prima della provocatoria visita di Sharon alla spianata delle moschee.  

In tale contesto, e soprattutto di fronte alla complessa "questione di Gerusalemme" che - bisogna ricordarlo - tutte le parti in causa vorrebbero risolvere in contrasto con le decisioni delle Nazioni Unite, la ripresa degli scontri di piazza e la sanguinosa repressione israeliana rischiano di far saltare l'intera costruzione di pace americana, alla  cui conclusione positiva tiene tantissimo Clinton, al quale interessa un accordo di pace firmato in tempi strettissimi, prima della scadenza del suo mandato e prima dell'assegnazione del Nobel della Pace a cui apertamente aspira per  chiudere in bellezza la sua carriera presidenziale. Addirittura, si dice che a Stoccolma abbiano sospeso l'assegnazione in attesa di un esito positivo del negoziato. Anche questo ci tocca vedere in questo fine secolo! Ormai si vive di premi. Anche le più alte personalità si lasciano affascinare dai riconoscimenti: c'è chi aspira all'Oscar e chi brama il Nobel e chi ancora il "pallone d'oro" o altri prestigiosi "Award"; mentre la gente continua a morire di fame, di malattie, di embarghi e di guerre odiose.

In Palestina è dal 1948 che si protrae il conflitto, ovvero da 52 anni, e in tutto questo tempo non è stato possibile risolverlo. 52 anni durante i quali i palestinesi hanno continuato ad essere scacciati dalle loro terre e dalle loro case, a subire l'occupazione militare, le torture, le discriminazioni, la povertà, la morte e la disperazione dei loro giovani. E c'è qualcuno che chiede altri sacrifici ai palestinesi. Insomma, cosa si pretende da questo popolo dopo 52 anni di martirio? 

E che dire di questo Stato d'Israele, senza uno straccio di Costituzione, culturalmente dominato dal potere rabbinico; unico caso al mondo di "Stato" creato per decisione delle Nazioni Unite e il primo al mondo che non rispetta la gran parte delle risoluzioni dell'Organismo che lo ha creato e ne ha garantito l'esistenza. Nessuno, in Occidente osa parlare chiaro e denunciare le gravissime responsabilità dei dirigenti israeliani. Per molto meno in Kossovo, la NATO ha fatto una guerra disastrosa.

Agendo al di fuori dall'ONU, gli accordi si possono soltanto imporre con la violenza delle armi, con la corruzione dei dirigenti, con gli embarghi, mai con il consenso delle popolazioni e prima o poi questi "accordi" verranno messi in discussione.

Da tempo l'ONU è stato estromessa dalle trattative israelo-palestinesi e gli USA, da soli, si sono assunti la difficile responsabilità di risolvere questo spinosissimo contenzioso.

L'onnipresente Amministrazione americana, che ormai si occupa direttamente di tutto quello che accade nel mondo, non è certo la forza più accreditata per svolgere al meglio questa missione: sia perché condizionata dal peso dei suoi tradizionali vincoli politici, militari e economici con Israele, sia perché, in questo momento, si trova in una fase di campagna elettorale dalla quale uscirà un nuovo presidente, e nessuno potrà affidare il destino del proprio popolo nelle mani di un presidente praticamente scaduto.

A parte l'ONU, in questo negoziato, l'assenza più grave è certamente quella dell'Unione Europea. Assenza ingiustificata e perfino colpevole poiché determina uno sbilanciamento "oggettivo" della trattativa a favore delle pretese israeliane e di conseguenza irrigidisce la parte palestinese ed araba.

Assenza imbarazzante, soprattutto in queste tragiche ore di massacri, rilevata dolorosamente da un ministro palestinese, Nabil Chaath, che ha dichiarato ("le Monde" del 3 ottobre): "Dov'è l'Europa? Non c'è una sola dichiarazione europea per dire che l'Unione Europea è interessata.nessun dirigente europeo ha avuto la sensibilità di presentare ai Palestinesi le condoglianze per le decine di vittime della repressione israeliana"

La questione palestinese, oltre che per il suo valore morale e umanitario, è una questione politica di primaria importanza per il futuro delle relazioni euro-arabe e del partenariato euro-mediterraneo. L'Unione Europea non può continuare a starsene a guardare dalla finestra una tragedia che si sta svolgendo nel cortile di casa. O pensare di cavarsela con l'erogazione di qualche milione di euro, a titolo di risarcimento dei danni provocati dal lungo conflitto.

                                                                         Agostino Spataro


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Numero 7 - settembre 2000

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