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 ( L'EDITORIALE ) Massacro 
          in Palestina
        Tentativo alquanto incerto, labile, poiché si svolge nel 
          vivo di una rivolta popolare incontenibile, nel corso di una crisi politica 
          della eterogenea maggioranza parlamentare che sosteneva il governo Barak 
          e che potrebbe sfociare nell'ennesimo scioglimento anticipato della 
          Knesset, alla vigilia delle elezioni americane dalle quali uscirà un 
          nuovo presidente e mentre i gruppi integralisti palestinesi premono 
          addirittura per ottenere le dimissioni di Arafat, come richiesto dal 
          portavoce di Hamas, Ibrahim Ghosheh, qualche giorno prima della provocatoria 
          visita di Sharon alla spianata delle moschee.   
           In tale contesto, e soprattutto di fronte alla complessa "questione di Gerusalemme" che - bisogna ricordarlo - tutte le parti in causa vorrebbero risolvere in contrasto con le decisioni delle Nazioni Unite, la ripresa degli scontri di piazza e la sanguinosa repressione israeliana rischiano di far saltare l'intera costruzione di pace americana, alla cui conclusione positiva tiene tantissimo Clinton, al quale interessa un accordo di pace firmato in tempi strettissimi, prima della scadenza del suo mandato e prima dell'assegnazione del Nobel della Pace a cui apertamente aspira per chiudere in bellezza la sua carriera presidenziale. Addirittura, si dice che a Stoccolma abbiano sospeso l'assegnazione in attesa di un esito positivo del negoziato. Anche questo ci tocca vedere in questo fine secolo! Ormai si vive di premi. Anche le più alte personalità si lasciano affascinare dai riconoscimenti: c'è chi aspira all'Oscar e chi brama il Nobel e chi ancora il "pallone d'oro" o altri prestigiosi "Award"; mentre la gente continua a morire di fame, di malattie, di embarghi e di guerre odiose. In Palestina è dal 1948 che si protrae il conflitto, ovvero da 52 anni, e in tutto questo tempo non è stato possibile risolverlo. 52 anni durante i quali i palestinesi hanno continuato ad essere scacciati dalle loro terre e dalle loro case, a subire l'occupazione militare, le torture, le discriminazioni, la povertà, la morte e la disperazione dei loro giovani. E c'è qualcuno che chiede altri sacrifici ai palestinesi. Insomma, cosa si pretende da questo popolo dopo 52 anni di martirio? E che dire di questo Stato d'Israele, senza uno straccio di Costituzione, culturalmente dominato dal potere rabbinico; unico caso al mondo di "Stato" creato per decisione delle Nazioni Unite e il primo al mondo che non rispetta la gran parte delle risoluzioni dell'Organismo che lo ha creato e ne ha garantito l'esistenza. Nessuno, in Occidente osa parlare chiaro e denunciare le gravissime responsabilità dei dirigenti israeliani. Per molto meno in Kossovo, la NATO ha fatto una guerra disastrosa. Agendo al di fuori dall'ONU, gli accordi si possono soltanto 
          imporre con la violenza delle armi, con la corruzione dei dirigenti, 
          con gli embarghi, mai con il consenso delle popolazioni e prima o poi 
          questi "accordi" verranno messi in discussione. Da tempo l'ONU è stato estromessa dalle trattative israelo-palestinesi 
          e gli USA, da soli, si sono assunti la difficile responsabilità di risolvere 
          questo spinosissimo contenzioso. L'onnipresente Amministrazione americana, che ormai si occupa 
          direttamente di tutto quello che accade nel mondo, non è certo la forza 
          più accreditata per svolgere al meglio questa missione: sia perché condizionata 
          dal peso dei suoi tradizionali vincoli politici, militari e economici 
          con Israele, sia perché, in questo momento, si trova in una fase di 
          campagna elettorale dalla quale uscirà un nuovo presidente, e nessuno 
          potrà affidare il destino del proprio popolo nelle mani di un presidente 
          praticamente scaduto.  A parte l'ONU, in questo negoziato, l'assenza più grave è 
          certamente quella dell'Unione Europea. Assenza ingiustificata e perfino 
          colpevole poiché determina uno sbilanciamento "oggettivo" della trattativa 
          a favore delle pretese israeliane e di conseguenza irrigidisce la parte 
          palestinese ed araba.  Assenza imbarazzante, soprattutto in queste tragiche ore 
          di massacri, rilevata dolorosamente da un ministro palestinese, Nabil 
          Chaath, che ha dichiarato ("le Monde" del 3 ottobre): "Dov'è l'Europa? 
          Non c'è una sola dichiarazione europea per dire che l'Unione Europea 
          è interessata.nessun dirigente europeo ha avuto la sensibilità di presentare 
          ai Palestinesi le condoglianze per le decine di vittime della repressione 
          israeliana" La questione palestinese, oltre che per il suo valore morale 
          e umanitario, è una questione politica di primaria importanza per il 
          futuro delle relazioni euro-arabe e del partenariato euro-mediterraneo. 
          L'Unione Europea non può continuare a starsene a guardare dalla finestra 
          una tragedia che si sta svolgendo nel cortile di casa. O pensare di 
          cavarsela con l'erogazione di qualche milione di euro, a titolo di risarcimento 
          dei danni provocati dal lungo conflitto.                                                                          Agostino 
          Spataro ( torna su )  | 
     
      
       Numero 7 - settembre 2000 
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