( CURIOSANDO )

  1. MEDITERRANEO IN TAVOLA

LA FAMIGLIA DI YASSER ARAFAT

(in "Revue du Liban" del 10/9/2000)

Souha Tawil, la sposa di Arafat, è nata a Gerusalemme, in una ricca famiglia cristiano-palestinese di rito greco-ortodosso. E' cresciuta nelle città di Naplouse e di Ramallah in Cisgiordania e ha compiuto gli studi alla Sorbona.

Incontra Arafat a Bagdad, tramite sua madre, una grande giornalista. Souha dice "Fu un colpo di fulmine". Diviene l'assistente personale di Arafat in Tunisia, che era allora il quartiere generale dell'OLP. Souha Tawil si converte all'Islam e sposa segretamente Arafat nel 1990 all'età di 26 anni. Non annuncia il suo matrimonio che due anni più tardi. Così racconta "Quando sono venuta qui (a Gaza, nel 1994) avevo la scelta fra accettare di vivere all'ombra di mio marito o di costruirmi un ruolo personale". Crea così la sua fondazione "Palestine Future" per aiutare i bambini di Gaza e non ha alcun timore di raccogliere fondi per la sua opera di beneficenza. Effettua spesso visite nei più miserabili campi di rifugiati palestinesi.

"Mio marito mi ha incoraggiato a trovarmi un ruolo pubblico. Ho sentito che potevo meglio contribuire rappresentando questi rifugiati dei campi e ad essere per loro la voce che non hanno".

Souha ha ancora denunciato i membri dell'Autorità palestinese, una banda di "Yes men" afflitti da cupidigia, di disonestà e d'incompetenza ed ha vivacemente rimproverato suo marito per avere ignorato la corruzione. In un'intervista concessa l'anno scorso al "Jerusalem Report", dichiarò " Io gli ho detto e ridetto che bisogna sbarazzarsi di questa gente che costruisce castelli privati a fianco dei campi profughi, prima che sia troppo tardi".

Se il suo parlare francamente non l'ha fa amare dall'establishment palestinese, tuttavia la sua popolarità cresce negli ambienti più modesti.

La famigliola di Arafat (Souha e la piccola Zahwa, 5 anni) vive in una modesta casa a Gaza, sul Mediterraneo. Zahwa è nata all'ospedale americano di Parigi. Tre giorni dopo la sua nascita, la bambina era vestita con un giubbetto antiproiettile, poiché una bomba era stata disinnescata all'ospedale.

Il fiero genitore, che aveva allora 65 anni, ha visto sua figlia due giorni dopo la sua venuta al mondo e l'ha trovata "bella". Egli dichiara, a giusto titolo, che la bambina a lui somigliava e a lui somiglia sempre.

La mamma dice di voler vedere Zahwa crescere e divenire indipendente e capace di "scegliere la sua vita, ma spero che non sarà tentata dalla politica". In effetti Souha si lamenta del fatto che suo marito è un "tossicomane del lavoro e vive come un monaco".

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MEDITERRANEO IN TAVOLA

ALLE ORIGINI DELLA DIETA MEDITERRANEA
(Foto G. Iacono)


I vini e le delizie dei Fenici

( brani tratti dal saggio di Georges Contenau in "L'Orient-Le jour" del 22/9/2000 )

I dolci declivi della regione esposta al sole giustificano l'esaltazione della Bibbia di un certo "vino del Libano" citato anche da Plinio "con un profumo d'incenso". Forse già un'anticipazione del vino resinato dei Greci? Non è difficile immaginare i nostri Fenici gustare vino succulento di fichi, come noi li conosciamo intenditori di "Passum"(Passito n.d.r) prodotto con uva secca molto dolce, e certamente il predecessore dei nostri analoghi vini da dessert. Così come, quando ci meravigliamo di fronte ai loro antipasti, cibi vari e saporiti, cotti nelle foglie di vite (come in Grecia e in Calabria), e alle autentiche crepes Suzette , doppia sfogliata di patè ripieno di miele (il capretto cotto nel latte di sua madre, piatto di lusso per eccellenza proibito dai profeti d'Israele), o ancora quando nella nave ritrovata a Mozia scopriamo il pane all'haschisch, non destinato ai paradisi artificiali dei viaggiatori, ma certamente agli schiavi addetti a tirare i remi.

Per l'occidente cartaginese, le fonti d'informazione sono naturalmente più numerose e più esplicite, poiché si rapportano a tempi più vicini. L'informatore di Comes, sempre il nostro Plinio, è puntuale: egli ci sorprende nel vedere apparire un giorno al tramonto del sole la silhouette di una nave dalle vele quadrate penetrare maestosamente nel delta del Nilo.

Questo primo incontro fra i Cananei di Byblos e gli Egiziani andrà a segnare durevolmente la civiltà faraonica. In effetti, il congegno venuto dall'alto mare era sconosciuto da loro. Ma, più importante ancora, questo vascello conteneva nei suoi fianchi ricchezze spirituali e materiali considerevoli che andavano a reggere l'umanità intera.

Il primo regalo che i Cananei di Byblos offrirono all'Egitto fu la certezza di una vita dell'anima dopo la morte, simbolizzata dall'apparizione di un dio giovane e bello, Adone, che le forze del male  annientavano in primavera ma che la sorella della sua anima, Astarte, simbolo dell'acqua vivificante delle sorgenti, riporta alla vita bagnandolo con le sue lacrime.

Ma la stiva del vascello conteneva altre derrate, molto materiali, di cui gli egiziani ignoravano senza dubbio tutto poiché hanno conservato il loro nome semitico nella lingua egiziana: si tratta du "qambu" (grano) e della "karmou" (vino). Il primo produttore di vino nel mondo aveva esportato la sua prima giara. Dopo, tutti i viaggiatori, che sono passati per questo paese hanno fatto l'elogio del vino del Libano. Si pensa che anche i Crociati portarono nei loro paesi  i vitigni libanesi...

Il vino "Passum"

"Cartaginesi mangiatori di zuppa" così per secoli furono chiamati, come altri popoli del bacino mediterraneo, ed essi continuarono ad essere tali fino ad avant'ieri, prima di cadere nella selvaggia prigionia del fast-food e dell'hamburger.

Con tutte le leguminose, lenticchie, fave, ceci, erbe odorose e molto capriccio e fantasia, ci hanno nutrito di amidi e carboidrati, conservandoci sani e forti con un piatto che, anche unico, e con il solo apporto di una goccia di olio d'oliva e un pizzico di peperoncino calabro o del monte del Libano, rende felice la giornata di un uomo.

Frutteti fenici, più modesti ma così preziosi quanto i giardini di Ninive e di Babilonia, e cavoli libici, cardi cartaginesi, elevati al rango di carciofo, e aglio, molto aglio. E frutti fenici, nella perfezione dei fichi, melograni, mandorle, noci, pere e datteri, molti datteri. Ma sicuramente, è chiaro, con queste delizie e questo calore, non restava più molto spazio al vino, che forse da alla vita il saggio oblio, ma che veramente è superfluo fra queste raffinatezze profumate, carezzate dal clima il più dolce, sotto il cielo più blu e il mare più azzurro...

Nel villaggio di Machmouchè, a sud del monte Libano, si contavano almeno 21 specie di uva. I vigneti di Machmouchè, come dappertutto nella montagna, erano impiantati a terrazza. Le viti erano minuziosamente disinfestate e potate ogni anno. Meryon spiega le tappe della produzione del vino: una volta raccolte, le uve, specie quelle bianche, erano messe al sole a seccare per una settimana, i gambi rivolti verso l'alto. Avveniva allora la pigiatura, a piedi nudi dentro un paniere. Il succo era raccolto e lavorato in due modi. Per produrre un vino secco, era messo a fermentare di seguito in grandi giare di terracotta chiuse per 40 giorni con un coperchio di legno fissato ermeticamente sugli orli.

Per ottenere un vino dolce, bisognava scaldare il succo d'uva in un grande recipiente, fargli fare una breve bollitura fino a quando si forma sulla superficie una schiuma, che presto veniva raccolta. Il liquido era in seguito conservato nelle stesse grandi giare utilizzate per il vino secco...

Le cucine mediterranee

( brani tratti dal saggio di Francoise Aubaile-Sallenave in " Quantara", n. 36, estate 2000 )

La sobrietà dei mediterranei è ben conosciuta. Ma è difficile sapere se ci si trova in presenza di un'assenza di desideri o di desideri repressi, scriveva Charles Parain nel 1936. In effetti, la sottoalimentazione è rimasta, fino alla seconda guerra mondiale, un fenomeno ricorrente nell'insieme del mondo mediterraneo; e il mediterraneo resta piuttosto vegetariano.

Tuttavia prevalgono oggi certe idee incitanti a un ideale di alimentazione salutare il cui modello è, si dice, "la cucina mediterranea", considerata come unica, immutabile se no millenaria. In accordo con queste visioni generalizzate, si è creata una visione modellatrice del regime mediterraneo proposto dai dietologi e divulgato dai media dove certi aspetti affrontati sono estremistici e fortemente riduttivi.

La scelta del Mediterraneo come modello si spiega anche, forse, per l'influenza culturale di civiltà prestigiose del passato che produssero dei grandi medici e dietologi quali Dioscoride e Ippocrate.

A queste affermazioni si oppone la questione della natura, dell'unità o della diversità della cucina mediterranea: la cucina di Siviglia somiglia a quella di Marsiglia o di Beirut ?

I mediterranei d'oggi mangiano ciò che mangiavano ieri? Questa cucina mediterranea sarà una finzione o una realtà? Non è il più piccolo dei paradossi che l'immagine più popolare di queste cucine è basata su dei prodotti esotici: il melone, il basilico importato nell'antichità, e soprattutto il pomodoro, il mais, i fagioli, il peperoncino e la zucca arrivati nel XVI secolo dall'America e che i giardinieri mediterranei hanno trasformato in peperone per il peperoncino e in zucchina per la zucca, l'ultima non ha più di due secoli di esistenza.

Ciò sottolinea l'interesse della questione: cosa c'è di mediterraneo nei successivi e multipli prestiti di prodotti non mediterranei? L'essenza di una cucina si fonda sui prodotti utilizzati o su delle credenze, sulla capacità di preparazione e di cottura degli alimenti e dei modi di consumarli?

Quando si passeggia in qualcuno dei paesi del litorale mediterraneo, si percepisce, all'ora del pranzo, ben altri odori che quello dell'olio d'oliva, dell'aglio o della frittura. Allorquando si studiano queste cucine in una delle grandi città cosmopolite che sono Marsiglia, Barcellona, Genova, Salonicco, Tangeri, Tunisi, Alessandria, Beirut, o in un piccolo villaggio della Castiglia, del Peloponneso o della Diurdjura, si scopre che esiste una grande varietà.

Mondo di contrasti, il Mediterraneo offre una geografia e clima diversi e una storia ricca; ogni invasore vi ha portato nuovi frutti, nuovi legumi, nuove ricette e nuove tecniche. Greci e romani fecero già conoscere frutti e spezie dell'Oriente; i musulmani alla fine del VII secolo amplificano il movimento portando, con le loro ricette, il riso, i legumi, frutti (arancia, pesca, mele) condimenti e soprattutto spezie dell'estremo Oriente (cardemonio, ginepro, pepe, galanga) e il pepe di Guinea dall'Africa. Infine, verso la fine del XV secolo, spagnoli e portoghesi importano dall'America legumi rivoluzionari citati prima. Non si può minimizzare, non più, il parametro religioso. Se tre religioni coesistono con i loro divieti alimentari e i loro digiuni particolari, ciò è dovuto anche al fatto che esse condividono pratiche e rappresentazioni. Soltanto i cristiani d'occidente hanno sviluppato la cucina a base di grasso e di carne di maiale. Essi sembrano essere anche i soli a conoscere la salumeria affumicata del maiale, allorché il bue si conserva seccato (cecina spagnola o pastourma turca); il montone, presso i cristiani del Medio Oriente e tutti i musulmani, fornisce il "qalid", carne seccata.

In effetti, se il maiale è vietato ai musulmani e agli ebrei non è tradizionalmente consumato dai cristiani d'Oriente che, come i musulmani e gli ebrei, dissanguano tutte le loro carni e non mangiano sanguinaccio.

I periodi di digiuno portano per compensazione una grande variazione sul tema dei dolciumi; così, durante il ramadan le pasticcerie abbondano, così come durante la quaresima cristiana e il digiuno ebreo.

ALIMENTAZIONE, DIETETICA E MEDICINA

Non si mangia semplicemente per nutrirsi, ma per fare penetrare qualcosa che di buono nel corpo e nello spirito. La dietetica comanda spesso l'alimentazione. Via la dietetica, l'alimentazione entra nel sistema dei saperi medici tradizionali. Questi sono i precetti della dietetica che hanno controllato e controllano sempre in parte l'alimentazione mediterranea nel suo insieme.

La medicina ha molto presto segnato i condimenti e le spezie, di odore e di sapore particolarmente esaltati, che erano le droghe vendute presso lo speziale. Esse restano ancora ambivalenti: l'aglio, la cipolla, il limone,il timo, essendo tutti aromi da cucina, sono dopo molto tempo riconosciuti come potenti antisettici. Il prezzemolo a forti dosi è emmenagogo, lo stesso la ruta.

Questi dietologi medievali arabi e cristiani, attingendo al sistema umorale d'Ippocrate, tenevano conto della natura dei prodotti alimentari, della natura del mangiatore, del suo stato, della stagione infine per raccomandare questo o quell'altro tipo di alimento.

Lo scopo è sempre una cucina equilibrata che rende gli alimenti i più efficaci e i più digesti possibili, e utilizza quando è necessario la loro azione profilattica o medicinale, senza dimenticare la dimensione edonistica. Quest'ultimo fattore è primordiale per l'assimilazione e una buona digestione, dicevano già i medici medievali arabi come Avicenna nel X secolo.

Questo sistema dietetico resta oggi molto presente nella conoscenza popolare. E' così che il cibo del malato è dovunque il brodo di pollo, alimento molto valorizzato, a sua volta ricco e leggero, al quale si aggiungono i dolciumi grassi, l'associazione dello zucchero e del grasso erano considerati essere un ricostituente superiore per ristabilire la madre nel suo stato primario e farle recuperare il sangue perduto.

Olio, a tavola con il mito

(brani tratti dall'articolo di Lorenzo Piccioni in "La Sicilia ricercata", luglio 2000)

Fu quindi dove nacquero e prosperarono le prime grandi civiltà della terra, attorno alle aree più fertili e progredite, nel bacino del Mediterraneo ed in Medio Oriente, che la coltivazione dell'olivo prosperò e progredì insieme alle innumerevoli leggende ed alle figure mitologiche che ne costellano la storia. I primi coltivatori d'olivo furono gli abitanti dell'Asia minore e successivamente i greci che, a sentire Teofrasto Plinio, ne selezionarono per primi una decina di qualità, ma a diffonderlo furono soprattutto i fenici, i cartaginesi ed infine i romani che diedero alla coltivazione della pianta e alla distribuzione dell'olio un avanzato sistema organizzativo con i negotiatores olearii ed addirittura una sorta di borsa merci per la trattazione delle partite di olio provenienti dall'impero: l'arca olearia.

Nell'antichità, l'olio era considerato elemento di scambio commerciale al pari di altre importanti merci, così quando furono coniate le prime monete, a Crotone, si volle raffigurare proprio l'olivo, a simboleggiare ricchezza e progresso. Insomma era una merce di fondamentale importanza per le economia delle popolazioni mediterranee e non solo.

I commerci con l'estremo oriente vedevano sempre l'olio protagonista degli scambi insieme a merci importantissime. Un ruolo che va ben oltre l'ambito commerciale, per radicarsi nel profondo della spiritualità umana e farsi protagonista anche nei riti sacri...

Invero poco sappiamo sull'origine di questa meravigliosa pianta. Probabilmente originaria delle pianure asiatiche, l'antenata dell'attuale "Olea europea sativa" venne introdotta nell'area mediterranea dalle prime attività commerciali e di scambio fra le popolazioni più progredite che ne colsero immediatamente tutte le potenzialità; il codice babilonese di Hammurabi nel 2500 a.C. regolamentava la produzione ed il commercio dell'olio e così in Egitto, ancor prima della XIX dinastia, esisteva un fiorente commercio di olio d'oliva.

Successivamente i Greci e i Fenici estesero in tutto il bacino del Mediterraneo la coltivazione dell'olivo che trovò così il suo habitat più fiorente diventando parte dell'ambiente e del paesaggio in tal stretta misura da esserne protagonista indiscusso fino ai nostri giorni, talvolta rappresentando la stessa civiltà mediterranea con la sua semplice presenza, come simbolo di pace e di prosperità.

Fin dall'antichità, erano noti sicuramente gli enormi pregi nutrizionali e le grandi qualità medicamentose dell'olio d'oliva: basti pensare al grande Ippocrate, padre della medicina, che nel IV secolo a.C. consigliava l'uso di tale alimento come rimedio per molte malattie. Oggi tutti i medici e i dietologi consigliano parimenti il consumo dell'olio extravergine di oliva come prevenzione delle patologie cardiovascolari e neoplastiche...

Fino ai nostri giorni il cammino della pianta d'olivo è stato ininterrotto, diffondendosi maggiormente in tutte quelle zone dove caratteristiche pedoclimatiche favorevoli ne permettevano l'impianto e una proficua cultura.

Ed ecco che in Sicilia, legata alle grandi civiltà greca, fenicia e poi romana, l'olivo trova una delle collocazioni più felici nel suo lungo viaggio attraverso la storia. In Sicilia olio e olivo sono la quotidianità di sempre: l'olivo è parte della cultura locale come in altri pochi luoghi sulla terra.

Qui le distese di antichissimi olivi maestosi ricoprono vaste zone del territorio, caratterizzandone il paesaggio con una presenza tanto fitta quanto puntuale. Furono i dominatori spagnoli che in Sicilia raggiunsero il più alto risultato in termini di coltivazione dell'olivo, incrementando in forte misura la produzione, e favorendo il rinnesto delle piante più inselvatichite, grazie anche alle tecniche acquisite a loro volta durante la dominazione araba che, guarda caso, aveva segnato profondamente anche la Sicilia. Dovunque gli olivi segnano il tempo inenarrabile dell'isola con le forme contorte e tormentate dei loro tronchi giganteschi. Spesso si tratta di veri e propri monumenti viventi, vecchi di parecchie centinaia d'anni, quando non addirittura millenari.

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Numero 7 - settembre 2000

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