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( ANALISI )


La Conferenza di Rabat del 1974: una valutazione. [1]


Marocco - Rabat

La Conferenza di Rabat del 1974 di tutti i capi di stato e di governo dei paesi arabi fu un momento cruciale nella storia del conflitto arabo-israeliano e del Medio Oriente. In essa gli stati arabi decisero che l'OLP, nato dieci anni prima nel primo summit arabo al Cairo, era il solo e legittimo rappresentante del popolo palestinese. In questo modo l'OLP e Arafat, che incarnavano il "nuovo" nazionalismo particolare palestinese sorto dal naufragio del sogno pan-arabo di Nasser nel 1967, divennero la parte con cui Israele avrebbe dovuto negoziare una sistemazione per i territori palestinesi occupati, delegittimando la Giordania che fino ad allora aveva svolto quel ruolo. Al riconoscimento arabo seguì il riconoscimento internazionale e sempre nel 1974 l'OLP fu riconosciuto dall'ONU come unico rappresentante del popolo palestinese e fu invitato come osservatore ai lavori delle Nazioni Unite.

Per la Giordania, ed in particolare per Hussein, Rabat fu una dura sconfitta; ci vollero quattordici anni perché Hussein riconoscesse del tutto gli effetti di Rabat, con la scissione dei legami amministrativi e legali con la West Bank, e diciannove anni perché Israele, con il processo di Oslo, si rassegnasse a riconoscere nell'OLP l'unico possibile interlocutore palestinese.

Perché a Rabat i leader arabi decisero di togliere alla Giordania il mandato per negoziare il ritorno della West Bank e per rappresentare i palestinesi, per affidarlo all'OLP, pur sapendo che Arafat aveva, almeno nel medio periodo, molte meno probabilità di riottenere la West Bank di Hussein, e che quindi uno stallo di durata indefinita sarebbe originato dalla decisione? Perché soprattutto le garanzie di Kissinger riguardo l'appoggio egiziano e marocchino durante la conferenza si rivelarono del tutto infondate?

Secondo l'interpretazione di Zeid Rifai "dopo la conferenza del 1973, dopo la conferenza di pace a Ginevra, continuammo ad insistere che avremmo dovuto avere una separazione di forze sul nostro fronte, e facemmo grande pressione sugli americani, ma Kissinger probabilmente scoprì che non era facile convincere gli israeliani a ritirarsi da parte della West Bank e che era molto più facile concentrarsi sul fronte egiziano. Il disimpegno siriano fu fatto solo perché [Kissinger] potesse continuare a lavorare su Sinai II e quindi sugli sviluppi che condussero a Camp David. Quindi esiste uno scenario che sostiene che gli americani appoggiarono pure quella decisione [Rabat,cioè], perché toglieva alla Giordania la responsabilità di negoziare  per la West Bank  e la consegnava all'OLP. E immediatamente dopo la conferenza di Rabat, Kissinger divulgò il suo impegno che gli Stati Uniti non avrebbero riconosciuto l'OLP fino a che l'OLP non avesse riconosciuto Israele, accettato [le risoluzioni] 242 e 338 e rinunciato alla violenza e al terrorismo. E l'OLP naturalmente non era pronto a farlo allora. Quindi si terminò per non avere nessun partito ufficialmente riconosciuto per rappresentare o per parlare per conto della West Bank: la Giordania era fuori scena, l'OLP non aveva soddisfatto le condizioni e quindi si poté mettere da parte il problema palestinese e concentrarsi sul fronte egiziano. C'è uno scenario che lo sostiene, non possiamo verificarlo, ma se ne è parlato [.] decisamente Kissinger era interessato ad ottenere qualunque successo, ad ogni costo, e probabilmente percepì che gli israeliani avevano dei disegni riguardo la West Bank, che non era possibile fare progressi sul fronte giordano. E che l'opportunità migliore era sul fronte egiziano. Kissinger voleva aver successo in ogni cosa in cui venisse implicato e crediamo che gli Stati Uniti avrebbero potuto fare molto di più allora e che avrebbero potuto cambiare il corso della storia se ci fosse stato un ritiro israeliano prima di Rabat. Ma questo non accadde [.] è un'opinione personale, [ma Kissinger] fece davvero molto per aiutare Israele e gli israeliani"[2]. Zeid Rifai, citato nei lavori di Samir Rifai e Madiha al Madfai, è anche più esplicito, arrivando a sostenere che Sadat avrebbe addirittura indirettamente coordinato con Sadat la guerra del 1973[3] e che "Kissinger complottò contro la nazione araba. E Sadat partecipò al complotto. Il resto degli arabi caddero nel complotto"[4]. Adnan Abu Odeh spiega in che modo Kissinger avrebbe influenzato la decisione di Rabat "Kissinger apparve sulla scena per dare una spinta delicata a Sadat spiegandogli esasperato come fosse impossibile risolvere il problema palestinese a causa dell'esistenza di due parti che reclamavano la West Bank: la Giordania e l'OLP, e insinuando che se la Giordania avesse rinunciato al suo ruolo, sarebbe diventato più facile trovare una soluzione. Il presidente Sadat si deve essere convinto. Divenne apertamente il campione dell'OLP a Rabat e giocò un ruolo importante nel persuadere gli altri stati arabi a seguire la linea"[5]. Nel novembre 1974, il mese successivo alla decisione di Rabat, Kissinger si recò ad Amman. Quando Rifai gli chiese come mai nell'agosto precedente fosse stato tanto sicuro che a Rabat non sarebbe stata adottata una decisione favorevole all'OLP, Kissinger avrebbe risposto "mi dispiace, ma abbiamo valutato male le nostre capacità manipolative"[6], ma, riporta Samir Rifai, "Rifai era sicuro che Kissinger avesse usato tutte le sue capacità manipolative per incoraggiare l'adozione della decisione di Rabat"[7].

Kissinger al contrario in più parti delle sue memorie, afferma che a suo avviso si sarebbe dovuta fare una mossa sul fronte giordano, per evitare che l'OLP diventasse il responsabile dei negoziati per la West Bank. Raggiunto un accordo di disimpegno con la Siria, scrive Kissinger nelle sue memorie, "la vera scelta era da farsi tra il compiere un nuovo passo avanti nel Sinai o il tentare un accordo sul disimpegno con la Giordania. Sadat ci aveva esortato a dare la precedenza al fronte egiziano. Era ansioso di procedere verso quel trattato di pace che lui solo, tra tutte le parti in causa, riteneva conseguibile. A parer mio, avremmo dovuto compiere la mossa successiva con la Giordania [.] [invece scegliemmo] la direzione che presentava la minor resistenza e determinò l'esito peggiore possibile. Avevo ritenuto che gli interessi di tutti sarebbero stati meglio serviti stabilendo, il più rapidamente possibile, una presenza giordana sulla riva occidentale. Ciò avrebbe fatto della moderata Giordania la negoziatrice nella fase palestinese del processo di pace. Un numero sempre maggiore di osservatori - i giovani europei e gli intellettuali americani - stava prospettando l'OLP come la chiave più indicata per aprire la riva occidentale. Io ero certo invece ciò avrebbe sbarrato la porta a un accordo"[8]; Kissinger descrive poi, come però fosse impossibile effettuare un progresso sul fronte giordano a causa della non disponibilità israeliana, dell'opposizione egiziana e della mancanza di interesse siriana. Kissinger confessa allora come, dibattuto tra la sua analisi, che richiedeva un accordo con la Giordania, e la situazione obiettiva, che lo rendeva impossibile, "cercai di guadagnare tempo, mantenendo aperte sia la scelta egiziana sia la scelta giordana - senza impegnarmi, da ultimo, per nessuna delle due - nella speranza che le circostanze potessero risolvere le nostre perplessità. E' una linea d'azione che ho adottato di rado e alla quale resisto di solito intellettualmente. Le circostanze sono neutrali: il più delle volte imprigionano, anziché giovare. Lo statista che non riesce a foggiare gli eventi, ne viene presto travolto; viene costretto a porsi sulla difensiva e a lottare con la tattica invece di portare avanti il suo scopo. E questo è esattamente quello che accadde riguardo al problema palestinese. Quando il 28 ottobre 1974 un vertice arabo a Rabat designò l'OLP come il solo rappresentante e l'unico portavoce arabo per la riva ovest, ed eliminò la Giordania dal gioco diplomatico, il dilemma israeliano e lo stallo nelle trattative palestinesi che avevo previsto - senza far nulla per oppormi - divennero entrambi inevitabili"[9].

Le ricostruzioni memorialistiche abbondano inevitabilmente di senno di poi, e tendono purtroppo a rendere i fatti in una luce tale che giustifichi gli atti di chi parla.

E' dunque impossibile sapere fino a che punto Kissinger sia stato travolto dagli eventi come reclama, e quanto invece li abbia forgiati come sostiene Rifai; la teoria del complotto di Rifai appare però trascurare elementi di grande importanza[10].

La decisione di Rabat nasce dal processo di disimpegno arabo dalla questione palestinese originato dalla Guerra dei Sei Giorni e dal "ritorno della geografia"[11], cioè l'affermarsi delle considerazioni geopolitiche, della ragion di stato, della realpolitik come base delle scelte politiche degli stati mediorientali, in un processo che si sarebbe coronato alla fine degli anni Settanta nel distacco egiziano dal conflitto arabo-israeliano.

In questo caso gli elementi decisivi sono due, collegati tra loro: la spinta di Sadat verso una pace separata con Israele, e l'attitudine degli altri paesi arabi verso la Giordania e verso la questione palestinese.

L'interesse primario di Sadat era il recupero del Sinai e il successivo raggiungimento di una pace separata con Israele che ponesse fine al coinvolgimento egiziano nel conflitto arabo-israeliano, divenuto un fardello non più sostenibile da parte dell'Egitto. A questo fine Sadat orchestrò la guerra d'Ottobre come una guerra limitata con uno scopo politico preciso: la rottura dello stallo nel processo di pace e l'avvio di un processo che, grazie all'intervento delle superpotenze ed in particolare degli Stati Uniti, avrebbe condotto ad una pace separata. La guerra d'Ottobre, se dimostrò da un lato che un attacco arabo seriamente preparato e coordinato poteva infliggere delle dure perdite allo stato israeliano, segnò anche la fine della speranza di un approccio comune arabo per la soluzione globale del conflitto arabo-israeliano e della questione palestinese.

Esisteva tra Egitto ed Israele un sostanziale interesse comune: da un lato l'Egitto era disposto ad arrivare ad una pace separata con Tel Aviv e desiderava il ritorno del Sinai; dall'altro Israele era disposto a concedere il Sinai per una neutralizzazione del fronte sud-occidentale e del nemico militarmente più pericoloso che avrebbe rafforzato enormemente la sua posizione sugli altri fronti, ed in particolare nella West Bank, rendendo impossibile una nuova guerra arabo-israeliana.

Nel 1974 Sadat, quindi, vedeva un'occasione forse irripetibile di raggiungere i suoi fini e, allo stesso tempo, si rendeva conto di come, al contrario, i negoziati per un disimpegno israeliano nella West Bank sarebbero andati incontro a problemi probabilmente irresolubili, e per questo non desiderava condizionare i progressi sul fronte egiziano a quelli sul fronte palestinese.

L'appoggio di Sadat all'OLP durante la conferenza di Rabat intendeva dunque mettere fuori gioco la Giordania affinché il processo di pace abbandonasse il fronte palestinese e si concentrasse sul fronte egiziano; allo stesso modo Sadat ricercava così l'appoggio di Arafat e dell'OLP per evitare che i suoi passi sulla strada di un accordo separato con Israele fossero attaccati dall'organizzazione palestinese.

In questo quadro appare, dunque, che il vero protagonista sia Sadat e non Kissinger, e che quest'ultimo, come lui stesso ammette, più che suggerire a Sadat di appoggiare l'OLP, non abbia fatto nulla per evitare che la decisione di Rabat fosse presa, conscio di come anche per gli interessi americani il fronte egiziano fosse di gran lunga più importante di quello palestinese, e di come solo su questo vi fossero reali possibilità di successo.[12]

La decisione di Rabat non riflette, però, solo il desiderio di Sadat di disimpegnarsi dalla questione palestinese, ma anche quello degli altri stati arabi che, dopo venticinque anni privi di ogni progresso, desideravano lasciare all'OLP che la reclamava la responsabilità di risolvere la questione palestinese e soprattutto di fare le concessioni necessarie per risolverla, per concentrarsi sulle questioni di più diretto interesse nazionale. "Per gli arabi, realmente, [la decisione di Rabat] significò liberarsi di questo problema e darlo ai palestinesi, lasciando che prendessero la responsabilità delle loro decisioni, [anche] perché [gli stati arabi] non volevano essere poi incolpati per esse"[13].

Rabat segnò, secondo l'interpretazione di Abu Odeh, "l'inizio del disimpegno, del disimpegno arabo collettivo riguardo la questione palestinese, per lasciarla ai palestinesi. A quel tempo i palestinesi ne erano molto felici, per cui vi fu una formula davvero ironica, [secondo la quale] allora sembrò un successo il fatto che gli stati arabi si disimpegnassero, quando la fonte della forza dei palestinesi era [in realtà] l'appoggio arabo collettivo all'OLP. E gli arabi erano anch'essi molto felici di disimpegnarsi. Questo è quello che chiamo ironia storica. Perché sin dall'inizio della questione palestinese nel 1947, quando le Nazioni Unite adottarono la risoluzione della partizione, furono gli stati arabi e la Lega Araba ad essere i guardiani della causa palestinese, e lo continuarono ad essere fino a Rabat. Rabat fu l'inizio del disimpegno degli stati arabi dalla questione palestinese per renderla puramente una responsabilità palestinese, in cui gli stati arabi avrebbero [semplicemente] appoggiato i palestinesi"[14]

La richiesta dell'OLP di essere il solo e legittimo rappresentante del popolo palestinese, dunque, incontrava un consenso arabo generale, cui la sola Giordania si opponeva, e che era cementato dal fatto che la Giordania giungesse a Rabat in una situazione di prolungato isolamento all'interno del mondo arabo. Le ferite provocate da Settembre Nero e dal Piano del Regno Arabo Unito del 1972 non erano ancora state completamente sanate e la mancata partecipazione alla guerra d'Ottobre indeboliva la pretesa hashemita di avere un mandato per negoziare per i palestinesi. Come scrive Bailey, "per molti leader arabi, questa fu un'ora di dolce vendetta nei confronti di un sovrano che per anni si era permesso di seguire politiche indipendenti contrarie all'opinione pubblica nel mondo arabo. Houari Boumedienne, il presidente dell'Algeria, espresse il sentimento prevalente in faccia a re Hussein con parole sarcastiche e mordaci: "direi che il ruolo della monarchia hashemita in Palestina terminò con le battaglie di Ramadan [la Guerra d'Ottobre]; la Giordania deve perciò tornarsene sulla propria East Bank e lasciare gli affari dei palestinesi ai palestinesi"[15].

Infine la Giordania pagò a Rabat, di fronte ad un OLP la cui popolarità all'interno dei territori occupati, del mondo arabo e della comunità internazionale era in continua ascesa, il prezzo della ferita morale inferta dagli scontri con la resistenza palestinese nel 1970-71, quando il regime hashemita agli occhi di molti palestinesi, soprattutto nella West Bank, aveva perso il diritto morale a rappresentarli.

In conclusione anche se gli Stati Uniti e Kissinger avrebbero, forse, potuto fare di più per la Giordania, dato che un disimpegno sul fronte giordano avrebbe probabilmente evitato la decisione di Rabat, le radici della perdita da parte della Giordania del mandato a rappresentare i palestinesi e dell'"incoronazione" dell'OLP sono ben più profonde di una semplice congiura machiavellicamente architettata dai due principi Sadat e Kissinger, ma riflettono il senso profondo dell'evoluzione regionale (e all'interno del nazionalismo palestinese) dopo la Guerra dei Sei Giorni, verso una politica estera meno ideologica e sempre più orientata dall'interesse nazionale particolare.



[1] Questo articolo affronta la Conferenza di Rabat partendo da un punto di vista giordano. Esso infatti si appoggia su di una più ampia ricerca condotta in Giordania riguardo la politica giordana e la questione palestinese. In particolare le principali fonti sono le interviste personali avute con Zeid Rifai, Adnan Abu Odeh e Kamel Abu Jaber. Inoltre una fonte particolarmente preziosa per ricostruire la Conferenza di Rabat è Samir Z. Rifai, The 1974 Rabat Conference. A Crucial Arab Summit. M.Phil. Degree Thesis, Trinity College, Oxford 1989. Samir Rifai è il figlio di Zeid Rifai, ed ha quindi potuto avvalersi, oltre che delle confidenze del padre, degli archivi del governo giordano.

[2] Zeid Rifai (attuale Presidente del Senato giordano, primo ministro nel 1973-76 e nel 1985-89. A Rabat era presente come primo ministro e ministro degli esteri giordano), intervista personale.

[3] Madiha R. al Madfai, Jordan, the United States and the Peace Process 1974-1991, Cambridge 1993.

[4] Zeid Rifai, citato in Madiha R. al Madfai, ibid..

[5] Adnan Abu Odeh, citato in Samir Z. Rifai, 1989, op. cit..

[6] Citato in Samir Z. Rifai, ibid.. Madiha al Madfai riporta che riguardo questo punto Kissinger avrebbe detto "Il signor Rifai mi ha frainteso, gli dissi voi avete valutato male le nostre capacità manipolative". Vd. Madiha R. al Madfai, 1993, op. cit..

[7] Samir Z. Rifai, 1989, op. cit..

[8] Henry Kissinger, Anni di Crisi, Milano 1982.

[9] Henry Kissinger, ibid..

[10] Un osservatore giordano poco persuaso della teoria di Rifai, fa rilevare come questa "implichi un livello di coordinazione e di collusione più alti di quelli solitamente raggiungibili dagli arabi". Intervista personale.

[11] L'espressione appartiene a Ghassan Salame, vd. Ghassan Salame, Inter-Arab Politics: the Return of Geography in William B. Quandt (ed.), The Middle East Ten Years After Camp David, Washington, 1988.

[12] E Kissinger aveva sempre, sin dal principio, chiaramente detto che si sarebbe impegnato nel Medio Oriente solo se avesse ritenuto di poter avere successo.

[13] Kamel Abu Jaber (Economista, politilogo, attualmente Presidente dell'Istituto Diplomatico giordano, già Ministro dell'Economia e Ministro degli Esteri), intervista personale.

[14] Adnan Abu Odeh (Consigliere Politico del re Abdallah, uno dei principali consiglieri di re Hussein, già Capo della Corte Reale, a lungo Ministro dell'Informazione e Consigliere Politico del sovrano), intervista personale.

[15] Clinton Bailey, Jordan's Palestinian Challenge, 1948-1983, Londra 1984.


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Numeri 9 e 10
novembre - dicembre 2000


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