( EDITORIALE ) Africa: un continente alla deriva Chi, oggi, pensa all'Africa l'immagina come un immenso luogo di sofferenza, di pena, come un inferno dove 750 milioni di uomini e donne sono condannati a scontare un fio atroce per la sola colpa di esservi nati. Un continente pervaso da fame e da malattie endemiche e mortali (23 milioni gli infetti di AIDS), da guerre, siccità, corruzione, superstizioni ed armi portentose, ma anche ricco di materie prime strategiche, di petrolio e diamanti. L'enorme testa di questo continente, il nord-Africa, si affaccia nel Mediterraneo, a soli 34 km dalla Spagna e a 180 km dall'Italia. Povertà e conflitto sono gli elementi caratterizzanti l'evoluzione della situazione africana. La guerra fra Etiopia ed Eritrea e quella civile in Sierra Leone, dove si sta consumando una delle più atroci barbarie di questo secolo, sono gli ultimi episodi di una tragedia che dura da decenni. Con l'aggravante che in questa insanabile conflittualità ritorna a primeggiare il fattore tribale sollecitato dall'ingordigia di clans corrotti, al servizio di alcune potenti multinazionali. Stanno per essere vanificate le speranze accese dalla decolonizzazione e gli sforzi intrapresi per costruire, nella libertà e nella democrazia, uno Stato e un'economia nazionali, in un continente progredito e pacifico. Sotto i colpi di un tribalismo di ritorno, si sbriciolano gli Stati (molti dei quali disegnati a tavolino dalle potenze coloniali), si restringono gli spazi di libertà e la stessa idea dell'indipendenza nazionale rischia di essere travolta da questa ondata di insanìa, accesasi per accaparrarsi le ricchezze africane. A 40 anni dal suo inizio, il bilancio della decolonizzazione è certamente negativo: l'Africa è entrata in un vortice regressivo che nessuno riesce a controllare. A fronte di questo fallimento, c'è chi invoca, apertamente, il ritorno alla soluzione coloniale, ai protettorati, visto che quasi mezzo secolo d'indipendenza (meglio sarebbe dire di neo-colonialismo economico, politico e culturale), non è bastato a garantire "ordine e civiltà". Purtroppo le statistiche danno ragione ai propugnatori del colonialismo: gli indicatori economici di diversi paesi africani del periodo coloniale sono quasi tutti più alti di quelli attuali. Come è potuto accadere tutto ciò ? Chi sono i responsabili di questo clamoroso fallimento? Sappiamo che a tirare le fila di questo tragico teatrino sono alcune potenti multinazionali occidentali, appoggiate dai rispettivi governi nazionali, che, in nome d'interessi inconfessabili, attizzano odi etnici e guerre tribali, finanziano colpi di stato e azioni depravate. Le Nazioni Unite, la cosiddetta "Comunità internazionale" assistono, quasi impotenti, a questa deriva dell'Africa: si mandano sacchi di farina per lenire la fame di un giorno e "caschi blù" che presto diventano docili ostaggi del disordine che dovrebbero debellare. E' difficile avere una visione puntuale e soprattutto efficace della condizione africana. Tuttavia, penso che un'analisi cruda, impietosa aiuterebbe a meglio capire il disastro dell'Africa e di altre regioni sottosviluppate del mondo. Solitamente, l'opinione progressista e di sinistra se la prende con i "torti storici" del colonialismo predone, con lo sviluppo "negato" dal neocolonialismo, con i programmi delle multinazionali dell'economia globalizzata, etc, etc. Tutto vero. Effettivamente stanno lì le maggiori colpe. C'è però un segmento di responsabilità, a mio avviso, molto importante e generalmente sottaciuto o banalizzato: quella attinente alle classi dirigenti politiche africane del post-indipendenza, compresi molti intellettuali, managers, scienziati, economisti, artisti, scrittori. Fare il processo ai "sudditi" Complessivamente considerata, l'attuale classe dirigente africana esce molto male dalla vicenda politica e morale di questo continente. Soprattutto, durante la fase finale della contrapposizione Est/Ovest, una miriade di piccoli dittatori furbastri si sono autoproclamati difensori del liberismo occidentale o del vangelo marxista leninista secondo il vento che tirava, per ingraziarsi i favori dei governi e delle opinioni pubbliche dei paesi donatori. Così l'Occidente liberale e il blocco dei Paesi socialisti, sospinti dalla cieca concorrenza, hanno nutrito ed appoggiato, politicamente e militarmente, gente come Siad Barre in Somalia, Menghistu in Etiopia, Moboutu in Congo, Amin in Uganda, Bokassa in Centro Africa (questi due accusati fra l'altro di cannibalismo), ma anche i bianchi razzisti del Sud Africa o della Namibia A questa tipologia di dirigenti non sono certo assimilabili i leaders nordafricani, tuttavia non possono considerarsi esenti da responsabilità per gli abusi perpetrati, principalmente sul terreno della democrazia e delle libertà individuali. Forti di tali appoggi e delle ricchezze rapinate, molti di questi satrapi hanno creato dei regimi basati sui legami tribali e quindi sul principio dell'esclusione e della più indicibile repressione di ogni dissenso. Si sapeva che Menghistu massacrasse le popolazione dell'Ogaden, ma non lo si doveva denunciare perchè era un "pilastro del socialismo nel Corno d'Africa"; si diceva che Bokassa mangiasse letteralmente il cuore dei suoi avversari politici e però veniva ricevuto all'Eliseo con tutti gli onori riservati ad un imperatore poiché, ogni volta che si recava a Parigi, portava casse di diamanti. A questa classe dirigente, istruita e sovente formatasi nelle università dell'emisfero nord, l'Africa del post - indipendenza aveva affidato il suo futuro, le sue ricchezze e i suoi problemi. La gran parte di questi dirigenti si sono lasciati irretire dalle mire delle grandi multinazionali di armi e di materie prime, hanno svenduto la "loro Africa" in cambio di un conto in Svizzera e da padroni del loro destino sono divenuti sudditi di un Re straniero e invisibile. Ora - io dico - se un processo si dovrà fare per condannare i responsabili di tale disastro, oltre al Re, bisogna processare anche i sudditi. Una volta tanto. Naturalmente, non tutti i leaders africani sono fatti di questa pasta. Esistono alcune monumentali eccezioni. Una per tutte, la figura di Nelson Mandela che da sola basterebbe a riscattare l'onore e la dignità dell'Africa intera. Agostino Spataro ( torna su )
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Numero 5 - maggio 2000
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