L'11° rapporto sullo sviluppo umano, pubblicato recentemente dal PNUD, meriterebbe un discorso lungo e approfondito. Ma non ci sembra il caso, poiché di fronte all'eloquenza di certi dati (riportati con mirabile sintesi dal giornale marocchino "L'Economiste") e dopo tanti rapporti c'è poco da commentare e perfino da recriminare. La questione della condizione umana è prima di tutto un problema di coscienza individuale e collettiva, che ci richiama a riflettere e soprattutto ad agire e a modificare i nostri comportamenti sociali e politici. Per colmare o quantomeno ridurre gli enormi divari fra Nord e Sud del mondo non bastano le cosiddette "opere di bene", né la carità pelosa di quanti pensano di sgravarsi la coscienza, ma sono necessarie scelte politiche ed economiche, anche drastiche, conseguenti con gli ideali di solidarietà sbandierati. Sapendo che se vogliamo aiutare gli "ultimi" (in questo caso a sopravvivere) dobbiamo intaccare l'oltraggiosa opulenza dei "primi". Le risorse sul nostro pianeta sarebbero sufficienti per assicurare a tutti una dignitosa esistenza. Purtroppo nel mondo vi sono 200 individui, esaltati dai loro media come modelli da imitare, i quali si accaparrano di un reddito di 1.000 miliardi di dollari, mentre vi sono 582 milioni di persone che debbono accontentarsi di un reddito globale di 146 miliardi di dollari. Nel
mondo vi sono 1, 2 miliardi di poveri costretti a vivere con 1 dollaro
(2.000 lire) al giorno, in Italia abbiamo un individuo, il cavaliere Silvio
Berlusconi, che ha dichiarato al fisco di guadagnare quasi 1 miliardo
di lire al giorno, ovvero 1.000 milioni di lire ogni 24ore, il quale oltre
a far parte della lista dei 200 aspira, con buone possibilità, a rifare
il capo del Governo. (a.s.) Il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUD) ha
pubblicato ieri l'undicesimo rapporto mondiale sullo sviluppo umano 2000. Viene sottolineata la marginalizzazione dei paesi e degli
individui poveri dovuta " a una disuguaglianza di reddito senza precedenti
su scala planetaria". Nel 1820, il rapporto di reddito del paese più ricco con
quello del paese più povero era di 3 a 1. Nel 1999, i 48 paesi più poveri, e i loro 582 milioni d'abitanti,
si sono divisi 146 miliardi di dollari, mentre le 200 persone più ricche
del mondo detengono una fortuna di 1.000 miliardi di dollari. Lo sradicamento della povertà è una sfida centrale per i
diritti dell'Uomo nel XXI secolo - sostiene il PNUD -: il pianeta conta
ancora 1,2 miliardi di poveri che vivono con meno di 1 dollaro al giorno. Più di 30.000 bambini muoiono ogni giorno per cause che si
sarebbero potute evitare e 780 milioni di persone soffrono la fame, anche
nei paesi industrializzati. Le disuguaglianze sono forti da regione a regione: alla fine
del 1999, circa 34 milioni di persone erano infette dal virus dell'AIDS,
delle quali 23 milioni nell'Africa subsahariana. Infine, nel 1998, 150 milioni di lavoratori nel mondo erano
disoccupati e 250 milioni di bambini costretti a lavorare nei paesi in
via di sviluppo. Certo, i progressi in termini di condizioni di vita sono
stati considerevoli, fra il 1970 e il 1999, le speranze di vita nei paesi
in via di sviluppo sono aumentate da 55 a 65 anni (contro 75 anni nei
paesi industrializzati) e la percentuale della popolazione che ha accesso
all'acqua potabile è passata dal 13 al 71%, tuttavia ancora 1 miliardo
di persone non hanno accesso all'acqua potabile. I paesi in via di sviluppo hanno bisogno 80 miliardi di dollari
supplementari per anno per assicurare tutti i servizi di base. L'ONU ha raccomandato loro di destinare il 20% dei rispettivi
bilanci ai bisogni alimentari, ma questo tasso non supera il 14% in media.
Soltanto l'8,3% dell'aiuto dei donatori bilaterali va a questi servizi. Per lottare contro la povertà, il PNUD preconizza
una "democrazia integratrice" capace di proteggere le minoranze, di assicurare
la separazione dei poteri, con una società civile aperta e con giornali
indipendenti. Lo Stato deve rendere conto ai cittadini, e sottrarsi dall'influenza
del "potere corruttore del denaro". Secondo l'Indicatore dello Sviluppo Umano (Isu), messo a
punto dal PNUD, che, oltre al reddito, prende in considerazione altre
variabili, il Canada figura sempre in testa alla lista e la Sierra Leone
resta il fanalino di coda. Applicato a 174 paesi del globo, questo indicatore valuta
i progressi realizzati dai diversi stati sul piano dello sviluppo, considerando
le speranze di vita alla nascita, il tasso di alfabetismo degli adulti,
il tasso di scolarizzazione e il PIL per abitante. Nella classifica generale Isu, per il settimo anno consecutivo,
il Canada occupa il primo posto, seguito dalla Norvegia, dagli USA, dall'Australia
e dall'Islanda. Infine, 29 paesi catalogati nella categoria dei "meno sviluppati"
appartengono all'Africa subsahariana. La Sierra Leone ( dove le speranze
di vita alla nascita non superano i 37,9 anni) è collocata in coda, dopo
l'Etiopia, il Burkina Faso e il Niger. (in "L'Economiste" del 30/6/2000) ( torna su ) IL VENTO DEL CAMBIAMENTO
SOFFIA A DAMASCO A pochi giorni dalla morte del Presidente Hafez El Assad,
si è svolto a Damasco il programmato 9° Congresso del Baas, il partito
che s'identifica con la gestione dello Stato in Siria. Secondo il quotidiano libanese "L'orient-Le jour" del 21/6/2000,
Bachar el-Assad, figlio 34 enne di Hafez e nuovo segretario regionale
del partito e candidato unico alla Presidenza della Repubblica, ha impresso
la sua impronta sul Baas, anche se la vecchia guardia si è fatta un po'
tirare le orecchie, l'era del cambiamento è cominciata in Siria. Fra i 90 membri eletti nel Comitato centrale ben il 70% sono
nuovi (di cui una ventina donne); mentre 12 su 21 sono i nuovi eletti
nel Consiglio del comando regionale (direzione). In questo importante
organismo figura un solo militare, nel precedente erano quattro. Tuttavia, Bachar continua a puntare sull'esercito che resta
uno dei pilastri del regime, ma vuole anche utilizzare a fondo il partito
che, a causa di una relativa marginalizzazione dovuta alla statura di
Hafez, resta il più efficace strumento del potere, malgrado una struttura
un po' sclerotica. D'altronde, nella sua seduta conclusiva, il congresso si
è a lungo attardato sulla modernizzazione delle istituzioni del Partito
e sul ringiovanimento dei quadri. Secondo fonti ben informate, Bachar el-Assad avrebbe anche
suggerito di fissare l'età del ritiro dall'attività politica a 70 anni. I 21 membri della nuova direzione del Baas siriano: Bachar el Assad, segretario generale; ( torna su ) BACHAR ASSAD: GRANDI AMBIZIONI
E PESANTI RESPONSABILITA' (di Nelly Helou in "Revue du Liban" del 21/6/2000) "Il
re è morto, viva il re!". Questo precetto in vigore nelle monarchie è
entrato, ormai, nella tradizione siriana? Soltanto il futuro lo dirà. Nulla in principio destinava il figlio minore del "Leone
di Damasco" a funzioni ufficiali. Nel 1994, allorquando aveva già intrapreso
una carriera d' oftalmologo, suo fratello Bassel, delfino designato di
Hafez Assad, muore in un incidente. Assad supera la durissima prova trasferendo tutte le sue
speranze sul figlio minore. Il destino di Bachar si capovolge. Entra nell'esercito,
passaggio obbligato per ogni carriera politica o funzione suprema in Siria,
e il giovane medico riceve una formazione accelerata e comincia il suo
apprendimento del Potere. Alto, gli occhi blu, baffo sottile, Bachar Assad è nato nel
1965. Ha studiato nell'antico liceo franco-arabo e studiato medicina all'Università
di Damasco. Si specializza in oftalmologia all'ospedale militare di Techrine
fra il 1988 e il 1992. Di comportamento timido, sempre elegante, stile occidentale,
parla l'inglese e il francese, appassionato d'informatica, dirige la società
scientifica siriana per l'informatica. Egli è chiamato oggi, all'età di
34 anni, ad assumere una successione ad alto rischio. Egli dovrà innanzitutto- dicono gli analisti- consolidare
la sua autorità sul piano interno e ottenere, per ciò, l'appoggio dell'esercito,
dei servizi segreti e del partito Baas. Per il momento, egli gode sicuramente
del sostegno degli alleati di suo padre, quale l'indefettibile ministro
della Difesa, il generale Moustapha Tlass. Ma deve sapere anche che ci sono in Siria degli avversari
del Potere: i "fratelli musulmani" schiacciati ad Hama con la forza; la
classe politica esclusa dalle recenti riforme o nel passato che vorrà
ritornare al potere. Egli deve tenere conto della reazione di suo zio
Rifaat, espulso dalla Siria e rifugiatosi in Europa, il quale ha dichiarato
al canale televisivo satellitare ANN, appartenente a suo figlio Sumer,:
"Io rinnovo l'impegno assunto: ci sarà un nuovo movimento di risanamento
a tutti i livelli. La libertà e la democrazia saranno instaurate in Siria".
Rifaat Assad accusa i dirigenti siriani "di avere violato la Costituzione,
disprezzando la legalità e la volontà del popolo". Minacce inquietanti visto che Rifaat gode sempre di un appoggio
all'interno della Siria, da parte di settori dell'esercito e soprattutto
dei servizi segreti. Bisogna domandarsi, anche, se le grandi potenze vogliono
una Siria instabile o forte e coerente? Per Bachar Assad, gli obiettivi prioritari sul piano interno
saranno, senza dubbio, quelli: di modernizzare l'economia siriana, orientandola
verso il settore privato; di snellire la burocrazia e di migliorare i servizi amministrativi. Per tagliare corto
con il clientelismo, egli ha già avviato - vivente suo padre - una campagna
anticorruzione e varato, a marzo scorso, un nuovo governo detto dei "puri"
che- secondo gli analisti- è stato il primo segno dell'impatto di Bachar
sul Potere. Che cosa ne sarà della politica estera, soprattutto quella
relativa al processo di pace? Secondo gli osservatori, non ci sarà una ripresa dei negoziati
nel breve periodo, poiché Bachar Assad deve potere consolidare la sua
autorità sul piano interno prima d'impegnarsi nel processo di pace. Sarà più morbido di suo padre, accetterà il compromesso? Che ne sarà delle relazioni fra la Siria e il Libano? La
prima visita ufficiale di Bachar all'estero ha avuto luogo in Libano nel
maggio 1995, dove è stato ricevuto dal Presidente dell'epoca Elias Haraoui. D'altra parte, Il presidente Assad aveva affidato il dossier
Liban a suo figlio minore. Ma per certi analisti politici, la scomparsa
del presidente siriano e il ritiro unilaterale israeliano dal Libano del
sud potranno permettere al Libano di giocare un ruolo più autonomo. ( torna su ) LA
NORMA E LA FATWA
(di N. Jouhari in "Maroc Hebdo" del 27/6/2000) L'ora
è suonata. Le truppe, da lungo tempo in attesa, si agitano.Non è una febbre
estiva, ma piuttosto uno schieramento che rischia di passare l'inverno
con noi. In una parola, di durare. La storia non ha nulla di originale. Gli islamisti non intendono
giocare il gioco della democrazia. Questo è un fatto. Essi lo fanno sapere
alla loro maniera. Occupano abusivamente dei terreni, sequestrano, talvolta
uccidono, e soprattutto sbarcano in forze anche quando si tratta di una
piccola manifestazione. Innanzi tutto i fatti recenti. A Oujda, un'irruzione d'islamisti
nel campus universitario ha provocato una ben orchestrata azione di guerriglia.
Bilancio: decine di feriti, di cui alcuni gravi; tutti simpatizzanti della
sinistra. Per il Movimento della riforma e del rinnovamento, sono stati
gli studenti di sinistra ad iniziare le ostilità, vietando le preparazioni
degli esami al resto degli studenti. Era l'8 giugno. Il bilancio poteva
essere più pesante. Tutto ciò ci ricorda le atrocità commesse qualche
anno addietro nella stessa università. Quando morì uno studente, Maati
Boumlil, che gli islamisti avevano demonizzato. Egli è stato sequestrato
e qualche giorno dopo fu trovato il suo cadavere con tracce di tortura
che lo portarono alla morte. A Casablanca, a Hay Mohammadi, precisamente nella sua celebre
Casa della gioventù. Gli abitanti di un quartiere tengono una riunione
costitutiva della loro associazione. Una sessantina, se non di più, d'islamisti
sbarcano ed esigono la loro partecipazione alla riunione. Un po' più a sud di Casablanca, sul litorale atlantico. Gli
islamisti piantano le loro tende nei pressi di Safì e nella provincia
di El Jadida. Senza autorizzazione, e in seguito alla decisione del ministro dell' Interno di vietare le spiagge islamiche,
i militanti del PJD fanno la loro legge. L'estate si annuncia più calda
del previsto. Ancor più del passato, il confronto tra islamisti e il resto
della società si annuncia più duro ? Innanzi tutto, c'è stata la liberazione dello sceicco Abdesslam
Yassine che ha provocato effetti preoccupanti sui simpatizzanti della
corrente islamista. Essi si sentono più liberi e più motivati di prima.
Il loro attivismo non sembra più sospetto come nel passato. In questo
quadro s'inscrive la loro dimostrazione di forza, ripetuta nelle ultime
settimane. Nello stesso quadro si iscrivono le azioni intraprese in
questi ultimi giorni dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (PJD):
una tavola rotonda, un seminario, incontri sul ruolo della donna o delle
banche islamiche. Un'attività certamente legale, poiché è organizzata
da una formazione riconosciuta. Non è qui il problema. Il problema comincia
allorquando i promotori del discorso islamista ricusano il diritto degli
altri ad esistere. Tutto ciò diventa più chiaro quando si legge l'ultima "fatwa"
dello sceicco Abdelbari Zemzemi sull'argomento della stampa francofona.
Egli asserisce che l'Islam obbliga il vero credente a boicottare la stampa
francofona, messa sullo stesso piano della stampa scandalistica o di altre
pubblicazioni pornografiche. Questa fatwa, apparsa nel giornale Attajdid, in risposta
a una domanda di un gruppo di lettori, fa molto riflettere. Ovvero a ridefinire
certi punti di riferimento. Dove finisce la democrazia e dove comincia
la tirannia? Non lo si ripeterà mai abbastanza. D'accordo o meno con questa
o l'altra misura presa; il problema non è questo. Il problema consiste
infatti nell'accettazione o no del quadro democratico e delle leggi che
lo regolano. Dal momento che si vuole iscrivere la propria azione in un
processo democratico in continua costruzione, allora bisogna conformarsi
a tutte le sue esigenze. Islamisti o no. Il rifiuto del quadro democratico
induce un altro regime d'azione e di reazione dei poteri pubblici. E ciascuno
deve assumersi le proprie responsabilità. Non ci sono mille vie. Fino
ad oggi, la corrente islamista non si è pronunciata in maniera chiara,
soprattutto nella pratica, per la scelta democratica. Ciò spiega i loro
attacchi contro gli studenti, così come l'occupazione abusiva delle spiagge.
Se è vero che bisogna garantire il diritto degli uni e degli altri, è
altrettanto vero che il rispetto delle norme comunemente approvate è di
rigore. ( torna su ) DOPO 10 ANNI, LIBERATO
LO SCEICCO YASSINE (in "Revue du Liban" del 13/6/2000) Il ministro dell'Interno marocchino, Ahmed Midaoui, ha annunciato
alla televisione che il capo islamista Abdessalam Yassine, di 72 anni,
capo dell'associazione islamista "Al Adl Wa Al Issane" (Giustizia e beneficienza)
in residenza sorvegliata a Salè dalla fine del 1989, è ormai un uomo libero. Gli aderenti dell'associazione islamista di Yassine erano
presenti in massa a Casablanca il 12 marzo scorso nella grande manifestazione
indetta per combattere il piano governativo d'integrazione della donna
nello sviluppo... ( torna su ) BARAK
MINACCIA L'ANNESSIONE DEI TERRITORI PALESTINESI (in " Yediot Aharonot" del 29/6/2000) In risposta a una proclamazione unilaterale dello Stato palestinese
da parte di Arafat, Israele reagirà, senza esitare, annettendosi i territori
(palestinesi n.d.r) sotto suo controllo, ha chiaramente fatto sapere il
primo ministro israeliano Barak a Madeleine Albright nel corso dei due
incontri avuti. Il Primo Ministro è determinato a prendere una serie di misure
supplementari per reagire alla proclamazione di uno Stato palestinese,
e ciò "con rapidità, determinazione e senza attendere nemmeno un istante",
secondo le parole di Barak che ha anche esplicitamente chiesto al Segretario
di Stato USA di trasmettere il messaggio all'Autorità palestinese. (
torna su ) GERUSALEMME: BEILIN ACCETTEREBBE
LA BANDIERA PALESTINESE SULLA MONTAGNA DEL TEMPIO (in "Yediot Aharonot" del 22/6/2000) Il ministro israeliano della Giustizia, Yossi Beilin, ha
dichiarato ieri, nel corso di una riunione del Gabinetto di difesa, che
se il prezzo dello statuto finale dei Palestinesi consiste nell' innalzare
una bandiera palestinese sulla Montagna del Tempio, egli è pronto a pagare
questo prezzo. Beilin ha esposto nei dettagli gli elementi dell'accordo
sulla questione di Gerusalemme, elaborati in 4 anni e mezzo congiuntamente
all'aggiunto di Arafat, Abou Mazen. Uno di questi elementi, portato per iscritto, consiste nel
conferire uno statuto di extraterritorialità alla Montagna del Tempio.
Cioè a dire uno Statuto simile a quello riservato ad un'ambasciata in
un paese straniero: la sovranità sarà israeliana e la proprietà palestinese. Il documento Beilin-Abou Mazen dice inoltre che la capitale
palestinese sarà ubicata fuori dei confini giurisdizionali di Gerusalemme. "Si tratta di un simbolo. Il simbolo che i Palestinesi reclamano
è quello di far sventolare una bandiera sulla moschea di Al Aqsa. Se questo
è il prezzo dello statuto finale dei Palestinesi, a mio avviso, noi possiamo
pagarlo"- ha detto Beilin. ( torna su ) ISRAELE:
ABOLIZIONE DELL'ELEZIONE DIRETTA DEL PREMIER? Mentre in Italia alcuni propongono l'elezione diretta del
"premier" come la soluzione del male, ovvero del problema dell'instabilità
politica dei governi, in Israele- dove questa legge è in vigore da qualche
anno- molti la considerano un' esperienza disastrosa, da abolire al più
presto possibile. In un editoriale del 22/6, il quotidiano "Maariv" scrive
fra l'altro: "Nel bel mezzo della burrasca politica attuale, ieri Barak ha trovato il tempo per un incontro
notturno sulla legge per l'elezione diretta del Primo ministro. Barak
si attacca ancora a questa legge catastrofica, e vorrebbe soltanto qualche
aggiustamento.Bisogna sperare che più egli rifletterà sulla legge e sulle
sue ripercussioni più comprenderà che l'elezione diretta deve essere sepolta,
il più presto possibile, introducendo la soglia minima di rappresentatività
che da diritto ad avere dei seggi alla Knesset. Soltanto con queste misure si potrà fermare la discesa vertiginosa
del regime politico verso un' instabilità altamente pericolosa." Secondo un sondaggio, condotto dal giornale "Haaretz" fra
i 120 parlamentari della Knesset, 50 deputati sarebbero per l'abolizione
della legge per l'elezione diretta del Premier, 50 contro e 20 indecisi. ( torna su ) (in "Haaretz" del 22/6/2000) Una sottocommissione del Congresso ha respinto la proposta
del suo presidente, il repubblicano S. Callaghan, di ridurre di 250 milioni
di dollari l'aiuto americano a Israele, una proposta a guisa di ritorsione
a seguito della vendita alla Cina da parte d'Israele di un aereo di dissuasione
del tipo Falcon. La maggioranza non è stata ottenuta grazie all'intervento
del rappresentante democratico che ha proposto di accordare ad Israele
una proroga fino a settembre per regolare il contenzioso. L'ombra del Falcon continuerà a planare, come una spada di
Damocle sospesa sopra la testa d'Israele. I problemi in questo affaire sono noti: l'indipendenza negata
ad Israele quando si tratta di concludere dei contratti per la vendita
di materiali militari, i limiti della tolleranza degli USA che accordano
un aiuto di 3 miliardi di dollari all'anno per la sicurezza e all'economia
d'Israele, le conseguenze nefaste di una rottura di contratto sull'industria
militare israeliana, l'avvenire stesso di questa industria,etc... Israele non può uscire vincitore da un confronto con l'Amministrazione
americana. Il rinvio fino a settembre permette solamente di condurre una
trattativa delicata con Washington da una parte, e con Pechino dall'altra
parte. In questo problema spinoso, Israele dovrà limitare i danni e tentare
di giungere ad un compromesso realista. PERICOLOSA IMPASSE DELLA TRATTATIVA PER IL SAHARA OCCIDENTALE Aggiornata a settembre la riunione di Londra del 29 giugno,
promossa da James Baker, incaricato personale del segretario generale
dell'ONU per seguire la trattativa fra le parti interessate alla soluzione
del conflitto del Sahara Occidentale. Non si tratta di un rinvio tecnico, ma di una via obbligata
per tentare, da parte di Baker, di far sopravvivere una situazione che
rischia di precipitare pericolosamente. Il dato più preoccupante è rappresentato dalla posizione
dell'Algeria, la cui delegazione dopo un incontro preliminare con Baker
ha deciso di non partecipare alla Conferenza vera e propria. Il quotidiano algerino "Al Watan", (30/6/2000) riferendosi
alla riunione di Londra, titola "Fallimento consumato". "Il fallimento era nell'aria già prima dell'incontro programmato
dall'ex segretario di Stato americano James Baker.In effetti, la riunione
era partita per non raggiungere alcun risultato. E' stato lo steso m.
Baker che ha creato le condizioni del fallimento. Sposando la tesi marocchina,
egli ha cercato, senza proclamarla ufficialmente, una "aleatoria terza
via" per risolvere il conflitto, abbandonando il piano di pace delle Nazioni
Unite che prevede specificatamente un referendum di autodeterminazione
del popolo saharoui. Pertanto, anche lo stesso re Hassan II si era augurato, al
summit di Nairobi nel 1981, l'organizzazione di una tale consultazione,
conforme alla vigente legalità internazionale. Il Marocco, prevedendo la sua inevitabile sconfitta su questo
terreno, si è messo a parlare di "sotterfugi" parlando del piano di pace
dell'ONU. Il Marocco ha trovato un appoggio sicuro sia a Parigi che a
Washington, quando, fino a una data recente, l'opzione referendaria era
per questi ultimi il modo migliore per arrivare alla pace nel rispetto
del diritto. Sulla base di queste nuove idee, Baker - su ordine della
sua amministrazione si dice - ha invitato il Marocco, il Fronte Polisario
e anche i paesi osservatori Algeria e Mauritania, a una nuova riunione
a Londra. Ma il gioco era già sviato. La delegazione algerina ha avuto
un incontro diretto con Baker ma non ha raggiunto la sala dove si trovavano
le altre tre delegazioni. Così l'Algeria si è rifiutata di avallare un'operazione
dubbia che fa il gioco di Rabat e che consiste nel "multilateralizzare"
il conflitto allorquando tutti sanno che il conflitto contrappone Marocco
e Fronte Polisario. La Mauritania per contro, favorevole alla pace fino a una
data recente, si è messa a giocare la carta marocchina.D'altronde, prima
di arrivare nella capitale britannica, i Mauritani hanno fatto scalo a
Rabat dove hanno passato la notte. Di fronte a tutte queste manovre, non
resta alcun speranza di giungere a un qualunque risultato. Il Fronte Polisario
ha presentato un memorandum nel quale riafferma soprattutto la sua fiducia
al piano di pace dell'ONU. In caso di violazione di questo piano- letto
in filigrana- la ripresa della guerra resta la sola alternativa. Laconico, invece, il commento del quotidiano marocchino "Le
Matin du Sahara" dello stesso giorno. "I lavori della riunione sul Sahara sotto l'egida di James
Baker, inviato personale del Segretario generale dell'ONU per il Sahara,
si sono conclusi mercoledì pomeriggio dopo 5 ore di discussioni tra Marocco,
Algeria, Mauritania e il movimento separatista del "polisario". A conclusione dei pourparlers, è stato deciso che delle commissioni
tecniche si riuniranno a luglio e ad agosto prossimi a Ginevra, allorché
m. Baker potrà eventualmente provocare un'altra riunione simile a quella di Londra in settembre o in una data
ulteriore. Nessun comunicato è stato pubblicato dall'ufficio delle Nazioni
Unite a Londra e m. Baker, che aveva presieduto i lavori, non ha fatto
alcuna dichiarazione alla stampa. TURCHIA:
SI DISCUTE SULL'ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE
(in "Turkish Daily News" del
29/6/2000) Non è certo se l'abolizione della pena capitale sarà o meno
uno degli argomenti del summit della coalizione governativa. Ecevit, riferendosi
alla pena di morte, ha detto "mi attendo una discussione sulla pena capitale,
ma non voglio entrare nei dettagli". L'ala del DSP-ANAP della coalizione è d'accordo di sollevare
il problema della pena di morte prima dell'esecuzione della condanna (a
morte) di Abdullah Ocalan, leader
del proscritto partito PKK. Al contrario, il MHP afferma di essere d'accordo soltanto
se non si tiene conto del caso Ocalan. La crisi della Corte Suprema ha alleggerito per ora la situazione,
ma indica che l'abolizione della pena capitale può divenire una delle
questioni più controverse fra i partiti della coalizione nei prossimi
giorni. Benché la pena di morte esiste nella Costituzione e nel codice
penale turco, la Turchia non ha giustiziato nessuno dopo il 1984. Dopo che una corte ha condannato a morte Ocalan, i partiti
della coalizione hanno convenuto di sospendere la decisione presso il
ministero principale invece d'inviarla al Parlamento per un vertice agli
inizi di gennaio. ( torna su ) ITALIA-ALGERIA:
VISITA DELL'ON. VIOLANTE AD ALGERI Un
certo rilievo è stato dato dai giornali algerini agli incontri avuti dal
Presidente della Camera dei Deputati, on. Luciano Violante, con i vertici
istituzionali nel corso della sua recente visita in Algeria. Intenso il programma degli incontri avuti dall'on. Violante: il Presidente dell'Assemblea Nazionale Popolare Abdelkader Bensalah e i responsabili dei gruppi politici rappresentati nel Parlamento algerino; il Presidente del Consiglio della Nazione, Bachir Boumaaza, il capo del Governo Ahmed Benbitour e i ministro degli affari esteri Youcef Yousfi. Il Presidente della Camera è stato infine ricevuto dal Presidente
della Repubblica, Abdelaziz Bouteflika, con il quale sono stati affrontati
i temi della cooperazione bilaterale e il ruolo dell'Algeria nel bacino
del Mediterraneo. Violante ha informato Bouteflika dello svolgimento in
Italia, nel prossimo novembre, di un incontro tra due delegazioni parlamentari
dei due paesi e di una giornata italo-algerina. (
torna su ) TUNISIA-LIBIA:
IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI
(nella foto Ben Alì e Gheddafi) (di Chokri Baccouche in "Realites" del 21/6/2000) Sul
piano politico, la visita effettuata dal Presidente Ben Alì in Libia,
il 3 e il 4 giugno scorso, è stata un successo su tutta la linea. Ora
dovrà seguire l'iniziativa economica per sfruttare un numero impressionante
di progetti comuni che i due Paesi pensano di concretizzare. Restano alcuni
ostacoli da appianare al fine di dare corpo a una cooperazione bilaterale
effettiva e durevole. Una settimana dopo avere accolto a Tunisi il re Mohammed
VI del Marocco, Ben Alì si è recato in visita di lavoro in Libia: l'idea
del "Grande Maghreb arabo" non è forse più una formula magica. Questa successione d'incontri al vertice fra i dirigenti
dei paesi della regione lascia intravedere una decisa volontà di concretizzare
l'ideale comunitario maghrebino in quanto scelta strategica e necessità
imperativa di fronte ai raggruppamenti creati dalla mondializzazione. La ragione e il pragmatismo sembrano dunque prevalere in
questo Maghreb che, da lungo tempo, soffre dei rapporti conflittuali,
così regolari quanto inesplicabili, e d'interminabili recriminazioni che
hanno spesso segnato le relazioni fra certi Stati della regione. Le due parti hanno espresso il loro attaccamento all'Unione
del Maghreb Arabo "in quanto conquista storica e scelta strategica irreversibile".
Agli occhi di numerosi osservatori questa ripresa d'interesse della Libia
per il Maghreb, dopo avere rifiutato la presidenza dell'organizzazione
(UMA) nel 1995, denota la volontà di Tripoli di riprendere rapidamente
il suo posto nel concerto delle Nazioni. Forte delle sue "vittorie diplomatiche" in Africa, la Jamahirya
tenta di assicurarsi una proiezione in Europa. E la migliore scorciatoia
verso il processo di Barcellona, dal quale è stata esclusa a causa dell'affaire
Lockerbie, passa giustamente per la ridinamizzazione dell'UMA. La visita del Presidente Ben Alì nella Jamahirya araba libica
interviene nel momento in cui gli scambi commerciali bilaterali s'iscrivono
in una dinamica di crescita. In effetti, dai 191 MD del 1996, il volume
di questi scambi ha raggiunto nel 1999 circa 283 MD per ciascun paese.
La Tunisia esporta soprattutto prodotti agroalimentari che rappresentano
il 30% del valore globale del suo export verso il suo vicino del sud,
contro il 21% per le industrie meccaniche ed elettriche, il 6% per il
tessile,etc. All'inverso, le importazioni restano fortemente segnate dai
prodotti chimici e dai derivati dal petrolio che da soli raggiungono il
60% dell'import tunisino. Tunisini e libici sembrano decisi a rafforzare le relazioni
bilaterali e a schiudere nuovi orizzonti per una cooperazione più decisa
in tutti i campi dell'attività economica. A questo scopo, è stato convenuto di elevare il volume degli
scambi commerciali a 1 miliardo di dollari e di creare una zona di libero-scambio
fra i due paesi. Nello stesso tempo è stato deciso di realizzare alcuni grandi
progetti comuni e di costituire società miste d'investimento e società
di produzione e di esportazione in comune dei prodotti agricoli. Oltre alla decisione di creare un canale di televisione satellitare
comune, è stato convenuto di ristabilire il collegamento aereo fra i due
paesi. Non c'è più bisogno di dimostrare l'importanza del mercato
libico che, in termini d'importazioni, pesa circa 6 miliardi di dollari
/ anno. Perciò questo mercato è divenuto oggetto d'interesse delle più
grandi società internazionali, di ogni nazionalità, attirate da questo
eldorado commerciale ridivenuto frequentabile dopo la revoca dell'embargo
dell'ONU, agli inizi di aprile 1999. Mondializzazione oblige, le imprese tunisine devono dare
prova di maggiore aggressività per sperare di guadagnare una gran parte
di questo appetitoso mercato, dove la concorrenza è molto vivace. A questo scopo, le imprese tunisine sono chiamate a concepire
la Libia come un prolungamento naturale della Tunisia e di prevedere,
perché no, anche delocalizzazioni industriali e progetti di partenariato
da realizzare in loco. (
torna su ) (in "Al-Aharam Weekly" del 30/6/2000) Lo scorso giovedì, la guida spirituale di Al-Gama'a Al Islamica,
sceicco Omar Abdel-Rahman, dalla sua prigione negli USA, ha annunciato
di avere ritirato il suo sostegno alla tregua unilaterale proclamata dal
suo gruppo. Tuttavia, la sua decisione non vuole essere un appello per
riprendere la lotta armata contro il governo. Abdel Rahman ha detto che egli lascerà il verdetto finale
sulla sorte del cessate-il-fuoco alla guida di Gama'a in Egitto. L'iniziativa di mettere da parte la violenza è venuta sull'onda
del massacro del 1997 a Luxor, che ha fatto 58 vittime, soprattutto turisti.
All'indomani del sanguinoso attacco, svanì ogni credibilità che la lotta
militante aveva potuto avere. Il rapporto di Abdel-Rahman di opposizione alla tregua segue
una settimana di intense discussioni fra i vertici di Gama'a, per decidere
se il gruppo clandestino debba completamente rinunciare alla lotta armata.
Da un rapporto ricevuto da "Al Ahram Weekly" via e-mail, Abdel Rahman
dice: "io non ho annullato l'iniziativa del cessate-il-fuoco, ma ho lasciato
ai miei fratelli (in Egitto) di considerare ciò che val la pena fare,
loro conoscono meglio la realtà perché vi vivono." (
torna su ) TUNISI:
CONGRESSO DEI RESPONSABILI DELLA LOTTA AL TERRORISMO (in "Aps" del 30/6/2000) I
responsabili arabi incaricati della lotta contro il terrorismo terranno
a partire da lunedì a Tunisi il loro terzo Congresso sotto l'egida del
segretariato generale del Consiglio dei ministri arabi dell'Interno. I partecipanti al Congresso discuteranno le questioni riguardanti
"l'Islam di fronte al terrorismo e al pensiero deviazionista", al "sistema
di controllo delle frontiere", a quello della "sicurezza e protezione
delle personalità, dei rappresentanti diplomatici e delle infrastrutture
e beni pubblici e privati; saranno anche in discussione i temi relativi
al "rafforzamento della cooperazione fra gli apparati antiterrorismo e
i cittadini" e al "legame fra terrorismo e crimine organizzato". Le raccomandazioni che usciranno dal Congresso saranno sottoposte
al segretariato generale del Consiglio dei ministri arabi dell'Interno
che le sottoporrà, a sua volta, per l'adozione alla sessione ordinaria
del Consiglio prevista per l'inizio del prossimo anno a Tunisi. ( torna su ) |
Numero 6 - giugno 2000
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