IL
MONDO ARABO DI FRONTE ALLE SFIDE DELLA MODERNITA' La
sfida della modernizzazione comporta per il mondo arabo una puntuale considerazione
delle sue diverse componenti, specificamente le sue minoranze culturali
o religiose e, soprattutto, ultima e non minore delle condizioni, il superamento
delle sue divisioni; in una parola una rottura con la fatalità del declino.
Una riconciliazione interlibanese e interaraba sono il preliminare indispensabile
a ogni mobilitazione psicologica del mondo arabo in vista del suo risanamento
politico, la precondizione assoluta per ogni eventuale normalizzazione
con Israele, la superpotenza regionale, obiettivo sempre
all'ordine del giorno della diplomazia americana. In controcorrente rispetto all'ampio movimento di ricomposizione
strategica, operante sul piano internazionale con la costituzione dei
grandi insiemi politici su una base geografica nella prospettiva della
mondializzazione dei flussi economici e culturali, il mondo arabo si distingue
per le sue divisioni politiche, per le sue disparità economiche e per
le sue debolezze sul terreno della sicurezza. E'il grande assente del movimento di ristrutturazione planetario,
malgrado le sfide che gli si presentano, malgrado anche le bramosie che
suscita a causa della sua posizione cerniera a cavallo di tre continenti (Europa, Asia, Africa), del
suo ruolo di grande fornitore di energia dell'economia mondiale e dell'attrazione
spirituale esercitata da alcuni suoi centri religiosi. Fatto sintomatico delle sue divisioni, non un vertice arabo
si è tenuto in 10 anni, se si eccettua il summit convocato d'urgenza al
Cairo nell'agosto del 1990 sulla scia dell'invasione irachena del Kuwait,
per avallare l'intervento occidentale contro l'Iraq. Non un vertice durante quel decennio di capitale importanza
per la ri-configurazione geo-economica del pianeta. Quando negli altri
continenti grandi insiemi regionali- Unione Europea per l'Europa occidentale,
Alena-Nafta per il continente nord-americano, Mercosur per l'America latina,
Apac per la regione Asia- Pacifico- si mettono in ordine di battaglia
per la conquista dei mercati del XXI secolo, il mondo arabo si ritrova
esangue, debilitato da mezzo secolo di violenza ininterrotta, alla deriva,
senza coesione, senza obiettivi mobilitanti e aggreganti. Lungi dall'essere un esercizio di autoflagellazione, il verdetto
è senza appello e il risultato penoso: il mondo arabo ha impegnato 155
miliardi di dollari per spese militari durante l'ultimo triennio di questo xx secolo, ossia circa 50 miliardi di dollari
in media per anno, senza avere potuto dotarsi nè di una capacità di proiezione
di potenza, né di una capacità di dissuasione nucleare, ancora meno della
capacità spaziale d'informazione, attributi della potenza moderna che
gli fanno crudelmente difetto nell'era della società dell'informazione
e della sua applicazione militare, l'infoguerra. Durante un quarto di secolo, dal 1970 al 1994,- un periodo
segnato da una successione ininterrotta di conflitti maggiori, la guerra
civile giordano-palestinese del "settembre nero" del 1970, la 3 guerra
del Golfo (1990-91)- il Medio
Oriente avrà assorbito il 45% delle armi vendute al terzo mondo. Il 30% della totalità degli acquisti mondiali d'armamenti,
quando la sua popolazione non rappresenta che il 3% di quella mondiale,
fino al punto di giungere a possedere più armi per abitante (per i carri
e l'artiglieria) che la totalità della trentina di paesi europei appartenenti
ai vecchi blocchi della Nato e del Patto di Varsavia. Al primo posto dei conflitti mangiasoldi, la guerra Iraq-Iran
e la guerra del Golfo che avranno compromesso durevolmente lo sviluppo
economico della regione, così come la guerra del Libano, che avrà completamente
disarticolato un paese un tempo pilota dell'insieme arabo, tanto al livello
economico che a livello della pratica democratica. All'alba del XXI secolo, il mondo arabo appare così come
una zona sotto tutela, segnata da una presenza militare straniera più
importante che all'epoca coloniale con basi nel Golfo e facilitazioni
militari in 10 paesi arabi, tra cui Egitto e Arabia Saudita, due dei principali
capifila del mondo arabo, ossia la metà degli Stati della Lega araba. Gli altri membri dell'organizzazione panaraba, quelli che
nell'immaginario collettivo arabo avranno simbolizzato a gradi diversi,
secondo le epoche, il rifiuto dell'egemonismo occidentale, sono stati
indicati alla vendetta internazionale, sia come "Stati paria" sia come
"supporti del terrorismo". Nel primo gruppo si ritrovano naturalmente l'Iraq, protagonista
di due guerre nello spazio di un decennio, contro l'Iran prima, contro
il Kuwait e i suoi alleati della coalizione occidentale dopo- e sottoposti
all'embargo, come la Libia, in quarantena per 7 anni ( 1992-99) e il Sudan,
all'indice. Nel secondo si distingue la Siria; il Libano e l'Algeria,
le due piattaforme territoriali dei movimenti di liberazione del terzo
mondo negli anni 1960-70, subivano la guerra civile nell'ultimo quarto
del XX secolo, il primo nel Machreq (1975-1990), il secondo nel Maghreb
(1990). Tutti gli indicatori dello sviluppo umano (IDH) dell'insieme
arabo sono in rosso e si collocano al di sotto della soglia di tolleranza,
illustrano la carenza del sistema politico-culturale. Il tasso medio di analfabetismo del mondo arabo, benché in
discesa di 10 punti rispetto all'inizio del decennio 1990 (48,7%), resta
tuttavia uno dei tassi più alti del mondo, dell'ordine del 38,1%, giusto
dopo l'Asia meridionale (45,9%) e l'Africa subsahariana (40,3%), due zone
geografiche che non dispongono pertanto delle stesse ricchezze del mondo
arabo. Lo stesso dicasi per il tasso di mortalità infantile (TMI).
Per il periodo 1995-2000, il TMI- indice che riflette meglio il livello
di sviluppo di un paese poiché chiama in causa nello stesso tempo le condizioni
sanitarie e il livello di educazione della popolazione e anche lo statuto
della donna e la rete delle infrastrutture ospedaliere- figura fra i più
elevati al mondo confermando, se mai ce ne fosse stato bisogno, il debole
livello dello sviluppo arabo. Se si eccettua il caso particolare dell'Iraq, che in materia
detiene il record mondiale assoluto dell'ordine di 96 per 1000 a causa
dell'embargo che dura da dieci anni, il tasso di mortalità infantile resta
particolarmente elevato sia nei grandi paesi dotati d'infrastrutture sia
in quelli meno equipaggiati. L'Egitto e il Marocco accusano un tasso di 51 per mille,
seguiti dall'Algeria (44), dalla Siria (33), dal Libano (29), dalla Cisgiordania
(26,4), dal Sultanato dell'Oman (25) e dall'Arabia Saudita( 23). Molto preoccupante è il ritardo nel campo della Net-Economia.
Il tasso di penetrazione d'Internet nelle famiglie arabe raggiunge proporzioni
irrisorie. Se i piccoli paesi si sono impegnati senza tregua nel campo
dell'innovazione tecnologica con tassi abbastanza alti di utilizzatori
segnatamente gli Emirati arabi uniti ( 75,3 per 1000 abitanti), Bahrein
(9,8) e Libano (7,3), i grandi paesi arabi, al contrario, sono andati
avanti con troppa prudenza su questa via, come se temessero gli effetti
destabilizzanti di questa nuova tecnologia dell'informazione e preoccupati
di assicurarsene un controllo preventivo. In rapporto alla sua potenza industriale e al numero dei
suoi abitanti, l'Egitto non conta che un numero minimo di utenti: mediamente
0,29 indirizzi Internet per 1000 abitanti, l'Arabia Saudita, la potenza
finanziaria araba, 0,6 per 1000. Così anche nei casi dell'Algeria (0,007) e del Marocco(0,20),
allorché Israele registra il tasso record per la regione con 161,59 indirizzi
Internet per 1000 abitanti per il periodo 1995-2000, periodo chiave del
capovolgimento tecnologico e informatico mondiale. Attività marginale, afflitta da un bilancio insignificante,
la ricerca scientifica, una delle leve del decollo economico e strategico
degli arabi, appare come il vero parente povero delle scienze umane. L'ambizioso
programma che Bachar Assad, successore presunto del capo di Stato siriano
scomparso, accarezza per il suo paese- fornire l'accesso a Internet a
ogni famiglia siriana- se risponde a una volontà di mobilitazione, traduce
anche un'angosciante presa di coscienza tardiva di fronte al ritardo scientifico
arabo. Il mondo arabo conta 8.000 ricercatori (contro 400.000 negli
USA), di cui alcuni figurano fra i più brillanti cervelli del pianeta,
quali l'egitto-americano Ahmad Zewail (premio Nobel della chimica nel
1999), esso destina pertanto 4 dollari per abitante alla ricerca scientifica,
ossia 300 volte in meno che gli USA, tanto che nei paesi arabi i bilanci
relativi alla ricerca rappresentano in media lo 0,25% del PNL, contro
il 3 - 3,5% dei paesi sviluppati. L'avvento dell'info-guerra e del "self media" pongono delle
sfide sostanziali al mondo arabo nella misura in cui la guerra tecnologica
necessita di una delega da parte del potere, nozione fino ad oggi estranea
alla cultura dei governanti arabi. Così anche il media individuale moltiplica
all'infinito le vie dell'informazione, rendendo problematica una chiusura
ermetica della società nel suo accesso alle fonti della conoscenza e del
sapere. Nelle sue applicazioni civili e militari, la società dell'informazione
sembra difficilmente compatibile con una concezione di massa del potere.
Nel mondo arabo, a causa del conflitto con Israele, si è prodotto un fenomeno
di captazione: lo Stato-nazione nacque per incarnare l'identità collettiva,
poi si ridusse a rappresentare un partito o un clan, finendo per essere
incarnato da una persona. Per tre volte in un secolo, il mondo arabo ha perduto la
battaglia della modernità e del decollo economico, perpetuando durevolmente
la sua sottomissione. La prima volta, nel XIX secolo, sotto Mohammad Alì
in Egitto, all'epoca dello sviluppo dell'industria manifatturiera in Europa,
la seconda volta al momento dell'indipendenza dei paesi arabi, all'indomani
della II guerra mondiale, al momento della fase d'industrializzazione
diffusa e di uno sviluppo burocratico, infine, la terza volta, nell'ultimo
quarto del XX secolo con il boom petrolifero che trasforma precocemente
un buon numero di giovani petro-monarchie
in dispendiosi "Stati/rendita". E' importante dunque rompere con la fatalità del declino. La fragilità del mondo arabo conseguente alla guerra del
Golfo e al partenariato israelo-turco pone il problema del riavvicinamento
fra Iraq e Siria come un imperativo di sopravvivenza non soltanto per
i due paesi, ma anche per i paesi arabi limitrofi (Giordania e Libano). La loro congiunzione assicurerà la continuità territoriale
di una zona che andrebbe dal Golfo arabo-persico al Mediterraneo, secondo
una linea di frattura trasversale che spezzerà la tenaglia costituita
dall'alleanza Ankara - Tel Aviv, con l'effetto di favorire l'emergere
di un vasto mercato di 50 milioni di persone. La distanza Beirut - Bagdad è uguale al tragitto Parigi -
Nizza e il conflitto fra la Siria e l'Iraq somiglia alla tradizionale
ostilità tra la Germania e la Francia, due paesi ormai organicamente legati
all'interno dell'Unione europea. Salvo a convincersi di essere vittime di un declino irrimediabile,
i paesi arabi dovranno fare una riflessione approfondita circa il loro
approccio strategico alle sfide del mondo contemporaneo: la ricostruzione
dell'Iraq, la modernizzazione della Siria, la riabilitazione del Libano
passano per la costituzione di un polo economico e politico a scala mediorientale,
da un riequilibrio regionale interarabo capace di fare fronte alle superpotenze
regionali, in misura di permettere al Libano di preservare la sua specificità.
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Numero 6 - giugno 2000
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