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( ANALISI )


IL MONDO ARABO DI FRONTE ALLE SFIDE DELLA MODERNITA'

(di René Naba in "L'Orient- Le jour" del 21/6/2000)

La sfida della modernizzazione comporta per il mondo arabo una puntuale considerazione delle sue diverse componenti, specificamente le sue minoranze culturali o religiose e, soprattutto, ultima e non minore delle condizioni, il superamento delle sue divisioni; in una parola una rottura con la fatalità del declino. Una riconciliazione interlibanese e interaraba sono il preliminare indispensabile a ogni mobilitazione psicologica del mondo arabo in vista del suo risanamento politico, la precondizione assoluta per ogni eventuale normalizzazione con Israele, la superpotenza regionale, obiettivo sempre  all'ordine del giorno della diplomazia americana.

In controcorrente rispetto all'ampio movimento di ricomposizione strategica, operante sul piano internazionale con la costituzione dei grandi insiemi politici su una base geografica nella prospettiva della mondializzazione dei flussi economici e culturali, il mondo arabo si distingue per le sue divisioni politiche, per le sue disparità economiche e per le sue debolezze sul terreno della sicurezza.

E'il grande assente del movimento di ristrutturazione planetario, malgrado le sfide che gli si presentano, malgrado anche le bramosie che suscita a causa della sua posizione cerniera a cavallo di  tre continenti (Europa, Asia, Africa), del suo ruolo di grande fornitore di energia dell'economia mondiale e dell'attrazione spirituale esercitata da alcuni suoi centri religiosi.

Fatto sintomatico delle sue divisioni, non un vertice arabo si è tenuto in 10 anni, se si eccettua il summit convocato d'urgenza al Cairo nell'agosto del 1990 sulla scia dell'invasione irachena del Kuwait, per avallare l'intervento occidentale contro l'Iraq.

Non un vertice durante quel decennio di capitale importanza per la ri-configurazione geo-economica del pianeta. Quando negli altri continenti grandi insiemi regionali- Unione Europea per l'Europa occidentale, Alena-Nafta per il continente nord-americano, Mercosur per l'America latina, Apac per la regione Asia- Pacifico- si mettono in ordine di battaglia per la conquista dei mercati del XXI secolo, il mondo arabo si ritrova esangue, debilitato da mezzo secolo di violenza ininterrotta, alla deriva, senza coesione, senza obiettivi mobilitanti e aggreganti.

Lungi dall'essere un esercizio di autoflagellazione, il verdetto è senza appello e il risultato penoso: il mondo arabo ha impegnato 155 miliardi di dollari per spese militari durante l'ultimo triennio di questo  xx secolo, ossia circa 50 miliardi di dollari in media per anno, senza avere potuto dotarsi nè di una capacità di proiezione di potenza, né di una capacità di dissuasione nucleare, ancora meno della capacità spaziale d'informazione, attributi della potenza moderna che gli fanno crudelmente difetto nell'era della società dell'informazione e della sua applicazione militare, l'infoguerra.

Durante un quarto di secolo, dal 1970 al 1994,- un periodo segnato da una successione ininterrotta di conflitti maggiori, la guerra civile giordano-palestinese del "settembre nero" del 1970, la 3 guerra del Golfo (1990-91)-  il Medio Oriente avrà assorbito il 45% delle armi vendute al terzo mondo.

Il 30% della totalità degli acquisti mondiali d'armamenti, quando la sua popolazione non rappresenta che il 3% di quella mondiale, fino al punto di giungere a possedere più armi per abitante (per i carri e l'artiglieria) che la totalità della trentina di paesi europei appartenenti ai vecchi blocchi della Nato e del Patto di Varsavia.

Al primo posto dei conflitti mangiasoldi, la guerra Iraq-Iran e la guerra del Golfo che avranno compromesso durevolmente lo sviluppo economico della regione, così come la guerra del Libano, che avrà completamente disarticolato un paese un tempo pilota dell'insieme arabo, tanto al livello economico che a livello della pratica democratica.

All'alba del XXI secolo, il mondo arabo appare così come una zona sotto tutela, segnata da una presenza militare straniera più importante che all'epoca coloniale con basi nel Golfo e facilitazioni militari in 10 paesi arabi, tra cui Egitto e Arabia Saudita, due dei principali capifila del mondo arabo, ossia la metà degli Stati della Lega araba.

Gli altri membri dell'organizzazione panaraba, quelli che nell'immaginario collettivo arabo avranno simbolizzato a gradi diversi, secondo le epoche, il rifiuto dell'egemonismo occidentale, sono stati indicati alla vendetta internazionale, sia come "Stati paria" sia come "supporti del terrorismo".

Nel primo gruppo si ritrovano naturalmente l'Iraq, protagonista di due guerre nello spazio di un decennio, contro l'Iran prima, contro il Kuwait e i suoi alleati della coalizione occidentale dopo- e sottoposti all'embargo, come la Libia, in quarantena per 7 anni ( 1992-99) e il Sudan, all'indice.

Nel secondo si distingue la Siria; il Libano e l'Algeria, le due piattaforme territoriali dei movimenti di liberazione del terzo mondo negli anni 1960-70, subivano la guerra civile nell'ultimo quarto del XX secolo, il primo nel Machreq (1975-1990), il secondo nel Maghreb (1990).

Tutti gli indicatori dello sviluppo umano (IDH) dell'insieme arabo sono in rosso e si collocano al di sotto della soglia di tolleranza, illustrano la carenza del sistema politico-culturale.

Il tasso medio di analfabetismo del mondo arabo, benché in discesa di 10 punti rispetto all'inizio del decennio 1990 (48,7%), resta tuttavia uno dei tassi più alti del mondo, dell'ordine del 38,1%, giusto dopo l'Asia meridionale (45,9%) e l'Africa subsahariana (40,3%), due zone geografiche che non dispongono pertanto delle stesse ricchezze del mondo arabo.

Lo stesso dicasi per il tasso di mortalità infantile (TMI). Per il periodo 1995-2000, il TMI- indice che riflette meglio il livello di sviluppo di un paese poiché chiama in causa nello stesso tempo le condizioni sanitarie e il livello di educazione della popolazione e anche lo statuto della donna e la rete delle infrastrutture ospedaliere- figura fra i più elevati al mondo confermando, se mai ce ne fosse stato bisogno, il debole livello dello sviluppo arabo.

Se si eccettua il caso particolare dell'Iraq, che in materia detiene il record mondiale assoluto dell'ordine di 96 per 1000 a causa dell'embargo che dura da dieci anni, il tasso di mortalità infantile resta particolarmente elevato sia nei grandi paesi dotati d'infrastrutture sia in quelli meno equipaggiati.

L'Egitto e il Marocco accusano un tasso di 51 per mille, seguiti dall'Algeria (44), dalla Siria (33), dal Libano (29), dalla Cisgiordania (26,4), dal Sultanato dell'Oman (25) e dall'Arabia Saudita( 23).

Molto preoccupante è il ritardo nel campo della Net-Economia. Il tasso di penetrazione d'Internet nelle famiglie arabe raggiunge proporzioni irrisorie. Se i piccoli paesi si sono impegnati senza tregua nel campo dell'innovazione tecnologica con tassi abbastanza alti di utilizzatori segnatamente gli Emirati arabi uniti ( 75,3 per 1000 abitanti), Bahrein (9,8) e Libano (7,3), i grandi paesi arabi, al contrario, sono andati avanti con troppa prudenza su questa via, come se temessero gli effetti destabilizzanti di questa nuova tecnologia dell'informazione e preoccupati di assicurarsene un controllo preventivo.

In rapporto alla sua potenza industriale e al numero dei suoi abitanti, l'Egitto non conta che un numero minimo di utenti: mediamente 0,29 indirizzi Internet per 1000 abitanti, l'Arabia Saudita, la potenza finanziaria araba, 0,6 per 1000.

Così anche nei casi dell'Algeria (0,007) e del Marocco(0,20), allorché Israele registra il tasso record per la regione con 161,59 indirizzi Internet per 1000 abitanti per il periodo 1995-2000, periodo chiave del capovolgimento tecnologico e informatico mondiale.

Attività marginale, afflitta da un bilancio insignificante, la ricerca scientifica, una delle leve del decollo economico e strategico degli arabi, appare come il vero parente povero delle scienze umane. L'ambizioso programma che Bachar Assad, successore presunto del capo di Stato siriano scomparso, accarezza per il suo paese- fornire l'accesso a Internet a ogni famiglia siriana- se risponde a una volontà di mobilitazione, traduce anche un'angosciante presa di coscienza tardiva di fronte al ritardo scientifico arabo.

Il mondo arabo conta 8.000 ricercatori (contro 400.000 negli USA), di cui alcuni figurano fra i più brillanti cervelli del pianeta, quali l'egitto-americano Ahmad Zewail (premio Nobel della chimica nel 1999), esso destina pertanto 4 dollari per abitante alla ricerca scientifica, ossia 300 volte in meno che gli USA, tanto che nei paesi arabi i bilanci relativi alla ricerca rappresentano in media lo 0,25% del PNL, contro il 3 -  3,5% dei paesi sviluppati.

L'avvento dell'info-guerra e del "self media" pongono delle sfide sostanziali al mondo arabo nella misura in cui la guerra tecnologica necessita di una delega da parte del potere, nozione fino ad oggi estranea alla cultura dei governanti arabi. Così anche il media individuale moltiplica all'infinito le vie dell'informazione, rendendo problematica una chiusura ermetica della società nel suo accesso alle fonti della conoscenza e del sapere.

Nelle sue applicazioni civili e militari, la società dell'informazione sembra difficilmente compatibile con una concezione di massa del potere. Nel mondo arabo, a causa del conflitto con Israele, si è prodotto un fenomeno di captazione: lo Stato-nazione nacque per incarnare l'identità collettiva, poi si ridusse a rappresentare un partito o un clan, finendo per essere incarnato da una persona.

Per tre volte in un secolo, il mondo arabo ha perduto la battaglia della modernità e del decollo economico, perpetuando durevolmente la sua sottomissione. La prima volta, nel XIX secolo, sotto Mohammad Alì in Egitto, all'epoca dello sviluppo dell'industria manifatturiera in Europa, la seconda volta al momento dell'indipendenza dei paesi arabi, all'indomani della II guerra mondiale, al momento della fase d'industrializzazione diffusa e di uno sviluppo burocratico, infine, la terza volta, nell'ultimo quarto del XX secolo con il boom petrolifero che trasforma precocemente un buon numero di giovani petro-monarchie  in dispendiosi "Stati/rendita".

E' importante dunque rompere con la fatalità del declino.

La fragilità del mondo arabo conseguente alla guerra del Golfo e al partenariato israelo-turco pone il problema del riavvicinamento fra Iraq e Siria come un imperativo di sopravvivenza non soltanto per i due paesi, ma anche per i paesi arabi limitrofi (Giordania e Libano).

La loro congiunzione assicurerà la continuità territoriale di una zona che andrebbe dal Golfo arabo-persico al Mediterraneo, secondo una linea di frattura trasversale che spezzerà la tenaglia costituita dall'alleanza Ankara - Tel Aviv, con l'effetto di favorire l'emergere di un vasto mercato di 50 milioni di persone.

La distanza Beirut - Bagdad è uguale al tragitto Parigi - Nizza e il conflitto fra la Siria e l'Iraq somiglia alla tradizionale ostilità tra la Germania e la Francia, due paesi ormai organicamente legati all'interno dell'Unione europea.

Salvo a convincersi di essere vittime di un declino irrimediabile, i paesi arabi dovranno fare una riflessione approfondita circa il loro approccio strategico alle sfide del mondo contemporaneo: la ricostruzione dell'Iraq, la modernizzazione della Siria, la riabilitazione del Libano passano per la costituzione di un polo economico e politico a scala mediorientale, da un riequilibrio regionale interarabo capace di fare fronte alle superpotenze regionali, in misura di permettere al Libano di preservare la sua specificità.

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Numero 6 - giugno 2000

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