LE
PROSPETTIVE DEL PROCESSO DI BARCELLONA (dell'Ambasciatore Antonio BADINI
*)
Queste
Assisi evocano, in me, le grandi speranze che il Forum civile di Barcellona
del 1996 e il Forum civile di Napoli del 1997 parevano permettere. Credo
che fra le iniziative più innovatrici realizzate dopo la Dichiarazione
di Barcellona, un posto importante spetta alle manifestazioni di questi
Forum ed Assisi. E' difficile pensare che il modello di partenariato
possa affermarsi senza la partecipazione delle Autorità regionali, delle
collettività locali e delle istanze più rappresentative della Società
Civile.
Purtroppo, manca uno schema di riferimento per la promozione
di un ruolo più incisivo di queste Istanze.
La Dichiarazione di Barcellona non ha costruito un quadro
regionale istituzionalizzato dove i diversi attori, al di fuori dei
Governi, trovino la loro capacità di azione.
Ora nessuno, mi sembra, mette in causa il ruolo degli accademici,
dei filosofi, degli uomini di lettere, di operare per la creazione di
uno spazio civile che sappia riconciliare le diverse identità, esistenti
all'interno del Partenariato, con i valori e i principi da tutti condivisi.
Da due anni, vado affermando questa necessità, da quando
partecipai ai lavori per la creazione dell'Accademia Mediterranea, che
oggi fa la sua solenne rentrée. In quella occasione, qualificai l'impegno
di taluni accademici coinvolti, come un atto di fede. Oggi, mi felicito
per i progressi compiuti nella creazione dell'Accademia Mediterranea.
Allorché il Sud-est asiatico tende a divenire uno dei centri
di gravità dell'economia mondiale, lo spazio mediterraneo resta piuttosto
esitante di fronte alla logica stessa dell'integrazione economica.
Dovremo rassegnarci a questa lettura della realtà?
Cominciamo col riconoscere che tutto ciò non ci è stato imposto
dalla mala sorte. Non si vede come si potrà fare fronte alle sfide di
grande portata, come quella della creazione di una zona di libero scambio,senza una percezione comune delle grandi questioni che queste
sfide comportano.
A conclusione del primo ciclo quinquennale del Partenariato,
che va dal 1996 all'anno 2000, possiamo constatare che nei Paesi partners
della riva sud le riforme stentano ad essere varate a fronte dei cambiamenti
dell'economia mondiale e che il contesto della regione non sembra propizio
a favorire l'integrazione dei mercati sollecitata dagli Accordi di Barcellona.
I progressi realizzati benché rimarchevoli non devono nascondere
la realtà delle cose: l'Unione porta avanti numerose attività con molta
lentezza e dispersione, senza un filo conduttore. La Dichiarazione di
Barcellona è stata- a giusto titolo- salutata come un tornante storico
nelle relazioni euro-mediterranee, ma le pratiche, le regole e le procedure,
che restano ancora troppo eurocentriche, non hanno permesso al Partenariato
di sfruttare interamente le sue potenzialità, che sono enormi.
Tutto ciò richiede di ripensare profondamente il modo di
funzionamento del programma MEDA, a partire da una revisione sostanziale
del Regolamento finanziario.
Bisognerà dispiegare uno sforzo commisurato alla posta in
gioco: fermare la progressiva marginalizzazione del Mediterraneo rispetto
agli altri scacchieri mondiali e ricentrare il cammino dell'Unione in
rapporto alle attese suscitate dalla Dichiarazione di Barcellona.
A mio avviso, il compito prioritario è quello di tradurre,
in un piano d'azione urgente, i numerosi elementi di convergenza geopolitica
- cioè l'eliminazione graduale dei focolai di conflitto e di tensione
che minacciano la pace - e geoeconomica per una nuova spinta al processo
di modernizzazione dell'apparato produttivo dei partners.
Da questo piano potranno derivare due direzioni principali.
Da un lato la conclusione dei lavori per la Carta euro-mediterranea
per la pace e la stabilità in occasione del vertice programmato per
il 14 novembre, qui a Marsiglia. Dall'altro lato, sarà necessario dare
ai nostri partners le assicurazioni necessarie sul fatto che l'Unione
è pienamente cosciente che il canestro della sicurezza riveste anche
una importante dimensione economica e sociale.
Da questo punto divista,
il fondo MEDA dovrà agire come catalizzatore per associare alla realizzazione
del partenariato tutti gli attori in grado di apportarvi un contributo
nei loro rispettivi campi di competenza.
Fra questi bisognerà - a mio avviso - considerare:
-Le collettività locali e le regioni nazionali, soprattutto
quelle frontaliere allo scopo di rafforzare il ricorso al partenariato
negli interventi statali. Ogni forma di cooperazione transfrontaliera
dovrà, in ogni caso, essere approvata dagli organi centrali dello Stato
ed essere ben coordinata con l'azione di questi affinché la costruzione
del nuovo spazio euro-mediterraneo si faccia in armonia e nel rispetto
delle scelte nazionali.
-Promuovere l'integrazione degli strumenti d'intervento dell'Unione
e quelli degli Stati Membri, delle Istituzioni Finanziarie, a cominciare
dalla Banca Europea degli investimenti, con lo scopo di rafforzare l'impatto
delle misure di accompagnamento delle riforme e di fare funzionare i
fondi MEDA come leva.
-Di fare in modo che i cambiamenti economici non si producano
a danno del tessuto sociale che resta un fattore chiave per la stabilità
politica. Misure specifiche dovranno essere messe in atto per l'attivazione
degli investitori e per il trasferimento del savoir-faire che s'innesta
sulla promozione delle capacità nazionali di sviluppo tecnologico.
Ho messo l'accento sull'aspetto economico perché questo è
riconosciuto generalmente come il motore del cambiamento. Il benessere
di un paese, alla lunga, dipende dalla sua capacità di produrre ricchezze
supplementari. In più, lo sviluppo economico è una condizione essenziale
di stabilità sociale e, per conseguenza, una componente della sicurezza.
Ma anche una fiducia accresciuta resta un fattore chiave per la sicurezza
politica.
E' un fatto che i progressi in questo settore sono praticamente
inesistenti. Nessuno sforzo serio è stato compiuto per identificare
un terreno comune nel campo della sicurezza. L'Unione non ha ancora
deciso chiaramente dove finisce la minaccia da cui bisogna difendersi
e cominciano i rischi comune ai quali bisogna far fronte insieme attraverso
politiche di co-gestione e l'esercizio di una vera co-responsabilità.
Dal loro lato, i partners non hanno eliminato la contraddizione
fra l'interesse che essi hanno verso un'Europa capace di assumere una
responsabilità maggiore all'interno del rapporto atlantico e il timore
che l'Unione, dotandosi di una politica comune di sicurezza e di difesa
possa attentare alla loro sovranità e integrità territoriale.
Tutti coloro i quali si battono per un partenariato reale,
non confinato nelle buone intenzioni, si augurano che l'adozione della
Carta abbia luogo il 14 novembre qui a Marsiglia e che questo documento
segni l'avvio di un quadro istituzionale per relazioni equilibrate miranti
all'edificazione di una comunità solidale e padrona del proprio destino.
Certo, l'identità euro-mediterranea non deve costituire un'alternativa
all'identità araba, israeliana o europea. Il Partenariato non abolisce
le specificità di ciascuno, tuttavia ciò non dovrà condurre alla negazione
dell'esistenza di uno spazio multiculturale e multidentitario che rappresenta
il presupposto per uno sforzo accresciuto di avvicinamento fra società
e sistemi socio-economici.
Ed ecco, l'obiettivo di queste Assisi e dell'Accademia che
devono costituirsi in organi di consultazionepermanenti per identificare gli ostacoli alla mutua comprensione
e nello stesso tempo raccomandare le misure tendenti a ridurre e a sopprimere
i fattori di tensione e di crisi.
*
Desideriamo ringraziare l'Ambasciatore Antonio Badini, Direttore Generale
del Mediterraneo e del Medio-Oriente del Ministero degli Affari Esteri,
per averci gentilmente consentito di pubblicare (tradotto dal francese)
il testo del suo intervento inviato alle "Assises de la Méditerranée",
svoltesi a Marsiglia il 5 luglio 2000.