(
ANALISI )
GLI
INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI (Ide) NEL MEDITERRANEO
(brani
tratti dal libro di Agostino Spataro "Mediterraneo, l'utopia possibile",
Edizioni Associate, Roma, 1999)
Accordo
AMI: verso la dittatura degli investimenti.
Il volume e gli orientamenti dei flussi d'investimenti diretti esteri
(Ide) sono, senz'altro, degli indicatori attendibili per verificare
le tendenze dell'attuale processo di globalizzazione dell'economia.
Secondo dati dell'OCSE, nel 1996, il loro trend di crescita annua
è stato del 10%, contro il 4,5% del commercio internazionale e il
6,6% del PIL medio mondiale.
Un incremento spettacolare che si protrae nel tempo: fra il 1973 e
il 1996 i flussi di Ide, in valori assoluti, sono passati da 25 a
quasi 350 miliardi (mld) di dollari Usa ($).
Una massa enorme di capitali che spaziano da un capo all'altro del
pianeta, attratti da condizioni supervantaggiose (bassi costi dei
salari e delle materie prime, etc); mantenendo, tuttavia, il loro
radicamento nei Paesi sviluppati dell'OCSE, i quali emettono l'85%
e ricevono il 60% dei flussi mondiali di Ide.
Siamo ancora lontani da una politica di reale globalizzazione e soprattutto
da risultati di effettivo riequilibrio di reddito e di consumi fra
paesi sviluppati, meno sviluppati e in via di sviluppo.
Anzi cresce il divario fra Nord e Sud, mentre si acuiscono le disuguaglianze
a livello delle classi sociali, anche all'interno dei paesi OCSE,
dove il 20% degli abitanti più ricchi detiene l'82% del PIL mondiale
e il 20% degli abitanti più poveri vive con l'1,4%.
La strategia delle imprese multinazionali, principali emanatrici di
Ide ed aventi quasi tutte sedi nei paesi della "triade" (U.E., Usa
e Giappone) mira a conseguire i suoi obiettivi facendo leva sul trasferimento
di capitali e sulla delocalizzazione di parti del ciclo produttivo
verso determinate regioni (Asia del sud e del sud-est, Paesi Peco
e dell'America latina), soprattutto in quei paesi dove governi compiacenti
e sovente illiberali hanno creato un ideale "investionklima", ovvero
le più favorevoli condizioni per l'investimento straniero e per l'insediamento
di produzioni di beni e servizi fortemente concorrenziali nei confronti
di quelle esistenti nei paesi OCSE.
Da qui, anche la crescita della disoccupazione e della inoccupazione
nei paesi più sviluppati.
Fra il 1980 e il 1993, le 500 imprese elencate nella "Global liste"
di Fortune hanno ridotto l'occupazione di 4,5 milioni di unità e realizzato
il 25% della produzione e circa il 70% del commercio mondiali...
Siamo in presenza di una strategia che tende ad annullare la dimensione
nazionale dell'economia e che pretende la massima libertà degli investimenti.
A questo proposito, suscita il più vivo allarme - anche se quasi nessuno
ne parla - l'ipotesi di "Accordo Multilaterale sull'Investimento"
(AMI), in corso di negoziazione presso l'OCSE, che impone - fra l'altro
- ai governi contraenti di indennizzare gli investitori nel caso si
verifichi una non meglio definita "perdita di una opportunità di profitto".
In virtù di tali norme, a dir poco scandalose, i governi sono tenuti
a indennizzare le imprese anche nel caso di "disordini civili" (movimenti
di protesta, scioperi, boicottaggi,etc); con la prevedibile conseguenza
che i governi, per evitare di sborsare gli esosi indennizzi, sarebbero
indotti ad assumere provvedimenti e legislazioni restrittive delle
libertà sociali e politiche dei cittadini.
E' dal 1995 che i governi, compresi quelli italiani, trattano l'accordo
AMI senza avere mai informato adeguatamente l'opinione pubblica e
gli stessi Parlamenti circa le pesanti condizioni proposte e le gravissime
conseguenze sociali, ambientali e perfino costituzionali che ne potrebbero
derivare per gli Stati e per i sistemi di relazioni politiche e sindacali.
Un comportamento omertoso, sicuramente più scandaloso delle stesse
pretese AMI. L'unico governo che ha tentato di fare qualcosa è stato
quello di sinistra francese, guidato da Jospin, che ha chiesto e ottenuto
una sospensione del negoziato che prima o poi verrà ripreso.
GLI
IDE: dal Mediterraneo al centro Europa
All'orizzonte del prossimo secolo si profila pertanto uno scenario
inquietante. Se dovesse affermarsi la logica dell'AMI si potrebbero
innescare processi economici e politici dalle conseguenze imprevedibili.
Soprattutto nell'area mediterranea, dove molti governi autoritari
troverebbero una giustificazione alla loro condotta illiberale e antisociale.
Perciò la questione degli investimenti stranieri nell'area mediterranea
deve essere esaminata tenendo conto di tale prospettiva, a partire
dalla realtà attuale segnata da una tendenza alla contrazione dei
flussi di Ide.
Infatti, in poco più di 10 anni ( dal 1985 al 1996), la quota % del
volume mondiale di Ide orientati verso il Mediterraneo è calata dal
14,7 al 10,9%, ovvero - 3,8%; quasi quanto l'intero incremento attribuito
ai paesi PECO (+ 3,2 %) per lo stesso periodo.
Nel confronto, appare evidente come lo spostamento d'indirizzo degli
Ide corrisponda ad una scelta politica ed economica dell'Europa, la
quale fino agli inizi degli anni '90 aveva privilegiato i paesi mediterranei,
mentre negli anni successivi, nonostante Barcellona, ha preferito
i paesi dell'Europa centro-orientale (Peco), usciti dall'esperienza
dell'economia statalista.
In valore assoluto, gli Ide orientati nei paesi rivieraschi del Mediterraneo
sono passati da 20,8 mld di $ del periodo 1985-90 a 38,2 mld di $
del 1996.
Suddividendo l'area mediterranea in 4 sub-regioni è possibile rilevare
l'enorme divario esistente fra i paesi mediterranei U.E. e quelli
appartenenti alle altre 3 sub-regioni.
Nel 1996, nei 5 paesi UE (Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Grecia)
si è concentrato l'85,5 % dei flussi di Ide, mentre nei paesi della
fascia nord-africana il 4,2%, in quelli della sponda asiatica l'8,2%
e nei rimanenti il 2,1%.
I paesi arabi del Mediterraneo stentano ad accreditarsi come aree
di attrazione degli Ide sia di quelli di origine OCSE, sia di quelli
(e si tratta di centinaia di mld di $ anno) provenienti dai paesi
arabi del Golfo i quali, per i loro investimenti, continuano a preferire
le piazze dei principali paesi industrializzati, soprattutto europee
e USA.
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