( Guerra in Iraq ) La Sicilia che non vuole la guerra Il governo ha autorizzato i comandi delle forze armate Usa ad usare, oltre allo spazio aereo, le basi ubicate in Italia in vista dell’attacco militare contro l’Iraq, anche senza l’avallo dell’Onu. Tale, avventata decisione riguarda evidentemente anche le basi e le infrastrutture esistenti in Sicilia (Sigonella, Birgi, ecc). Aerei statunitensi potranno fare scalo negli aeroporti siciliani, usufruire dei sistemi di comunicazione e di altri importanti servizi logistici (compreso il rifornimento di carburante e, a Sigonella, anche di bombe) e da qui ripartire o partire per andare a bombardare gli obiettivi iracheni. Questa guerra - è stato preventivato - provocherà centinaia di migliaia di vittime irachene, soprattutto civili, e milioni di profughi. I siciliani devono sapere che, nel momento in cui scatterà (speriamo mai) l’attacco militare nord-americano, anche la Sicilia sarà ritenuta coinvolta, più o meno direttamente, nelle operazioni belliche e quindi potrà divenire bersaglio di eventuali azioni di rappresaglia da parte irachena. Allarmismo? Nient’affatto. Questo, semmai, è uno degli scenari possibili, una logica conseguenza di questa decisione così improvvida, quanto illegittima. D’altra parte, il “pasticciaccio” dell’invio degli alpini in Afghanistan è davvero illuminante della disinvoltura con cui il governo Berlusconi e il suo ministro siciliano della Difesa, maneggiano materie così delicate che mettono a rischio il ruolo internazionale di pace dell’Italia e la vita dei nostri soldati. Per altro tale, forzato coinvolgimento, non solo contrasta col sentimento pacifista dei siciliani, ma anche con una certa tradizione storica della Sicilia che, fin dall’antichità, quasi mai ha visto di buon occhio le guerre espansionistiche dell’Occidente contro i territori dell’Oriente islamico e ha fatto di tutto per evitare di parteciparvi. Celebre è rimasto il comportamento, esemplare per saggezza e per spirito di tolleranza reciproca, di Federico II, re di Sicilia e imperatore del Sacro Romano Impero, il quale, giunto in Terra Santa (nel 1228) a capo della IX Crociata, “conquistò” Gerusalemme senza colpo ferire, sulla base di un accordo, lungamente e piacevolmente negoziato, con Malik al Kamil, sultano musulmano. Addirittura, Qirtay Al-Izzi nel suo “Gotha” (manoscritto arabo del 1655) rileva che : "Quando l’imperatore, principe dei Franchi, aveva lasciato la Terra Santa e si era congedato da Al-Malik Al-Kamil ad Ascalona, i due monarchi si erano abbracciati promettendosi mutua amicizia, assistenza e fraternità”. Prima di questo evento memorabile, accadde a Palermo un altro episodio di uguale valenza che vide protagonista un illustre avo del grande Federico, Ruggero I, il normanno, il quale riuscì a preservare la Sicilia dal coinvolgimento diretto nella prima Crociata, anche per non inimicarsi i vari regni del nord-Africa con i quali i normanni intrattenevano ottime relazioni politiche ed economiche. L’episodio è riportato nella cronaca musulmana della prima Crociata, dallo storico arabo Ibn Al-Athir che, nel suo “Kamil” (Edizione Torneberg), scrive, fra l’altro: “Nel 484/1091, i franchi portarono a termine la conquista della Sicilia ... Nel 490/1097, essi invasero la Siria ed eccone i motivi: il loro re Baldovino era imparentato con Ruggero il Franco (il normanno n.d.r.) che aveva conquistato la Sicilia, e gli mandò a dire che, avendo riunito un grande esercito, sarebbe venuto nel suo paese e da là sarebbe poi passato in Africa (in Tunisia) per conquistarla ... Ruggero convocò i suoi fedeli e chiese loro consiglio in merito a questo problema ... “Per il Vangelo - risposero - ecco un’occasione eccellente per loro come per noi, l’Africa sarà terra cristiana…” “Allora - annota lo storico arabo con disarmante naturalezza - Ruggero sollevò l’anca, fece un gran peto (sic!) e disse: Affè mia, questa è buona. Come? Se essi verranno dalle mie parti, andrò incontro a spese enormi per equipaggiare le navi ...” Quindi convocò l’ambasciatore di Baldovino per notificargli la sua contrarietà acché l’esercito crociato attraversasse la Sicilia per raggiungere l’Africa e gli disse le testuali parole: “Per quanto concerne l’Africa, tra me ed i suoi abitanti ci sono impegni di fiducia e trattati” Com’è noto, i crociati raggiunsero la Palestina per altre vie, e la Sicilia non fu coinvolta in quella guerra disastrosa che, sotto le bandiere della religione di Cristo, nascondeva ingordi propositi di conquista dei territori e degli opulenti mercati orientali. Un po’ come oggi contro l’Iraq: si dice che la guerra è per la “libertà” e contro “il terrorismo”, in realtà è per il controllo militare e politico di un paese ricchissimo di giacimenti petroliferi (le riserve accertate ammontano a 122 miliardi di barili) che consentiranno ai nuovi padroni di garantirsi un approvvigionamento continuato e a costi competitivi e di condizionare il mercato petrolifero mondiale, quasi interamente in mano delle grandi multinazionali Usa. La guerra di Bush è anche contro la nascente Unione europea che si teme possa diventare la prima potenza economica del Pianeta, ma che non è riuscita ad affrancarsi da un’eccessiva dipendenza energetica che costituisce un vistoso punto debole. Le analisi più attendibili ci dicono che basterebbe un aumento del prezzo del barile oltre i 30 dollari, per un periodo medio-lungo, per mettere in ginocchio l’economia di molti paesi europei, primi fra tutti di quelli più dipendenti dal petrolio quali sono Italia e Spagna. 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