La Sicilia degli Altavilla
UNA STORIA CHE RITORNA
NEL NOSTRO PRESENTE

di Annamaria Corongiu

1.1 Quel che resta del passato: le tracce giunte fino a noi

ruggero altavillaNel cominciare l’analisi dei parallelismi e delle corrispondenze tra passato e presente partirei da quello che i matematici definiscono ragionamento “per assurdo”. Se provassimo anche solo a pensare all’idea paradossale di una Sicilia islamica ai nostri giorni, tutti noi sicuramente sorrideremmo giudicandola completamente folle o ci preoccuperemmo fortemente.

Tuttavia, com’è emerso nella presente dissertazione storica, ci si è andati molto vicino. La Sicilia è stata un dominio ed un insediamento islamico stabile e forte: sappiamo bene che il corso della storia prese un’altra direzione e ciò che più ci sorprende è che furono gli stessi signori islamici a determinarlo.

Chi ci può dire, infatti, cosa sarebbe accaduto se gli emiri siciliani non avessero sollecitato ripetutamente Roberto e Ruggero ad intromettersi nelle controversie interne dell’isola? Furono proprio loro, in cerca di aiuto, nella speranza di risolvere le loro lotte intestine, a consegnare la Sicilia nelle mani degli Altavilla.

I due condottieri normanni non fecero nulla, accolsero l’invito e saziarono la loro sete di potere e d’ambizione. Non siamo in grado di sapere con certezza come sarebbero andate le cose altrimenti; di sicuro, però, possiamo avanzare l’ipotesi che un maggior periodo di permanenza del dominio islamico nell’isola avrebbe inciso in modo determinante sul suo destino, lasciando tracce più durature e significative rispetto a quelle che sono giunte fino a noi.

Un solo fattore emerge con chiarezza dall’analisi storico-culturale che precede: i particolarismi che lacerarono (e lacerano ancora oggi) il blocco islamico fra individualismi, ambizioni personali, rivendicazioni etnico-culturali, ebbero il sopravvento al di là di ogni identità religioso-culturale.

Furono questi particolarismi a segnare la fine politica del dominio degli emiri islamici in Sicilia, contrapponendoli in lotte insanabili e sanguinosissime.

palazzo dei normanniMa, benché fievole, l’eco dell’Islam è comunque arrivato fino a noi grazie all’arte, al linguaggio e alle tradizioni della Sicilia.

Ci basta visitare il Palazzo dei Normanni per figurarci nella mente Ruggero II ed Idrisi alle prese con cartine geografiche e compassi, oppure per immaginare Ibn Giubayr che discute segretamente con i paggi suoi correligionari.

Osservare i giardini dei sovrani ci riporta alla mente i loro harem, passeggiare tra le latomie attorno a Siracusa ci fa rivivere le stesse emozioni del giovane Ibn Hamdìs. Quanto al linguaggio, molti nomi di città siciliane devono la loro origine alla lingua araba: spesso derivano da Gebel (montagna) come Mongibello, Gibilmanna, Gibellina, Gibilrossa, o da Kalat (fortezza) come Caltanisetta (fortezza delle vergini) e Caltabellotta (rocca delle querce).

Perfino numerosi e comunissimi cognomi di famiglia sono di matrice araba: Zappalà (servo di Dio), Badalà (forte in Dio), Fragalà (consolazione di Dio) contengono tutti il nome Allah. Osservare le opere dei campi, ancora oggi rigogliosi di messi e frutteti, e ascoltare il linguaggio usato da contadini riporta alla mente una terminologia straniera, che gli interessati definiscono <<berbera>> e legata al ciclo calendariale del mondo berbero, insediatosi stabilmente intorno ad Agrigento nel seco-lo IX-X.

Il passato rivive anche nella tradizione, nel folklore, nei costumi, in quelle ricche vesti dagli accesi colori che riflettono la cosiddetta tecnica del merletto, risalente proprio alla dominazione arabo-normanna. Non si possono dimenticare, inoltre, le varie leggende strettamente legate a feste che vengono celebrate tuttora: ogni anno a Scicli, per esempio, il sabato precedente la settimana della Passione, si svolge la pittoresca e suggestiva festa della Madonna delle Milizie, che ha come momento centrale una processione, seguita da un finto combattimento tra Saraceni e Cristiani.

1.2 Il Medioevo contemporaneo: una nuova chance per la convivenza

Procedendo col nostro gioco alla ricerca di analogie tra presente e passato, la simmetria che emerge con maggior imponenza ed evidenza riguarda il fattore convivenza: il Regno di Sicilia era un crogiuolo di popoli, lingue, fedi. Città affollate, individui che sapevano parlare più lingue, pellegrini, intellettuali, uomini d’affari, chiese che sorgevano accanto a moschee, mode culturali che s’intrecciavano. No, non stiamo parlando delle nostre odierne metropoli globali ma di città del lontano Medioevo: e non c’è quasi nessuna differenza.

La società globale del mondo contemporaneo non è, infatti, così diversa da quella medievale. Certo, quest’ultima era ancora limitata geograficamente al bacino Mediterraneo e alle regioni gravitanti (Cina, India), ma ciò non toglie che si verificassero già allora molti di quegli aspetti che noi oggi attribuiamo, illudendoci della loro originalità ed esclusività, alla nostra epoca.

Se ci si attiene ad una visione Braudeliana della storia, il punto d’incontro tra individui è sempre stato dato dalla mercatura, e quindi dalla comunicazione e dal confronto reciproco: nel mondo normanno questi fattori furono agevolati dall’unità territoriale del regno, dal suo porsi al centro nei traffici del Mediterraneo, ma anche attraverso l’evoluzione della scienza e delle arti.

Struttura politica, economia ed innovazione tecnologica: ecco le costanti che determinarono lo scheletro, così come ancora accade oggi, dei rapporti e dei legami reciproci. Ai nostri giorni il mappamondo di Idrisi è stato sostituito da Internet, ma la sostanza non cambia. Gli stessi intensi processi migratori o la mobilità “turistica” dell’epoca, che rappresentano una caratteristica peculiare anche della fine del secondo millennio, agevolarono gli scambi culturali tra realtà differenti e posero il problema del confronto con l’altro, della relazione diretta con stili di vita e modalità di pensiero differenti: da qui il rifiuto, l’integrazione o l’assimilazione. Così ci tornano subito in mente l’esilio di Ibn Hamdis o il gesto del padre che dona la figlia al pellegrino amico di Ibn Giubayr: la loro è una posizione di completo rigetto. Ma non possiamo dimenticare né l’entusiasmo di Idrisi, né le donne cristiane che si vestono secondo la moda di quelle musulmane, né il giureconsulto Ibn Zur’ah, così come tanti altri esempi incontrati nel percorso letterario.

L’appartenenza etnico-religiosa è messa in grave crisi nel momento in cui essa tende a confrontarsi con ciò che le è estraneo: nel caso dei musulmani di Sicilia, giocarono a loro sfavore sia la debole unione tra le comunità locali, sia l’evolversi della situazione storica che si distinse per il sempre più ampio ed inevitabile accordo promosso dai successori di Ruggero II con la Chiesa di Roma.

Il finale lo conosciamo bene: l’emigrazione dalla Sicilia. Ma è partendo proprio da questa considerazione che oggi si dovrebbe e si potrebbe profilare un epilogo differente: il ritorno di nuovi scenari di convivenza apertisi con il processo di globalizzazione mettono ancora una volta faccia a faccia l’Occidente e l’Oriente, il Cristianesimo e l’Islam. La coesistenza pacifica, che già si era delineata mille anni fa con alterne vicende, ha oggi una nuova possibilità per trasformarsi in realtà. La chiave del successo, a mio personale avviso, dovrebbe essere un lento percorso a cui ogni individuo è chiamato a partecipare e che si dovrebbe basare sul concetto di reciprocità: uno scambio di mutuo arricchimento a vantaggio di tutti. E l’Islam non deve mantenersi arroccato su posizioni che lo isolano dal nuovo contesto della globalizzazione, ma deve aprirsi al contatto con l’esterno e ai nuovi interscambi culturali, adeguando i propri strumenti giuridici e interpretativi.

Niente di concreto, è vero, ma lo scenario è allettante e, soprattutto, mi sembra possa aprire uno spiraglio verso un’azione propositiva anziché difensiva. Non ci si trova di fronte a due sistemi inconciliabili: andando oltre le origini e i dogmi contenuti in ogni credo religioso, il punto di partenza potrebbe nascere dalla persone intese come individui vivi e complessi, soggetti costantemente a grandi contraddizioni. Il destino di ogni essere umano non può essere segnato irreparabilmente dall’appartenenza culturale e religiosa: da qui l’esigenza del dialogo e del rispetto verso chi, pur differendo da noi per molti aspetti, non è da considerarsi inferiore o possibile oggetto di discriminazione o pregiudizi.

Alla base si potrebbero porre la tolleranza, come atteggiamento di genuino rispetto tra i popoli non meno che fra gli individui, e la fraternità, come stima e considerazione dell’alterità. Un po’ come ci dimostrano gli esempi di personalità uniche quali Madre Teresa, Suor Emanuelle o un Giovanni Paolo II che prega nella moschea di Damasco. Non uno scontro tassiano tra bene e male, bravo e cattivo. L’Islam non può essere ridotto al fondamentalismo o al neo-fondamentalismo militante. Non è un nemico solo da combattere: cristiani e musulmani dovrebbero trovarsi solidali nell’osteggiare tutto ciò che va contro la dignità degli individui. Dovrebbero sentirsi simili perché accomunati dagli stessi obiettivi e non diversi e in lotta perché divisi da dogmi o da tradizioni: ecco la ripida salita da percorrere; ossia imparare innanzitutto a conoscersi reciprocamente.

IdrisiCosì viene naturale ripensare all’entusiasmo di Idrisi, al collante educativo che unì all’interno della corte ruggeriana studiosi di ogni credo e che permise uno scambio culturale vicendevole: Ruggero II, affascinato dal sapere islamico, imparava da Idrisi e questi, a sua volta, prendeva a modello lo stile e le usanze del re. Entrambe non si facevano condizionare né impaurire dalle differenti origini o fedi, ma si lasciavano trasportare da un legame intellettivo che li accomunava e che faceva di ogni loro diversità un elemento di scambio e non di condanna. Come due amici che collaborano per un fine comune e condividono insieme l’interesse, la fatica e la soddisfazione finale.

Lo sguardo preoccupato di Ibn Giubayr è simile, invece, a quello di chi oggi osserva il destino della comunità islamica nei paesi occidentali senza la prospettiva di un dialogo solidale. L’assenza di un confronto con i cristiani visti esclusivamente come nemici, il vivere ai margini per timore che il proprio credo possa essere fonte di discriminazione, l’abbandono e la disperazione di chi non riesce più a vivere in un ambiente che lo respinge.

Le parole quando sono troppe risultano superflue: concretamente trovare un’intesa è molto difficile ma non impossibile, a mio parere, se ognuno di noi si prodiga nel volerlo. Nella Sicilia degli Altavilla la situazione volse al negativo per ragioni essenzialmente politiche. Ma forse è proprio da questo fallimento storico che è possibile ripartire.

2 Stato e religione nel Medioevo normanno

Nel Medioevo come ora l’elemento politico ha sempre rappresentato un fattore cardine per la regolazione ed il mantenimento della convivenza. La linea seguita dagli Altavilla, in particolare da Ruggero II, era improntata sul rispetto delle etnie e delle religioni: era proprio lo stesso re a fornire un modello esemplare di tolleranza e di apertura verso ogni tipo di cultura o sapere. Abbiamo avuto modo di accertare che la libertà di religione era garantita a tutti e che i sovrani normanni la consideravano come una condizione vitale per tenere saldo il regno su solide fondamenta. Ma la situazione sfuggì loro di mano, gli interessi di rango e della varie fazione sembrarono prevalere su ogni forma di auspicata e pacifica convivenza: la monarchia normanna, a partire soprattutto da Guglielmo II, non riuscì quasi più a fronteggiare i focolai di rivolta. Sentendosi sempre meno protetta, ostacolata ed umiliata, la comunità musulmana, non disposta ad accettare compromessi, agì di conseguenza.

Uno dei maggiori ostacoli alla convivenza e, quindi, al dialogo nasceva da una visione differente del rapporto tra stato e religione, concepito nel Cristianesimo e nell’Islam in maniera diametralmente opposta. Per la Chiesa era necessario distinguere tra la fede religiosa, che riguarda la coscienza del credente, e la vita della Chiesa come società organizzata e istituzione che, da una parte, si poneva sul piano universalistico, e dall’altra sviluppava una propria azione sul terreno politico, sia per la difesa dei suoi principi e delle libertà di coscienza dei propri fedeli, sia talvolta a mantenere i privilegi che erano stati acquisiti in circostanze storiche ben precise.

Per il mondo musulmano, invece, non esisteva, e così continua ad essere, una netta separazione tra temporale e spirituale. Nell’Islam l’esigenza di distinguere tra un potere religioso ed un potere politico non è mai stata sentita: il din (religione) è sempre stato il fondamento di tutte le espressioni che riguardano la dawla, ovvero la sfera del politico e del sociale. Tutto è stabilito dall’esigenza di uniformarsi al dettame religioso e di realizzare il progetto divino per l’umanità: il regno dell’Islam, ovvero la costituzione di uno stato islamico.

Nell’ambito di due concezioni così dissonanti, la monarchia normanna seppe inserirsi in modo decisamente singolare: legati a culti pagani incentrati su divinità quali Thor, dio del tuono, Odino, dio della guerra, Freia, dea della fecondità, gli Altavilla si rivolsero con estrema curiosità ai quei culti monoteisti che primeggiavano nei territori da loro conquistati. Sciolti da vincoli di conformità a qualsiasi dogma, cristiano o musulmano che fosse, essi si rapportarono alle popolazioni soggette nel pieno rispetto del loro credo. La conversione dei sovrani normanni al cattolicesimo fu sempre funzionale all’interesse politico. I rapporti col Papato si stabilizzarono solo a partire dal 1156 con il concordato di Benevento: fu da quel momento che si poté effettivamente parlare di un’alleanza tra Regno Normanno e Sede Apostolica. Prima di allora le relazioni tra le parti erano state caratterizzate da un profondo astio reciproco. L’incoronazione di Ruggero II ottenuta dall’Antipapa, la non partecipazione alla seconda Crociata, organizzata da Corrado II con l’appoggio di Papa Eugenio III, il rancore verso il re di Gerusalemme Baldovino furono una chiara dimostrazione di quanto il sovrano normanno non fosse disposto a concedere nulla o a fare passi falsi. Sotto i due Guglielmi la situazione sembrò prendere una piega favorevole all’intesa col Papato, anche per le pressioni della feudalità cristiana, benchè le mire espansionistiche degli Altavilla verso Costantinopoli, con la possibilità di una terza Crociata che avrebbe diviso la Cristianità, rappresentavano un’incombente minaccia per i precari equilibri raggiunti.

L’accostamento della monarchia normanna alla comunità islamica di Sicilia avvenne nella più completa stima, al punto che, come abbiamo avuto modo di constatare, i maggiori collaboratori del re, ministri o intellettuali, erano di fede islamica. Senza dimenticare l’utilizzo della lingua araba, diffusissima negli ambienti di corte e non solo. La nota negativa fu segnata dalla politica di ampliamento dei territori intrapresa dagli Altavilla a discapito dei paesi della dar al-Islam che si affacciavano sul bacino mediterraneo. L’obiettivo della monarchia di controllare le più importanti basi commerciali per assicurarsi la supremazia nel Mediterraneo si scontrò indubbiamente anche con il senso di appartenenza e fratellanza che legava i musulmani di Sicilia ai loro correligionari.

Questa condotta risultò determinante nell’indurre il mondo musulmano ad una reazione di condanna verso gli Altavilla e, quindi, di appoggio alla comunità islamica di Sicilia. Pensiamo alla missione di Ibn Qalaqis e al tentativo di sfruttare un periodo di grande fragilità interna del Regno per riconquistare l’isola: ma non dimentichiamo che l’egiziano approdò con gran stupore in una Sicilia fiorente, presso la corte di un gaito ricco e potente.

Se è vero che l’Islam aveva subito qualche contraccolpo, sarebbe altrettanto falso affermare che le condizioni della collettività siciliana fossero così drastiche come apparivano allora alla dar al-Islam: la quale tuttavia, presa da ben altre lotte e guerre, fece ben poco per aiutare i propri correligionari. Certo non possiamo negare, a partire dalla morte di Ruggero II, la presenza di segni che lasciavano intravedere un futuro poco roseo per la presenza islamica in Sicilia: non sarebbe corretto però condannare totalmente l’operato degli Altavilla, almeno sino a Guglielmo II, poiché fin quando essi furono in grado di proseguire su una politica di compromesso, fondato sul rispetto e sulla tolleranza, non si tirarono mai indietro.

Annamaria Corongiu

• In questa fase di grave crisi delle relazioni fra occidente e oriente, può essere necessario imparare dal passato per meglio affrontare i nodi dell’incerto futuro. Sotto questo profilo, la storia della Sicilia si ripropone come esempio di lungimirante saggezza.Il pregevole lavoro di Annamaria Corongiu penso che possa essere di aiuto per quanti rifiutano il conflitto e lavorano per il dialogo e la cooperazione fra Europa e mondo arabo.
• Perciò, siamo lieti di pubblicare la “Conclusione” della sua tesi di laurea (“LA SICILIA DEGLI ALTAVILLA: SINCRETISMI CULTURALI E CONVIVENZE”, relatore: Chiar.ma Prof.ssa Valeria FIORANI PIA-CENTINI) con la quale, Annamaria Corongiu si è recentemente laureata presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. (a.s.)


( torna su )










la tua pubblicità su
SICILY NETWORK

Cookie Policy