L'Egitto prima e dopo Mubarak. Le proposte pacifiste di El-Baradei. La ricerca della democrazia in un paese diviso dalla corruzione e dalla povertà. Il potere forte dell'Islam e tante domande sul futuro politico di un paese mummificato.
L’Egitto dei faraoni continua ad attrarre, ma l’importanza dell’Egitto d’oggi è determinata dal suo peso nel mondo arabo-islamico. Se l’anima orientale dell’Islam ha luogo tra la Mesopotamia e la Transoxania, e nelle zone limitrofe, l’anima dell’Islam occidentale ha come centro l’Egitto e i suoi dintorni. La prima scissione nell’Islam tra l’assolutismo letteral - deista sunnita e il razionalismo antropomorfico basato sull’ imamato e sul culto dei santi nello sciismo ha il suo primo terreno in Egitto.
Infatti, mentre a Baghdad regna il califfato sunnita degli Abbasidi (750-1258), sorto sulle ceneri del califfato omayyade (661-750) sunnita di Damasco, in Egitto si instaura il primo califfato degli sciiti ismailiti dei Fatimiti ( 969- 1171), che fonda anche la più prestigiosa università islamica di al-Azhar. Successivamente in Egitto i sunniti con Saladino ed altre dinastie prevalgono violentemente mentre lo sciismo come ideologia di lotta con forti connotati popolari si sposta in Oriente ed esattamente in Persia e viene imposto con forza come la religione di stato con i Safavidi( 1501-1736) i quali si alleano con lo stato pontificio di Roma per poter contrastare il “nemico comune” cioè l’espansionismo ottomano dei sunniti.
A differenza dell’Iran che conserva la propria lingua e cultura, l’Egitto si dissolve pienamente nell’Islam e nella lingua e cultura araba. Questo aspetto è tipico dell’espansionismo arabo che dove arriva non pensa a colonizzare, ma comincia a lavorare con ardore e passione costruendo ed abbracciando pienamente la vita autoctona per assimilarla ed assorbirla del tutto. Questo ciclo integrale in nome di Allah a cui tutto deve essere subordinato e tutti devono arrendersi in modo pieno e totale.
Con il dissolvimento del califfato ottomano, (1774-1924) che aveva incorporato pienamente l’Egitto, arriva il colonialismo franco-inglese. Nel 1922 Londra «concede » unilateralmente l’indipendenza, ma il Canale di Suez continua a essere di proprietà inglese. Dopo la seconda guerra mondiale, il partito nazionalista Wafd riprende la lotta per la fine dell’occupazione. A essa parteciparono giovani wafdisti, socialnazionalisti, comunisti e i Fratelli Musulmani.
Nel 1952, i «liberi ufficiali», tre giorni dopo aver assunto il potere, cacciano il re. Il 18 giugno 1953 proclamano la repubblica e nominano presidente il generale Naghib che tenta di restituire il potere ai partiti. Ciò lo mise in conflitto con Nasser, che nel 1954 ebbe la meglio, dopo una prova di forza, divenendo presidente. Nasser sull’onda delle passioni ed entusiasmi rivoluzionari si è dato poteri molto ampi, cominciando a reprimere sia i comunisti che i Fratelli Mussulmani, ma ha intrapreso anche riforme religiose dichiarando lo sciismo perseguitato come una delle religioni dell’Islam.
Nasser promosse una riforma agraria che assestò colpi mortali alle strutture feudali; si rifiutò di aderire al Patto di Baghdad, patrocinato dagli Usa in funzione antisovietica; ottenne il ritiro definitivo degli inglesi dal Canale di Suez; entrò nel campo dei «non allineati» partecipando con India, Cina e Jugoslavia alla conferenza di Bandung (aprile 1955); ruppe il «monopolio (occidentale) delle armi» ottenendo forniture belliche dall’Urss e incoraggiò ovunque i movimenti di liberazione, dal Marocco, all’Algeria, all’Africa Nera.
Questa linea di «neutralismo attivo», aggressivo, militante, ha dato all’Egitto la leadership del mondo arabo ma ha attirato su Nasser l’odio delle potenze coloniali, soprattutto di Gran Bretagna e Francia, ma anche degli Stati Uniti, i cui interessi tuttavia non coincidevano con quelli di Londra e Parigi. Le potenze hanno sostenuto Israele contro il quale Nasser ha perso la guerra, ma non la popolarità nel mondo arabo. Il generale Anwar Sadat, il successore di Nasser, fece pace separata con Israele a Camp David raccogliendo le simpatie occidentali ma fece perdere la leadership del mondo arabo all’Egitto. Sadat fu assassinato dagli ambienti del jihadismo e a lui succedette Hosni Mubarak, il quale governa alla guisa di un faraone, vincendo dal 1981 le elezioni proforma con alte percentuali.
Il pensiero riformista in Egitto ha due principali filoni. Il primo, di stampo islamico, ha come precursore Jamal al-din Afghani e i suoi allievi come il puritano Muhammad Abduh, fino al fondatore dei fratelli musulmani Hasan al-Bana il cui nipote, Tarek Ramadan, musulmano europeo di nascita e “formazione”, continua con i suoi messaggi ambigui volendo far discutere la pena di lapidazione addirittura in Europa. Il secondo filone, che rappresenta il riformismo laico, vede come precursori personaggi come R.Tahtavi (1801-1873), Shebli Shomeyl (1850-1917) e Taha Hossein (1889- 1973) che voleva applicare il metodo di Cartesio nella ricerca .
A tutt’oggi queste due tendenze sono presenti nella vita politico–culturale dell’Egitto. Da un lato i fratelli musulmani che, pur soffrendo le continue lotte intestine ed essendo sotto la costante pressione delle varie correnti del jihadismo altromondista, continuano a sognare un califfato islamico. I fratelli musulmani, anche se raccolgono il voto dei ceti più poveri, sono – come afferma Samir Amin - assenti dalle reali lotte sociali a favore delle categorie meno abbienti e si schierano quasi sempre con la conservazione e lo status quo. Per i fratelli musulmani – de facto - la vera giustizia appartiene all’altro mondo e quel che si può fare in questo mondo a favore delle categorie di meno abbienti (poveri) è l’elemosina (sadaqah). Perciò quel che in una lotta democratica viene considerato un diritto negato e da conquistare, per i fratelli de facto è una concessione. La solidarietà dei fratelli musulmani è all’insegna della filantropia.
Di fronte a questo approccio delle tendenze di stampo religioso ci sono le pallide sinistre , i partiti democratici più o meno laici e delle forze politiche d’opposizione al regime come Kifaya (basta), che sia per l’effetto delle politiche repressive del regime, sia per l’affievolirsi di propositi ideali sembra che siano ridotte quasi a dei surrogati del potere . Di fronte ai fratelli musulmani e ai deboli partiti politici d’opposizione c’è lo strapotere del partito Nazional Democratico di cui un deputato esorta apertamente le forze di polizia e di sicurezza a sparare contro chi si oppone al suo dominio incontrastato e manifesta a favore della candidatura di El-Baradei, il moderato diplomatico e premier Nobel per la pace.
L’oligarchia egiziana come un mix di repressione e ricchezza gravita sulla famiglia e sulla persona di Hosni Mubarak il quale gode del sostegno di una costituzione fatta ad personam. C’è un’ economia debole basata sull’agricoltura, sulla vendita di poche materie prime, sul turismo e sulle rimesse degli emigrati (in Arabia Saudita e scieccati, ma anche Europa e Usa) . In un quadro di diffusa povertà, Mubarak possiede ricchezze incalcolabili raccolte grazie al neoliberismo sregolato all’insegna della corruzione.
La famiglia Mubarak, insieme all’oligarchia di potere, controlla quasi tutti i principali media e quell’insieme di strutture di sicurezza che applicano una violenza sistematica contro ogni forma di disobbedienza. Mubarak come un generale appartiene anche all’apparato militare senza il consenso del quale a nessuno è consentito di governare in Egitto e come un mix di faraone - califfo - generale regna incontrastato da decenni e vuole la successione in famiglia.
Il partito di potere non è stato capace di riforme, di modernizzare la società schiacciata sotto il peso della povertà , delle tradizioni e delle usanze del passato (la circoncisione femminile è emblematica), di combattere la povertà che investe ceti sempre più ampi. Quasi un milione di cairoti vive nei cimiteri del periodo ottomano. La povertà in Egitto ha raggiunto un tale livello da togliere quasi ogni significato politico alle rivendicazioni sociali. Gli egiziani infatti combattono per il pane, senza forse più pensare alle responsabilità del sistema. Malgrado questa povertà l’Egitto è uno dei più grandi compratori di armi. Il caso egiziano è un classico caso di quei regimi arabi che, divisi tra monarchie assolutiste e presidenti a vita, vedono il voto democratico come un nemico da combattere con qualsiasi arma.
In questo quadro El-Baradei, ex presidente della IAEA, ( il braccio operativo dell’ONU in materia nucleare), e premio Nobel per la pace, si presenta come probabile candidato alle presidenziali per concorrere contro Mubarak e soprattutto contro il sistema basato sul nome del faraone. I suoi propositi sono: elezioni libere e monitorate, la fine dello stato d’emergenza, governo democratico , libertà di stampa, modernizzazione. Se il regno di Mubarak ha trasformato l’intero Egitto in una città-cimitero dei tempi dei faraoni (le città dei faraoni in realtà sono città dei morti) l’ipotesi della candidatura del moderato diplomatico ha dato anima alla società egiziana che usando nuove tecnologie ed internet, si è messa in marcia: la società civile, sindacati , personalità , intellettuali, donne ,giovani, studenti, attivisti per i diritti e soprattutto semplici cittadini.
El-Baradei, secondo l’attuale costituzione, non potrebbe nemmeno candidarsi in quanto dovrebbe essere da almeno un anno membro della direzione di un partito politico, mentre lui è rientrato nella terra natia dopo 25 anni di carriera diplomatica all’estero. Oppure dovrebbe avere il sostegno di 250 deputati eletti della due camere (Shura e Consiglio del Popolo), un fatto più impossibile che difficile. Il vecchio diplomatico sa anche che nessuno emenderà la costituzione per rendere possibile la sua candidatura. El-Baradei, anche se afferma che “i mezzi pacifici sono l’unico modo per evitare le violenze”, nel contempo fa capire di "non volere giocare nell’ambito istituzionale, secondo le regole di questa pseudo – democrazia” e parla addirittura della rivoluzione “non per il popolo ma con il popolo”.
El–Baradei vede che l’estrema povertà ha ridotto la lotta degli egiziani a rivendicazioni come aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni di vita ma senza connotati politici. Perciò afferma: la maggior parte degli egiziani devono essere introdotti ed educati in merito ai diritti fondamentali. Albert Camus aveva sostenuto: chi ti porta via la libertà, domani ti porterà via anche il pane. Sembra che El-Baradei incalzi Camus quando afferma: “la gente deve capire il collegamento tra il pane che mangia e la democrazia”.
El-Baradei sostenuto da ampie fasce della società civile , dal mondo della cultura e del lavoro , dai nazionalisti di al-Wafd, da Amr Musa (presidente della Lega Araba), dall’Associazione degli egiziani d’America AEA e da una parte dei fratelli musulmani, ha annunciato la formazione dell’“Associazione Nazionale per il Cambiamento”. L’incognita è la posizione dei fratelli musulmani, che chiedono di poter formare un partito politico in caso di vittoria e ciò potrebbe irritare gli Usa e Israele che El-Baradei non ha esitato a criticare insieme all’ONU su più questioni, come la guerra in Iraq: “continuo a chiedere quale principio di diritto internazionale permette di invadere un altro paese?” .
In mezzo a una alta crescita demografica la povera economia egiziana basata sull’agricoltura , turismo, vendita di poche materie prime e rimesse degli emigrati non regge . L’Europa assorbe parte della manodopera egiziana. Gli Usa forniscono ogni anno oltre 2 miliardi di dollari del denaro del contribuente americano in aiuti alla disastrata economia egiziana e alcuni ambienti dell’establishment Usa potrebbero non gradire le critiche del vecchio diplomatico. Ma potrà l’America democratica del presidente Obama continuare a sostenere un regime di polizia corrotto fin nelle viscere che si nutre di violenza e corruzione ed è incapace di amministrare con minima decenza il maggior paese del mondo arabo?
E’ arcinoto che buona parte del jihadismo islamico si forma e proviene dall’Egitto. Gli estremismi di matrice confessionale nascono essenzialmente nella palude del non – diritto creati dai regimi tirannici . Il regime di Mubarak invece di intraprendere le riforme per combattere e prosciugare le palude dove nascono e crescono le tendenze estreme all’insegna del terrorismo, con il capro espiatorio di combattere il terrorismo jihadista, si nutre d’aiuti ma de-facto esporta terrorismo verso altre aree, in Iraq, nelle zone tribali tra Afghanistan e Pakistan e altrove. La lotta per i diritti e la democrazia riguarda soprattutto l’Egitto e gli egiziani ma i fattori geopolitici ed componenti internazionali hanno loro peso ed anche notevole .
Nelle cancellerie dei paesi democratici è il momento che qualcuno cominci a pensare alla reale democrazia come un valore di fondo che è all’origine della stabilità e della sicurezza. Bisogna che nell’America democratica e realista e nelle cancellerie europee si ponga la domanda : per quanto tempo misure tampone (con alti costi ) di sostegno ai regimi dittatoriali potrebbero reggere prima di una esplosione che causi una instabilità e una insicurezza globale? È noto che gran parte del mondo islamico sunnita viene essenzialmente gestito attraverso gli editti emessi dalla massima autorità del mondo islamico quale è al- Azhar che ha sede al Cairo. Il perpetuarsi del potere irrispettoso dei diritti , in assenza di un reale “change” potrebbe far esplodere la situazione e far prevalere gli indirizzi jihadisti all’interno di al Al-Azhar . In quel caso non solo gli Usa e l’Europa ma anche i russo - cinesi avranno dei problemi molto seri di stabilità.
Per poter isolare gli estremismi jihadisti bisogna dialogare con l’Islam moderato che rappresenta una grande civiltà e non cedere all’islamofobia. Questo Islam moderato che si mostra disponibile a sostenere la candidatura di un diplomatico moderato. Saranno gli sviluppi futuri a dimostrare se El-Baradei sarà il primo presidente civile egiziano o farà la fine di Ayman Nour, leader del partito liberale d’opposizione al-Ghad (Domani), che per non pretendere un voto democratico è stato messo in carcere. Mubarak intanto continua a fa capire di non voler abbandonare il potere personale che nell’auto conservarsi ha raggiunto lo stato di mummificazione piena .
Oltre 300 milioni di arabi soffrono la mancanza di un Martin Luther King e sono schiacciati tra i movimenti confessionali di stampo jihadista e i regimi che si reggono sulle strutture di sicurezza. Bisogna dimostrare che esiste una terza via capace di contrastare attraverso la cultura di diritto (e il conseguente stato di diritto) la violenza del terrorismo e della guerra e combattere chi promette la terra della desolazione. El-Baradei, che da settimane non porta altro che cravatte verdi (richiamo al movimento della società civile iraniana), è una figura emblematica di questa battaglia che va sostenuto da chi crede nei diritti, nella stabilità, nella sicurezza come elementi base della pace perpetua.
C’è una domanda forte per la democrazia in tutto il Medio Oriente, l’Eurasia e i dintorni. Una domanda che, a differenza del passato, è all’insegna della moderazione basata sulle istanze dei movimenti della società civile. Avere il coraggio di sostenere le richieste di questi movimenti significa anche emarginare tendenze estreme e garantire la sicurezza.
Maggio 2010
* Da “Limes”, Rivista italiana di geopolitica.
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