(PUNTI DI VISTA)

  1. Verso le elezioni israeliane: la candidatura del laburista Mitzna
    di Mohamed Moustapha, Hala Fares, Mohamed Sid-Ahmed

IRAQ: una guerra per il petrolio
(di Nicolas Sarkis )

(Riportiamo ampi stralci di un interessante articolo di Nicolas Sarkis, direttore di "Petrole et gas arabe" e uno dei maggiori esperti mondiali di questioni energetiche, pubblicato nel numero di ottobre/2002 della rivista francese "France-Pays Arabes")

"Se l'Iraq invece di petrolio esportasse pomodori o pistacchi non avrebbe presentato alcun interesse per gli Stati Uniti e il presidente Bush non avrebbe lanciato una nuova guerra per rovesciare il regime di Saddam Hussein. Tuttavia, per il presidente americano e per quei suoi collaboratori che suonano i tamburi di guerra- soprannominati a Washington "Il contingente Cheney, Rummy, Condi, Wolf, Perle, W"- non è molto facile giustificare un intervento militare in Iraq per il fatto che questo paese possiede riserve petrolifere provate stimate almeno a 122 miliardi di barili, è il solo paese ad avere giacimenti giganti scoperti ma non ancora sfruttati, è uno dei molto rari grandi produttori di petrolio dove le società petrolifere americane sono totalmente assenti dagli inizi degli anni '70.
In tutte le dichiarazioni fatte dagli alti responsabili americani a proposito dell'intervento militare in Iraq, la parola "petrolio" non è stata mai pronunciata…
E' molto più comodo lanciarsi in questa avventura sotto la copertura della lotta contro "il terrorismo internazionale" divenuto il leit-motiv della politica americana dopo gli attentati dell'11 settembre. Anche se non si è potuto stabilire alcun legame fra l'Iraq e questi attentati…
Quale che sia il fondamento delle accuse contro il regime iracheno, fatto sta che la retorica guerresca utilizzata dai fautori dell'amministrazione Bush non riesce a mascherare l'importanza primaria della questione del petrolio della nuova politica americana. I dati di base dicono che la produzione petrolifera degli Usa è in costante calo da circa 30 anni, durante i quali il loro consumo è aumentato e la loro dipendenza dalle importazioni di petrolio è in forte e rapida crescita. Da un picco di 9,44 milioni (mln) di barili/giorno (bg) del 1972, quando gli Usa erano il primo produttore mondiale di petrolio, la produzione petrolifera americana di petrolio greggio è caduta del 38,6% per scendere a 5,8 mln/bg nel 2001.
Secondo le previsioni disponibili, non supererà 4,3 mln/bg nel 2020. Quanto alla dipendenza dal petrolio importato, compresi i condensati, è passata dal 30,1% del 1972 a 55,4% del 2001, con una domanda di 19,65 mln/bg e importazioni nette di 10,91 mln/bg, secondo le statistiche dell'Energy Information Administration Americane...
La Task Force presieduta da Dick Cheney si è occupata del problema della dipendenza energetica degli Usa e ha elaborato, prima degli attentati dell'11 settembre, un lungo rapporto che raccomanda essenzialmente lo sviluppo delle risorse petrolifere e di gas degli Usa mediante, fra l'altro, la revoca delle moratorie che vietano l'esplorazione nella gran parte delle zone marine, soprattutto al largo della California e della Florida e in buona parte dell'Alaska…
L'opposizione degli ambientalisti all'esplorazione petrolifera nelle zone marine, il trauma derivato dal disastro della Exxon Valdez in Alaska, lo scandalo Enron e il carattere molto impopolare degli aumenti del prezzo della benzina negli Usa hanno finito per mettere in crisi il programma energetico dell'amministrazione Bush.
Dopo la tragedia dell'11 settembre, i mezzi individuati da questa amministrazione per coprire i bisogni petroliferi e di gas degli Usa sembrano orientarsi meno sullo sviluppo delle risorse nazionali e più sulla diversificazione e il controllo diretto delle fonti di approvvigionamento al di fuori delle frontiere. In quest'ottica, l'insediamento di un regime filo-americano in Iraq aprirà una via regale verso i giacimenti giganti di questo Paese e rinforzerà la presenza americana sulla scena petrolifera in Medio oriente e altrove.
L'Iraq è il paese dove la produzione petrolifera può essere sviluppata più rapidamente e al minor costo, perciò la produzione irachena potrà essere portata, in pochi anni, a più di 6 mln/bg e sarà questo un eccellente mezzo di pressione sull'Arabia saudita, sull'Iran e su ogni altro paese i cui orientamenti politici non sono graditi a Washington.
All'orizzonte 2010-2020, la crescita delle esportazioni dall'Asia centrale, dalla Russia e dall'Africa non potrà, al meglio, che compensare l'atteso declino della produzione in altri Paesi non-Opec. In tutti i casi, il Medio oriente resterà, ancora per decenni, la principale zona capace di coprire l'aumento del fabbisogno mondiale e la dipendenza energetica degli Usa e d' altri paesi importatori che, in rapporto a questa regione, continuerà a crescere per l'insieme della zona Ocde dal 55,2% del 2001 al 63,3% del 2010 e a circa 70% nel 2020.
Per parte loro, i paesi arabi e l'Iran desiderano aumentare la loro produzione e le entrate petrolifere di cui hanno un gran bisogno. D'altra parte, questi paesi non hanno manifestato alcun segnale di volere minacciare la sicurezza degli approvvigionamenti dei paesi importatori. Nel contesto politico attuale, un conflitto armato in Medio Oriente rischia, invece, di frenare gli investimenti petroliferi necessari in tutto il mondo, di rafforzare i movimenti estremisti e di aprire la via a una serie di rovesciamenti politici imprevedibili che andrebbero incontro tanto agli interessi vitali degli Usa e degli altri paesi occidentali quanto agli imperativi della lotta contro il terrorismo.

Nicola Sarkis

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Verso le elezioni israeliane: la candidatura del laburista Mitzna
( di Mohamed Moustapha, Hala Fares, Mohamed Sid-Ahmed )

In vista delle elezioni politiche israeliane del 28 gennaio 2003, riprendiamo dalla rivista egiziana "Al-Alhram Hebdo" stralci di alcuni interventi riguardanti soprattutto la situazione e la politica del Partito Laburista israeliano e del suo nuovo leader Amram Mitzna, sindaco di Haifa, candidato a primo ministro in contrapposizione di Ariel Sharon, capo del Likud. Mohamed Moustapha, in una corrispondenza da Gaza (Una colomba non annuncia la primavera), rileva, fra l'altro, che: "Dopo aver vinto le primarie laburiste in vista delle elezioni anticipate del 28 gennaio, l'ex generale Amran Mitzna è di fronte alla missione impossibile di battere il primo ministro uscente Ariel Sharon…All'indomani della sua elezione, Mitzna ha dichiarato "In caso di vittoria, comincerò a negoziare (con i palestinesi n.d.r.) senza condizioni".
E per questo ha proposto un programma in 4 punti: il ritiro immediato d'Israele dal settore di Gaza; la ripresa immediata con la direzione palestinese sulla base delle intese alle quali le due parti sono giunte nel corso dei precedenti negoziati; se entro un anno non fosse concluso un accordo con i Palestinesi, Israele procederà, in modo unilaterale, e stabilirà una linea di frontiera di sicurezza in Cisgiordania affinché nessuna colonia si trovi a est di questa linea. Le colonie ebraiche devono essere raggruppate ad ovest di questa linea; saranno assunte disposizioni adeguate nella parte est di Gerusalemme, affinché la popolazione araba non sia sottomessa all'autorità israeliana…
Mitzna non precisa quale sarà la forma della sovranità palestinese sulle frontiere terrestri, marittime e sullo spazio aereo. Non accenna alla questione dei rifugiati che è una questione chiave e molto sensibile per i palestinesi. Più della metà dei palestinesi vivono nella diaspora. Circa 3 milioni sono nei campi di Giordania, Libano e Siria.
Tuttavia, Mitzna nel suo programma non rifiuta di trattare con la direzione palestinese sotto la presidenza di Yasser Arafat…Mitzna è convinto che la guerra che conduce Israele contro di ciò che chiama "il terrorismo palestinese" non impedisce di negoziare con i palestinesi. Egli, dunque, si differenzia dal Likud che rifiuta di negoziare con Arafat, di ritornare ai confini del giugno 1967 e di smantellare le colonie…
Se per un concorso di circostanze eccezionali, il sindaco di Haifa sarà eletto primo ministro, attuerà le sue promesse elettorali?
Una risposta appare difficile. Evacuare le colonie, specialmente in Cisgiordania, non è un compito grato. Esistono 185 colonie abitate da 250.000 persone, in gran parte fra gli ebrei più estremisti. Essi sono armati fino ai denti e sostenuti dai partiti di destra i quali hanno messo nei loro programmi la colonizzazione e l'espansione nei territori palestinesi come un dato strategico di base.
Non dimentichiamo che il primo ministro Sharon ha preferito il ritiro del partito Laburista dal governo e il sacrificio del governo d'unità nazionale a una riduzione del bilancio per le colonie…
Quale sarà l'attitudine dei palestinesi di fronte a questa situazione e soprattutto al fine di favorire una tendenza relativamente pacifista?
Ufficialmente, l'Autorità palestinese invita la resistenza a calmare il gioco e a mettere fine alle operazioni kamikaze all'interno della linea verde. Ciò per dare ai laburisti una possibilità di vincere. Le attività militari (palestinesi n.d.r.) aumentano la popolarità della destra israeliana. Ahmed Korei, presidente del Consiglio legislativo palestinese, afferma che" si potrà pervenire alla pace con Israele in meno di 1 anno nel caso in cui Mitzna vinca le elezioni…"
Un ottimismo non condiviso da Abdel Rentissi, dirigente di Hamas, il quale dichiara" E' un errore credere che sia la destra israeliana che perpetua la violenza e il terrore, mentre la sinistra è sinonimo di pace e di negoziato. I laburisti non erano all'interno dell'ex governo che ha commesso crimini e massacri nel corso degli ultimi due anni?"…

Hala Fares
Ancor meno convinta della conversione pacifista dei laburisti si mostra Hala Fares nel suo articolo "Se non è zuppa è pan bagnato".
"Bisognerà usare un microscopio per potere distinguere fra le differenze ideologiche del Likud e del partito Laburista". Questa affermazione è di un editorialista del quotidiano israeliano "Haaretz" nel momento in cui il partito laburista, quasi in rotta, sembra essere riuscito a trovare una via diversa dopo un governo d'unità nazionale sotto Ariel Sharon. La questione che si pone è di sapere perché il partito Laburista ha la reputazione di essere più orientato verso la pace.
Secondo Emad Gad, redattore in capo del mensile "Israeli Digest" pubblicato dal CEPS di Al-Ahram, "questo partito ha sempre operato per "un compromesso regionale". Vuole conseguire lo stesso obiettivo del Likud, ma utilizzando mezzi più moderati mediante i negoziati. Tutte e due rifiutano di un ritorno ai confini del giugno 1967, il ritorno dei rifugiati e la divisione di Gerusalemme. I principi sono gli stessi, i dettagli cambiano".

Mohamed Sid-Ahmed
Più aperto a riconoscere la vocazione "pacifista" di Mitzna appare Sid-Ahmed che nel suo articolo "Che c'è di nuovo sulla scena israeliana?" rileva fra l'altro:
"Amran Mitzna è un ex generale dell'esercito al quale manca l'esperienza politica…Egli è diverso dagli uomini politici tradizionali. E'noto per la sua integrità e la sua onestà. L'israeliano Ury Avniri, un celebre partigiano della pace, racconta che durante l'invasione israeliana del Libano nel 1982 non conosceva ancora Mitzna. E' stato lui ad attirare l'attenzione con le sue dimissioni per marcare la sua opposizione alla politica del ministro della difesa del tempo che era Ariel Sharon, responsabile dei massacri di Sabra e Chatila…
Mitzna dichiara oggi:"Se sarò primo ministro ordinerò l'immediato ritiro delle forze israeliane da Gaza e lo smantellamento delle colonie. Inviterò i palestinesi a riprendere il negoziato dal punto in cui sono stati sospesi. Ancora di più: evacuerò le colonie dalla Cisgiordania. Penso che Gerusalemme debba essere una città condivisa fra le due parti". In breve, Mitzna afferma che la pace ha un prezzo e che egli è pronto a pagarlo.
Tuttavia, i sondaggi dicono che sono deboli le possibilità che Mitzna prevalga sul suo rivale Sharon. E' molto probabile che il ruolo di Mitzna si riduca ad una rivitalizzazione del partito laburista, in quanto partito d'opposizione e non partner in un governo di unità nazionale.
Quanto ad Arafat, si mostra disposto a cooperare col nuovo leader laburista per portare a termine la missione intrapresa dall'ex primo ministro israeliano Rabin. Egli ha anche espresso la speranza, ed anche la certezza, che Mitzna seguirà la linea di Rabin…
Senza dubbio, la popolarità di Sharon è sempre forte e tale resterà fino a quando continueranno le operazioni suicide che lasciano tracce devastatrici non soltanto sulla vita degli israeliani, ma anche sul loro morale. Pertanto, Sharon non è l'unico a poter dire l'ultima parola. Conformemente ai sondaggi di opinione, almeno il 50% degli elettori sono ancora esitanti. Perciò, tutto è ancora possibile. Tutto dipende da ciò che faranno i diversi partiti durante la fase critica futura che durerà fino al 28 gennaio…
Sharon è impegnato a marginalizzare Arafat per favorire il passaggio del comando palestinese a una persona più flessibile. Ora, Arafat è sempre capace di essere il punto di riferimento se farà delle mosse abili sulla scena diplomatica. A titolo d'esempio, se proporrà di ritornare alle proposte di Clinton del gennaio 2001 come base valida alla ripresa dei negoziati. Ciò richiederà obbligatoriamente la cooperazione dell'Arabia saudita e dell'Egitto. In particolare per ciò che concerne la resurrezione dell'iniziativa saudita di pace, adottata dal summit di Beirut nel marzo 2002. In effetti, una diplomazia araba è indispensabile, soprattutto per quanto riguarda il problema iracheno che ha raggiunto il suo parossismo. La questione che si pone è dunque la seguente: la scena araba è disposta ad assumere la sfida dell'emergere di un elemento di novità in Israele?"

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