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PALERMO
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In questa
nuova rubrica proponiamo articoli e commenti comparsi su "la Repubblica
- Palermo" riguardanti le relazioni tra la Sicilia e i paesi dell'area
mediterranea e del mondo arabo.
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LA SICILIA NEL MEDITERRANEO)
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La
Nuova frontiera Euro-Mediterranea *
AGOSTINO
SPATARO
Oggi
si fa un gran parlare di Sicilia e Mediterraneo, di "ponte" fra Europa
e Africa, di scambi e di cooperazione con i Paesi del Maghreb, etc, etc.
Tutto ciò è bene, anche se, noi che, da circa 30 anni, andiamo proponendo
(sovente in solitudine) questa prospettiva come una delle principali vie
d'uscita dalla crisi in cui è stata relegata la Sicilia, avvertiamo un
leggero senso di fastidio nell'udire o nel leggere di prese di posizioni
enfatiche da parte di taluni che, fino a pochi anni addietro, ignoravano
o disdegnavano questa possibilità. Ma non è questo il punto. Il fatto
davvero importante è che nel Mediterraneo qualcosa di costruttivo si sta
effettivamente movendo, che una politica nuova sta, forse, nascendo e
si potrà affermare se si placheranno gli odi a Gerusalemme, se cesserà
l'eterno conflitto che vi si svolge dentro ed intorno, non per far prevalere
un Dio o un culto, ma per il controllo di due risorse fondamentali in
Medio Oriente: una abbondante (il petrolio) e l'altra carente (l'acqua). L'esigenza
di sottrarre l'area mediterranea da questa morsa infernale è stata espressa
in più occasioni, ma con scarsi risultati. Importante però è cominciare
ad immaginare, e programmare, un futuro non più ipotecato dalla "maledizione
del petrolio". In un libro del 1993 **, scritto insieme all'amico Bichara
Khader, eminente economista palestinese, abbiamo prospettato l'ipotesi
di trasformare l'area mediterranea in uno "spazio economico comune" condiviso
fra Europa e Paesi terzi mediterranei, da proporre come uno dei poli dello
sviluppo mondiale per il XXI secolo. L'Unione Europea, dopo un trentennio
di "politica mediterranea" episodica e parcellizzata, ha imboccato la
strada di un approccio globale della questione mediterranea e sottoscritto
con 12 Stati terzi mediterranei, nel novembre del 1995 a Barcellona, un
trattato internazionale di enorme rilievo politico che delinea una prospettiva
di partenariato su aspetti importanti che spaziano dalla sicurezza ai
diritti umani, dall'emancipazione della donna ai flussi migratori, dall'aiuto
pubblico agli investimenti privati, dalle infrastrutture al sistema dei
trasporti, dalla formazione scientifica e professionale al turismo, dalla
difesa dell'ambiente e del mare all'organizzazione dei mercati, etc. Per
l'attuazione di tali accordi, l'UE ha impegnato e speso decine di migliaia
di miliardi ed avviato azioni concrete di cooperazione e di scambio con
i 12 PTM, mentre si sta lavorando per l'ingresso della Libia nel sistema
del partenariato euro-mediterraneo che dovrebbe sfociare, nel 2010, nella
creazione di una zona di libero scambio, ovvero di un nuovo mercato di
600-700 milioni di consumatori.
Com'è noto,
questo sistema di accordi e di finanziamenti è stato riconfermato, il
16 novembre 2000 a Marsiglia, nel corso del vertice dei ministri degli
esteri dei 27 Paesi partecipanti al partenariato euromediterraneo che,
certo, non è lo "spazio economico comune", tuttavia ha attivato una dinamica
euromediterranea e una serie di processi economici e politici prima impensabili.
Di fronte
a questa realtà in movimento, in Sicilia invece di discutere e soprattutto
operare per attrezzare la nostra regione per inserirla a pieno titolo
nel processo già avviato, ci si divide, anche nel campo progressista,
fra propugnatori di centralità mediterranee (tutte da costruire) e demolitori
della prospettiva mediterranea.
A mio avviso,
la Sicilia sta dentro questo scenario, con tutto il suo bagaglio storico
e culturale e con la sua attuale, contraddittoria realtà socio-economica,
anche se bisogna sapere che la sola centralità geografica non è sufficiente
a garantirle la centralità economica o d'altro tipo.
Purtroppo,
la Sicilia, considerata nella sua dimensione produttiva, infrastrutturale
e mercantile, non è adeguata al livello di competitività esistente e a
quello che, prevedibilmente, si determinerà nel 2010 nell'area mediterranea.
A parte i
ritardi e le carenze nelle infrastrutture dei trasporti, del sistema formativo,
dell'agibilità democratica, vi sono altri elementi da valutare che denunciano
una realtà distorta del sistema produttivo siciliano in rapporto al mercato
mediterraneo. Ecco qualche esempio: in valore la quota siciliana dell'export
nazionale ha raggiunto( giugno 2000) a malapena il 2% (contro il 28,5%
della Lombardia), per altro il dato siciliano, in crescita rispetto al
semestre precedente, è fortemente inficiato dall'incidenza delle produzioni
di benzine e derivati, mentre la quota non oil è rimasta sostanzialmente
inalterata; con i Paesi arabi e mediterranei (in particolare con quelli
esportatori d'idrocarburi) la Sicilia mantiene un pesante saldo negativo
che, sul piano nazionale, è compensato con le esportazioni delle regioni
del centro nord. Come dire: la Sicilia si fa carico dell'importazione
e della raffinazione di enormi quantità di petrolio per i mercati nazionale
ed europeo ( con grave pregiudizio per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema
marino), ma sono le regioni forti del centro nord italiano a trarne beneficio
sul terreno economico, realizzando la quasi totalità dell'export di beni
e servizi verso i paesi d'origine degli idrocarburi.
Questo si
verifica- è bene rilevarlo- anche perché la Sicilia ha poco o nulla da
esportare sui mercati arabi e mediterranei.
Tranne qualche
eccezione, il sistema produttivo siciliano è debole, scarsamente diversificato,
talvolta obsoleto, e pertanto incapace di competere su questi mercati
con le produzioni dei principali paesi industrializzati; il sistema siciliano
non riesce a soddisfare adeguatamente nemmeno il fabbisogno locale (si
ritiene che sia del 20-25% la capacità di copertura del mercato interno
siciliano), mentre la gran parte delle produzioni agricole (vino, agrumi,
ortaggi, olio, etc) sono soggette alla forte concorrenza delle produzioni
mediterranee e perciò sono state escluse- temporaneamente- dagli accordi
di Barcellona. La questione non è dunque quella di dividersi sulle opzioni
geoeconomiche (anche se meno spocchia eurocentrista sarebbe salutare per
l'economia siciliana), ma di pensare come attrezzare la Sicilia (sotto
il profilo dell'innovazione e della diversificazione produttiva, dell'infrastruttura
delle comunicazioni e dei trasporti per favorire la velocità dei collegamenti,
dell'organizzazione commerciale, ecc) per farle svolgere un ruolo attivo
in senso bi-direzionale: verso l'Unione europea e verso il Mediterraneo
e non per fare "il ponte" di qualcosa o di qualcuno, ma principalmente
per esportare beni e servizi, cultura, informazioni, tecnologie fabbricati
in Sicilia.
Tutto ciò
nel quadro della costruzione di un nuovo sistema di relazioni con i popoli
del Mediterraneo che non può essere basato soltanto sui flussi di merci
in entrata e in uscita, ma sulla cooperazione, sulla solidarietà e sulla
valorizzazione delle risorse umane, poiché al centro di ogni sana politica
dovrebbe restarci sempre l'uomo con i suoi bisogni e le sue speranze. Anche
in questo la Sicilia, in virtù della sua vicenda storica e del suo riconosciuto
spirito di tolleranza, potrebbe dare un contributo davvero originale per
realizzare un clima di convivenza pacifica in un Mediterraneo multietnico
e multiculturale.
Questo è
anche il principale banco di prova per i governi, i partiti, ma anche
per il ceto imprenditoriale, delle forze sociali, del sistema bancario
e di tutti i soggetti che hanno a cuore la rinascita della Sicilia, se
sapranno o no delineare ed attuare un progetto capace di mettere a frutto
tutte le risorse e le potenzialità esistenti nell'isola (e ve ne sono),
mirato ad estirpare quel grumo infetto composto di malapolitica e criminalità,
di corruzione e inefficienza amministrativa che fa della Sicilia un territorio
ad alto rischio per gli investimenti.
Altro paradosso:
nell'Isola si registra una forte carenza d'investimenti, soprattutto privati,
a cui fa da pendant una sistematica fuga di capitali (dall'isola verso
i centri finanziari del nord e dell'estero) per il tramite di un sistema
bancario sbarcato in forze in Sicilia non per finanziare ma per sottrarre
risorse allo sviluppo locale, lasciando agli usurai un ampio spazio di
supplenza.
Il partenariato
euro-mediterraneo è la nuova frontiera della Sicilia; a questo obiettivo
bisognerà finalizzare gli sforzi e le risorse, ridisegnando le linee di
uno sviluppo compatibile e riformando profondamente le strutture operative
e il ceto politico che dovrebbe governare un processo così impegnativo.
Speriamo che le prossime elezioni per il Presidente della Regione e per
il rinnovo dell'ARS riescano a segnare una svolta in questa direzione.
Agostino
Spataro
* Questo
articolo è stato pubblicato anche sulla rivista "Segno"
del mese di aprile 2001.
** "IL
MEDITERRANEO" di A.Spataro e B. Khader- Edizioni Associate - Roma-1993
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La
Sicilia sbarca a Tunisi
AGOSTINO
SPATARO
L'altra sera
all'aeroporto di Catania, ho incontrato Vincenzo Consolo e signora. Venivano
in Sicilia per andare in Tunisia, al Salone del libro di Le Kram: un incontro
casuale che, tuttavia, mi è parso un segno del "viaggio"
che la cultura siciliana è chiamata a intraprendere per le vie
del Mediterraneo, per questo vecchio mare che potrebbe riunire i paesi
rivieraschi intorno a un comune progetto di rinascita economica e culturale.
Le Kram è un grazioso borgo sulla costa che da La Goulette si stende
fino al promontorio di Sidi Bou Said, passando per i siti archeologici
dell'antico porto di Cartagine, delle terme di Antonino e del sontuoso
palazzo della presidenza della Repubblica.
Consolo, nel suo libro "Di qua dal faro" (Mondatori, 1999),
scrive di una «quarta guerra punica, la guerra del pesce»
scoppiata, negli anni Sessanta, fra armatori siciliani e autorità
tunisine, libiche e aggiunge che a farne le spese sono sempre i più
deboli, in questo caso «erano gli immigrati arabi, i quali, oltre
a essere sfruttati, venivano di tempo in tempo perseguitati. Odiosi episodi
sono avvenuti, in quella parte meridionale della Sicilia, di caccia al
tunisino».
Oggi le relazioni fra Italia e Tunisia interessano una vasta gamma di
settori. Anche la Sicilia comincia a segnare qualche punto all'attivo,
tuttavia la sua presenza resta molto al di sotto delle potenzialità
esistenti, sia sul fronte economico sia su quello culturale. Una mostra
("L'Islam in Sicilia"), per quanto pregevole potrà risultare,
da sola non risolve il problema delle relazioni culturali fra la Sicilia
e la Tunisia. Servono politiche e programmi credibili nel contesto della
cooperazione euromediterranea, che ormai può diramarsi su ben quattro
livelli operativi (europeo, nazionale, regionale e locale) e che, muovendo
dalla valorizzazione del ricco patrimonio di rapporti esistenti, configurino
una specifica ipotesi di cooperazione culturale siculotunisina.
Su questo
terreno, la Regione siciliana ha sciupato un'occasione foriera d'interessanti
sviluppi: un accordo per la creazione di un Circuito turistico integrato
fra Sicilia e Tunisia, sulla base di un memorandum da noi preparato e
condiviso ai massimi livelli della responsabilità politica delle
due parti, il ministro del Turismo tunisino e l'assessore regionale al
Turismo, i quali, incontratisi a Palermo nel 1993, sottoscrissero un protocollo
d'intesa, presto impugnato dal governo centrale e invalidato, con sentenza
del 1994 della Corte costituzionale, a causa del mancato preavviso che
gli uffici preposti della Regione siciliana avevano il dovere d'inoltrare
al ministero degli Esteri. Una quisquilia che ha vanificato una prospettiva
faticosamente costruita, ma che potrebbe essere ripresa dal futuro governo
regionale, speriamo meno improvvido e pasticcione dei precedenti.
Oltre i dati storici di antica memoria, fra Sicilia e Tunisia esistono
svariati legami e possibili punti d'incontro, maturati nel corso dell'ultimo
secolo, che potrebbero essere valorizzati sul terreno degli scambi culturali.
Importante sarebbe una rivisitazione dei luoghi e dei simboli che testimoniano
la presenza d'importanti comunità di siciliani (alcuni nuclei sono
ancora identificabili) in varie località tunisine: da Sfax a Sousse,
da Cap Bon a Mahdia, da Biserta a Tunisi, a La Goulette dove, nel periodo
a cavallo fra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento,
emigrarono tantissimi siciliani alla ricerca di un lavoro più dignitoso
e anche di un asilo (politico) sicuro per sfuggire alle persecuzioni del
fascismo. Fra queste comunità, la cui presenza è documentata
da pregevoli pubblicazioni tunisine, la più rinomata è stata
quella insediatasi a La Goulette, il porto di Tunisi, dove giunsero, ad
ondate successive, migliaia di lavoratori dalle province meridionali siciliane.
Dal trapanese proveniva la famiglia di Claudia Cardinale, certamente la
figlia più illustre di La Goulette.
Nel centro storico di Tunisi, a due passi dall'Avenida Bourghiba, si estende
un grande e degradato quartiere, la "Piccola Sicilia", così
denominato perché in passato intensamente popolato da siciliani;
nelle settimane scorse, è stato bandito un concorso per la progettazione
d'interventi di recupero ambientale e architettonico. La Regione, le università,
alcuni enti locali della Sicilia non potrebbero apportare un loro specifico
contributo in favore di un'opera che mira a far rinascere uno dei principali
quartieri della capitale tunisina?
Al Salone del libro di Le Kram, con Vincenzo Consolo, ci saranno diversi
editori siciliani e anche questo è un buon segno. Questa manifestazione,
per quanto interessante e innovativa, è uno spaccato del panorama
editoriale arabo che certo non è molto variegato e vasto e sul
quale pesa (a eccezione del Libano) un sistema di censura, piuttosto diffuso
ed efficiente, che lascia passare soltanto le opere gradite ai due poteri
forti: quello politico e quello religioso.
L'esordio, in questi giorni, di Raimed, un pilastro del quale è
basato a Palermo, è davvero una felice concomitanza che potrebbe
rappresentare il volano per la svolta tanto attesa. (28/4/2001)
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L'Assindustria
sbarca a Tunisi
obiettivo: business a costi bassi
Da lunedì
una sede nel cuore della capitale. Mentre Confartigianato studia una zona
franca
GIOACCHINO
AMATO
Fra le imprese siciliane è scoppiato un grande amore per la Tunisia.
Da lunedì prossimo, in una villetta nel centro di Tunisi, l'Assindustria
di Palermo, presieduta da Giuseppe Costanzo, aprirà la sede distaccata
del suo consorzio Med Europe Export. Un vero avamposto degli industriali
palermitani in Tunisia con personale multilingue. A puntare sul paese
nordafricano c'è anche la Confartigianato di Palermo che ha proposto
alle autorità locali la costruzione di un'area «offshore»
di 80 mila metri quadrati a Gafour in Siliana per insediare una trentina
di piccole e medie imprese.
Perché questa improvvisa attenzione verso il Sud da parte del mondo
produttivo siciliano? Da circa vent'anni le aziende italiane trovano in
Tunisia interlocutori privilegiati, grazie a generosi flussi finanziari.
Oltre 250 imprese, quasi tutte del Nord Italia, hanno già investito
nell'altra sponda del Mediterraneo. La Tunisia offre un costo del lavoro
molto basso, un buon tasso di scolarizzazione, sgravi fiscali, un ferreo
controllo dell'ordine pubblico ed è il primo paese che ha firmato
il trattato con l'Unione europea sull'Europartenariato mediterraneo. Per
chi investe in Tunisia ciò equivale a sostanziosi contributi comunitari.
Opportunità che le imprese del palermitano hanno già iniziato
a saggiare negli ultimi anni con una serie di iniziative non solo in Tunisia
ma anche in Egitto, Libia, Marocco, Emirati Arabi. Incontri che hanno
già fruttato commesse e fatto nascere jointventure con imprese
locali.
L'iniziativa di Assindustria, che sarà presentata stamattina, è
inserita in questo quadro di internazionalizzazione delle imprese palermitane
svolto dal consorzio Med Europe Export, creato dalla stessa associazione
proprio per seguire queste prime attività all'estero. In Tunisia
già operano tre aziende palermitane ed altre tre stanno per iniziare
la loro attività di cooperazione con imprenditori locali. Pronte
a seguire questa strada ci sono almeno altre venti imprese. I comparti
interessati sono quelli dell'alimentazione, degli imballaggi, delle lavorazioni
in legno. «Sono progetti di cooperazione che vanno avanti da tempo
- spiega Grazia Clementi, presidente del consorzio - e che interessano
anche le nuove tecnologie, in particolare la telemedicina che collegherà
i centri di eccellenza degli ospedali siciliani e italiani con le strutture
sanitarie tunisine».
Nella sede provinciale di Confartigianato da novembre si lavora su un
progetto ancora più ambizioso. Un'area «off - shore»
gestita da una società mista italotunisina dove si insedieranno
trenta imprese palermitane che occuperanno 750 tunisini. Una vera città
con mense, cucine, asili per i figli dei lavoratori, strutture sportive,
aule per i corsi di formazione, negozi, show room. L'area sarà
in stretto collegamento con l'Università della moda mediterranea
che dovrà nascere a Palermo. «La moda servirà da biglietto
da visita - spiega Salvatore Ferina, presidente provinciale di Confartigianato
- per far entrare in Tunisia le nostre aziende». Il ministro dell'Industria
Moncef Ben Abdallah ha scritto a Ferina il 20 febbraio appoggiando l'iniziativa
e indicando nella federazione del tessile e nel centro tecnico tessile
i partner ideali dell'iniziativa. L'annuncio ufficiale potrebbe arrivare
il 2 giugno all'ambasciata italiana di Tunisi, durante il ricevimento
organizzato dall'ambasciatore Armando Sanguini. Poi in soli due anni l'area
«offshore» diventerebbe realtà. (4/5/2001)
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Mediterraneo,
occasione o trappola
MARIO CENTORRINO
Vogliamo
provare a spingere più sul concreto l'ipotesi di una proiezione
dell'economia siciliana nel Mediterraneo, a darle «gambe»,
come si direbbe nel comune «politichese»?
Allora, quasi stendessimo l'ideale scheda di base per un programma tutto
ancora da costruire vediamo quali sono le risorse disponibili, le infrastrutture
e le politiche assolutamente indispensabili, i settori su cui oggi si
modella lo scambio tra l'Italia e i paesi della cosiddetta Area Med, quegli
stessi paesi (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Israele e territori palestinesi
Giordania, Libano, Siria, Turchia, Malta e Cipro) che hanno aderito al
partenariato euromediterraneo, oltre alla Libia che ha un suo status speciale
di osservatore. A questi andrebbero aggiunti anche due paesi del Golfo
Persico, Iran e Arabia Saudita cioè, esterni all'area Med ma i
cui sviluppi appaiono di notevole interesse sia perché quanto avviene
in questi paesi ha notevole influenza su quelli dell'area in esame, sia
perché si tratta di nazioni con un particolare rilievo: la prima,
in termini demografici, economici e politici; la seconda in quanto unisce
al rilievo economico e finanziario il fatto di essere per molti aspetti
rappresentativa delle economie petrolifere del Golfo.
In Sicilia sono oggi disponibili tra fondi europei, risparmi «gestiti»,
semplici depositi circa 100 mila miliardi. In molti invocano una Banca
del Mediterraneo con una speciale «missione» aziendale. Ma
sin d'ora può asserirsi con una certezza non approssimativa che
il sistema creditizio locale potrebbe finanziare imprese siciliane in
iniziative di delocalizzazione produttiva o di inserimento nel circuito
degli scambi.
Occorrono come condizioni preliminari infrastrutture e misure specifiche:
uno o due grandi porte come «terminal» per i traffici; un
politecnico universitario dove si insegni agli studenti arabi, disposti
(e incentivati) a frequentarlo, contrattualistica internazionale e poi
informatica, agraria, zootecnica, trattamento delle acque, archeologia
e restauro. Ancora azioni di marketing che facciano comprendere meglio
cosa e dove converrebbe provare a «scambiare» tra la Sicilia
e i paesi dell'Area Med.
Qualche dato da cui far partire una riflessione è disponibile,
per le esportazioni italiane, dall'analisi compiuta (Banca d'Italia) sui
settori del commercio con i paesi mediterranei. Risulta evidente che rilevanti
effetti potranno esservi nelle branche del materiale elettrico, delle
macchine agricole e industriali e dei mezzi di trasporto, anche in considerazione
del fatto che esse non sono in competizione con l'industria locale. Le
esportazioni del settore tessile, anch'esse rilevanti, rappresentano un
traffico di perfezionamento passivo con le economie dell'area (si esportano
cioè materie prime e poi si ritirano prodotti finiti con basso
valore aggiunto) e sono senz'altro destinate ad aumentare con l'istituzione
di un'area di libero scambio: tuttavia, a differenza dalle branche prima
considerate, tali flussi riflettono fenomeni di integrazione con l'economia
locale.
Ci sono oggi in conclusione due esigenze per la Sicilia.
Intanto quella di non cadere nella «trappola della mediterraneità»,
come l'ha definita Luciano Violante. Lo sguardo al Mediterraneo cioè
solo come luogo del passato, memoria da illuminare, nostalgie da rinnovare.
In secondo luogo quella di non cadere vittima della prima, e forse unica,
Legge di Hirschman, come l'ha definita un suo allievo, Luca Meldolesi:
comprendere un problema un attimo prima che come tale venga meno. (4/5/2001)
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Bambini
di Mazara a lezione di arabo
La
elementare Santa Caterina è la prima in Italia ad attuare l'esperimento:
trenta gli iscritti
PIERO
DI GIORGI
MAZARA DEL
VALLO - Fa un certo effetto entrare nell'aula del primo circolo della
scuola elementare Santa Caterina di Mazara del Vallo, dove si pratica
l'integrazione interculturale, e vedere le scritte alle pareti in arabo
e italiano. In questa scuola, infatti, esiste un laboratorio, forse l'unico
in Italia, in cui si realizza concretamente un processo di integrazione
interculturale tra bambini italiani e tunisini, partendo dalle loro differenze
per approdare a valori condivisi.
Esattamente il contrario di quanto è avvenuto finora a Mazara,
dove c'è una scuola tunisina, attraverso la quale si tiene vivo
il desiderio mai sopito del ritorno in patria, e dove non viene insegnato
l'italiano ai bambini tunisini, senza alcuna interazione con la scuola
italiana, in uno stato di separatezza che è l'emblema perfetto
del modello di convivenza tra le due comunità.
I bambini che finiscono la sesta classe vengono inviati in Tunisia con
la madre o dai nonni, oppure vengono iscritti alla scuola media di Mazara,
senza un'adeguata conoscenza dell'italiano. Ciò determina una barriera
linguistica, che è l'inizio di un processo di emarginazione e di
mortalità scolastica.
Invece la legge di riforma della scuola elementare afferma che essa concorre
alla formazione dell'uomo e del cittadino, secondo i principi della Costituzione
e nel rispetto e valorizzazione delle diversità individuali, sociali
e culturali. Ciò richiede la realizzazione di una pedagogia non
soltanto dell'integrazione ma anche della valorizzazione della cultura
degli altri. Compito della pedagogia interculturale è, perciò,
fare in modo che culture diverse convivano senza ignorarsi. È su
queste premesse che Karim Hannachi, intellettuale tunisino con doppia
cittadinanza, nell'ambito dei progetti del Cresm per l'inserimento degli
immigrati, ha lanciato l'idea di un progetto di integrazione interculturale
tra bambini italiani e tunisini, che ha subito incontrato la disponibilità
della direttrice del primo circolo didattico, Maria Corte. Il progetto
è stato inviato al ministero della Pubblica istruzione ed è
stato considerato tra i migliori d'Italia, tanto che Hannachi e la direttrice
Corte sono stati invitati a illustrarlo in varie parti d'Italia.
Nell'anno scolastico in corso è stato attivato un modulo di prima
elementare con sei bambini tunisini in due classi. Essi hanno il mediatore
linguistico fino alle 11,30 e attività di recupero individualizzata
per chi rimane indietro. Dalle 11,30 in poi viene loro insegnata la lingua
araba. La novità rilevante è che, in queste classi, viene
insegnato l'arabo anche ai bambini italiani per due pomeriggi la settimana.
Pur essendo lo studio dell'arabo facoltativo, hanno aderito trenta bambini.
La programmazione prevede una serie di obiettivi interculturali che vanno
dal parallelo tra Mazara e Madia (città di provenienza di tanti
tunisini), tra cristianesimo e islamismo, al disegno di una chiesa e di
una moschea, alle abitudini alimentari, alle tradizioni e alle feste,
ai giochi e giocattoli. (9/5/2001)
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Numero
12
maggio 2001
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