ALEXANDREA AD AEGYPTUM di Nicola Bonacasa* Nella storia delle scoperte archeologiche, successive alla spedizione napoleonica in Egitto (1798), di fronte alle stupefacenti novità del mondo dei Faraoni, le antichità dell'Egitto greco-romano destarono scarso interesse fino a che Giuseppe Botti non creò nel 1892 il Museo Greco-Romano di Alessandria e scavò ininterrottamente nella città dei Tolemei, fino al 1903. Ed è bene ricordare subito che il Museo fu sempre diretto da Italiani: Giuseppe Botti, Evaristo Breccia, Achille Adriani, fino a dopo il secondo conflitto mondiale. In Egitto, l'eredità di una cultura scientifica italiana appare fortemente radicata fin dai secoli XIX e XX, soprattutto ad Alessandria, e la stessa nascita del Museo Greco-Romano di Alessandria fu espressione fra le più rappresentative e fra le più eminenti di quel tipico mondo cosmopolita alessandrino, di cui l'Italia era gran parte. Da quel mondo nacque pure, nel 1893, la Sociéte d'Archéologie d'Alexandrie, che così valido appoggio, soprattutto morale, dette al Museo Greco-Romano nei primi, non facili anni della sua esistenza. Ma sarebbe ingiusto confinare il Botti tra i numerosi e pur meritevoli organizzatori di cultura. Egli iniziò nel 1892 una serie lunghissima di scavi regolari ad Alessandria e nel territorio, tra cui spicca la scoperta del grandioso ipogeo di Kôm el-Chogafa, del I-II sec. d.C. Dall'aprile del 1904 all'ottobre del 1931, Evaristo Breccia fu chiamato a succedergli nella direzione del Museo e degli scavi di Alessandria. Studioso di antichità saldamente formato nella tradizione della storiografia «filologica», estese mano mano e con sicurezza la sua professionalità nei campi epigrafico, papirologico ed infine archeologico, tendendo verso un unico metodo d'indagine storica, come il suo maestro Giulio Beloch aveva auspicato dalla cattedra romana. A lui dobbiamo un decisivo incremento delle collezioni del Museo Greco-Romano, per mezzo di scavi sistematici condotti soprattutto nelle necropoli; la crescita culturale del «Bulletin» aperto a specialisti italiani e stranieri, la creazione della serie Le Musée Gréco-Romain e l'edizione puntuale di numerosi cataloghi; nonché la fortunata circolazione dei problemi della archeologia alessandrina grazie alle edizioni francese (1918) e inglese (1922) di un'ottima guida Alexandrea ad Aegyptum e del volumetto Egitto greco e romano, giunto alla III edizione nel 1957. Ma al Breccia siamo debitori, pure, del patrocinio di buone campagne di scavo interamente dedicate alla ricerca dei papiri. In Egitto, nella tarda estate del 1932, giungeva Achille Adriani, come sostituto del Breccia, e per 50 anni esatti egli tenne con Alessandria un dialogo fitto e ininterrotto, fino al giorno della sua morte, il 14 dicembre 1982. Nel breve scorrere di qualche anno l'Adriani, tracciò le linee programmatiche del suo intervento, privilegiando due dei problemi di fondo tra i molti che erano da affrontare: quello della topografia della città antica e della sua storia urbanistica e monumentale, e quello della riformulazione metodologica del problema dell'arte alessandrina, come riesame esteso e approfondito del vasto fenomeno del trapianto dell'arte greca in un paese come l'Egitto che per millenni aveva espresso, e lo farà anche durante il periodo ellenistico-romano, forme d'arte proprie e antitetiche a quelle dell'arte greca. Converrà riflettere un momento sulla vastità degli impegni affrontati: nuovo ordinamento del Museo Greco-Romano, estese indagini archeologiche e topografiche nella città e nel territorio (pubblica immediatamente il Saggio di una pianta archeologica di Alessandria, 1932-33), crea un nuovo organo scientifico, l'Annuaire du Musée Gréco-Romain (di cui pubblica 4 volumi dal 1932 al 1950, molte parti dedicando allo studio di quel grandioso seppellire in Alessandria - soprattutto a Mustafa Pascià, nel II volume, e ad Anfushi, nel IV - che è il riflesso dell'architettura civile e della sua decorazione), assume la segreteria della Société d'Archéologie e poco dopo la direzione del «Bulletin», avvia la serie Documenti e ricerche d'arte alessandrina (dove pubblica tre monografie di grido: Sculture monumentali del Museo Greco-Romano di Alessandria, 1946; Testimonianze e momenti di scultura alessandrina, 1948; Divagazioni intorno ad una coppa paesistica del Museo di Alessandria, 1959), fonda il Repertorio d'arte dell'Egitto greco-romano (presentando due volumi di scultura nel 1961 e due di topografia e architettura di Alessandria negli anni 1963-1966, e affidando i 4 volumi di ritratti dipinti del Fayyum a Klaus Parlasca, la raccolta sugli elementi architettonici di Alessandria a Patrizio Pensabene e il volume sulla ritrattistica romana d'Egitto allo scrivente). Una forzata interruzione subì l'organizzazione dell'archeologia italiana in Egitto negli anni dal 1940 al 1944, quando l'Adriani fu internato civile in Egitto. Ma nel lungo e fecondo periodo dell'archeologia alessandrina svolta sul campo, l'Adriani aveva sempre assicurato il suo appoggio incondizionato alle missioni italiane di Egittologia e Papirologia in Egitto, né va dimenticato il suo contributo al progresso delle ricerche egittologiche né il suo autorevole intervento per l'introduzione delle discipline egittologiche nelle Università italiane. La Missione Archeologica dell'Università di Palermo, diretta dallo scrivente, opera sistematicamente ad Alessandria d'Egitto dal 1983, continuando l'attività di ricerca dell'Adriani: sia con l'edizione di significativi materiali del Museo Greco-Romano (ritratti greci e romani, avori e ossi scolpiti, terrecotte grottesche, lucerne configurate, ecc.) sia con il restauro e lo studio delle necropoli monumentali (tomba di alabastro del Cimitero Latino, necropoli di Anfushi, ecc.). Malgrado la ristrettezza dei mezzi finanziari, la Missione ha allestito numerose edizioni specialistiche, tra cui, da ultimo, un volume che ripropone un inedito dell'Adriani sulla "tomba di Alessandro", ed ha altresì realizzato quattro Congressi Internazionali Italo-Egiziani (Cairo, Alessandria, Roma, El Kharga), mentre sta lavorando alla organizzazione del quinto che si terrà a Torino, nel prossimo novembre, in collaborazione con il Museo Egizio di quella città. * * * Tre eventi di grande rilievo, strettamente connessi con il destino di Alessandria ellenistico-romana, si sono verificati negli ultimi anni: I) la pretesa scoperta della tomba di Alessandro Magno a Siwa, da parte di ricercatori greci; II) l'ipotesi che le ricerche sottomarine promosse a E-NE del Forte Kait Bey dai colleghi francesi del "Centre d'Etudes Alexandrines" vadano restituendo gli avanzi del famoso Faro costruito da Sostratos di Cnido; III) la costruzione della Nuova Biblioteca Alessandrina nel cuore della città moderna, sotto il patrocinio dell'UNESCO. Ancora una volta, con sistematica peridiocità, Alessandria diviene punto focale di discussioni, quasi a continuare la problematicità e il significato della sua stessa nascita, ed a sottolineare quell'acceso clima culturale e politico che in antico connotò la vita della capitale. I) LA TOMBA DI ALESSANDRO MAGNO Per quanto riguarda la tomba di Alessandro, noi siamo scettici circa la sua presunta scoperta nell'oasi di Siwa, e preferiamo seguire la tradizione scritta antica che addita in Alessandria la sede ultima, ampiamente attestata, del seppellimento di Alessandro Magno. A tale proposito, conviene ricordare che in un volume recentissimo, curato da N. Bonacasa e P. Minà, La tomba di Alessandro. Realtà, ipotesi e fantasie, Roma 2000, è stato pubblicato un interessante studio "inedito" di Achille Adriani sulla grande "tomba di alabastro" del Cimitero Latino, le cui conclusioni sono condensate nei sei punti che seguono.
E' opportuno dedicare qualche nota tecnica a codesto singolare monumento. La monumentale tomba di alabastro rosato del Cimitero Latino è il più sontuoso dei monumenti alessandrini superstiti per il materiale impiegato e per il modo di costruzione, ed è un unicum per l'insieme delle sue caratteristiche. Scoperto occasionalmente intorno al 1907, in parte già crollato, fu presentato brevemente da Breccia il quale fu portato, inspiegabilmente, a sottovalutare il monumento e il suo contesto. Passò quasi inosservato a lungo, fino a quando fu restaurato dall'Adriani nel 1936 e pubblicato nell'Annuaire du Musée Greco-Romain 1935-1939. Il monumento consiste in una semplice camera rettangolare (m 2,63 x 3,45; alt. 2,70), con il soffitto piatto, aperta interamente verso Nord e con al centro della parete che la delimita a Sud un profondo vano di passaggio; l'inquadratura è di tipo "dorico" (luce della porta m 0,93 x 2,05). Le pareti ed il soffitto, completamente lisci, non presentano alcuna decorazione, essendo sufficiente la bellezza del materiale alabastrino arricchito dal giuoco delle larghe venature fluenti. All'esterno, i grossi blocchi con cui è costruita la camera presentano le superfici grezze, a grossi tagli irregolari, certamente destinate ad essere nascoste alla vista. La base del monumento era formata da un grande blocco monolitico di alabastro, il pavimento della camera. Il soffitto della stanza superstite era ottenuto con un altro blocco monolitico di alabastro (m 4,62 x 3,00; spess. 0,70). La parete di fondo era stata costruita invece con tre blocchi: un blocco orizzontale che faceva da copertura al vano di passaggio, e due blocchi verticali portanti il detto blocco di copertura. La tomba, secondo A. Adriani, non è che l'unico elemento superstite di un complesso con almeno tre ambienti, idealmente ricostruibili in successione sullo stesso asse: un complesso che consta di un doppio ampio vestibolo e di una camera più interna e raccolta, nella quale sarebbe da riconoscere la camera funeraria, molto probabilmente con un sarcofago-letto reale. Ma quel che contraddistingue particolarmente questa tomba a camera, rispetto a tutte le altre trovate ad Alessandria, è non solo la ricchezza del materiale, ma anche, e specialmente, il progetto architettonico. Infatti, il monumento è costruito e non ricavato dalla roccia, come tutti gli altri ipogei alessandrini, e il colossale aspetto esterno dei blocchi indica chiaramente che essi, lasciati grezzi, dovessero essere nascosti alla vista, quasi certamente sotto un vero e proprio tumulo, alla maniera delle tombe di tipo macedone. II) IL FARO DI ALESSANDRIA Nulla ci resta del Faro di Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo, famosissima invenzione di Sostratos di Cnido, figlio di Dexiphanes. Tra le descrizioni più ammirate quelle di Strabone e di Cesare. L'opera grandiosa sorgeva sul lato orientale dell'isoletta di Pharos, era a tre piani di struttura diversa (una quadrata, una ottagonale e una circolare), raggiungeva un'altezza di 120 metri ed era sormontata da una statua di Poseidon. Incominciata sotto il regno di Tolemeo Sotèr venne inaugurata da Tolemeo II Filadelfo nel 280-279 a.C. L'iscrizione, in cubitali caratteri di bronzo dorato, la diceva opera di Sostratos e votata agli "dei salvatori" (Tolemeo I e Berenice ?, i Dioscuri ?), per i naviganti. La costruzione costò 800 talenti. La luce proiettata dal Faro era visibile alla distanza di 30 Km. Durante la guerra alessandrina, gravissimi danni dovettero subire l'isoletta di Pharos, l'acquedotto che la riforniva e l'Eptastadio che la collegava alla terra ferma, e, ovviamente, lo stesso Faro. Ben poco sappiamo del monumento nei secoli successivi, certo fu danneggiato da una serie di terremoti, tra cui quello catastrofico della seconda metà del IV sec.d.C. e dai sismi che seguirono, fino all'ultima trasformazione dei resti della grandiosa costruzione ellenistica in forte, per volontà del Sultano Kait Bey (1477). Dopo secoli di uso, l'11 giugno 1882, il forte mamelucco subì un massiccio bombardamento navale degli Inglesi all'atto della occupazione di Alessandria e del Canale di Suez. Oggi, ampiamente restaurato, il forte è stato trasformato in Museo. Le recenti e fortunate prospezioni subacquee dirette da J.-Y. Empereur, e promosse dai colleghi del "Centre d'Etudes Alexandrins" - istituzione periferica del CNRS di Parigi, con l'appoggio dell'IFAO del Cairo - a E-NE dell'antica isola di Pharos, documentano un esteso fondale fitto di reperti: colonne e capitelli, statue in frammenti, Sfingi, e alcuni blocchi colossali (forse appartenuti alla struttura del Faro). Se questo è probabile, difficilmente il materiale scultoreo intravisto può appartenere al monumento. Potrebbe trattarsi, piuttosto, di decorazioni eterogenee connesse con edifici prossimi al Faro, in considerazione delle differenze rilevanti di tipologia, di qualità e di stile; ovvero di materiali di spoglio, raccolti in momenti diversi della vita di Alessandria e di altri centri del Delta per essere asportati. (e la stessa iterazione di alcuni soggetti e la cronologia assai contrastante farebbero propendere per questa seconda ipotesi). Inoltre, va considerato il fatto che, dopo Canopo, i due porti di Alessandria erano per l'intero Delta occidentale gli unici sbocchi attrezzati sul mare per il trasporto e il carico di monumenti ingombranti e di notevole peso. Sicché, riuscirebbe di grande utilità lo studio accurato degli elementi datanti (in primo luogo la ceramica) che accompagnano le nuove scoperte alessandrine. Sotto questo aspetto, e per la modernità dei sofisticati mezzi d'indagine, ha dato risultati ben più concreti la ricerca sottomarina diretta da Frank Goddio (Institut Européen d'Archéologie Sous-marine) nel settore sud-orientale del Porto Est di Alessandria, disegnando la conformazione dei profili della costa antica e dei fondali e identificando alcuni materiali. Ma la finalità ultima della ricerca è l'identificazione dei resti del Palazzo di Cleopatra attorno alla penisoletta di Lochias, di fronte all'isolotto di Anthirrodos. Alcuni studiosi egiziani pensano ad un "parco sottomarino", che è irrealizzabile nel Porto Est: perché nel suo bacino si gettano i liquami della città fin dalla seconda metà dell'800 (e il porto oggi è interrato e non frequentabile), e perché la strutturazione e il mantenimento del parco sarebbero ben più costosi di qualsiasi tecnica di scavo. Senza contare i rischi di ogni tipo. Invece, una soluzione possibile sarebbe il prosciugamento progressivo del bacino portuale (che ha scarsa profondità), lo scavo sistematico in condizioni normali e la successiva ricollocazione a livello dei resti archeologici. Insomma un progetto archeologico, ecologico e anche di sviluppo economico perché, alla fine, tutto il settore ovest del vecchio porto, ben oltre il Forte Kait Bey, Vanno pure menzionate le altre fortunate ricerche condotte da F. Goddio alcuni chilometri ad Est di Alessandria, nella baia di Abukir, in quello che si suppone sia stato il porto di Canopo, Erakleion, allo sbocco della foce più occidentale del Nilo. Ma l'indagine è appena agli inizi, pur rivelandosi assai promettente. III) LA NUOVA BIBLIOTECA ALESSANDRINA Verso la fine del suo regno, come ormai tutti concordano, cioè presso a poco nel primo o nel secondo decennio del III sec.a.C., Tolemeo I Soter, figlio di Lagos, fondò e fece costruire ad Alessandria d'Egitto - tra gli annessi dei Palazzi Reali - il "Museo" e la "Biblioteca", due istituzioni culturali che avrebbero avuto fama imperitura. Ispiratore del Soter sarà stato certamente Demetrio di Falero, allievo di Teofrasto, grande organizzatore di cultura, e già presente ad Alessandria nel 297 a.C. Dopo gli studi fondamentali del Parthey, sul Museo di Alessandria, del Parson, sulla grande Biblioteca della capitale lagide, del Graindor, sulla guerra alessandrina e sull'incendio che devastò parte della Biblioteca, e dello stesso Fraser, sull'evergetismo dei Tolemei riflesso dalle due grandi istituzioni culturali tolemaiche, Museo e Biblioteca, conviene forse soffermarsi un momento sulla questione topografica, che riveste certo grande importanza per il progetto lodevole di dotare la moderna Alessandria, sotto l'egida dell'UNESCO, di una grandiosa Biblioteca Internazionale. E dobbiamo lodare la felice scelta del sito ad Alessandria, per la costruzione della futura biblioteca, in prossimità del mare e in vicinanza della zona dove generalmente si ritiene fosse l'antica Biblioteca tolemaica, nell'ambito dei Quartieri Reali. Converrà precisare subito che intendiamo parlare della "Grande Biblioteca", nota anche come Biblioteca del Museo o Biblioteca del Bruchium, segnalando però che nella vita di Alessandria si contano altre cinque Biblioteche: la Biblioteca del Serapeo (o "Biblioteca Figlia"), molto famosa in età romana, la Adrianè Bibliotheke, la Merkouriou Bibliotheke, e, infine, la Biblioteca del vescovo Giorgio e quella di Cosma Scolastico. Per quanto concerne la "Grande Biblioteca" di Alessandria - a parte gli studi fondamentali sopra ricordati, ed il suo successo anche nell'ambito della saggistica recente (tutti conoscono il volumetto di Luciano Canfora, edito da Sellerio) - possiamo affermare che essa fu grandemente incentivata da Tolemeo II Filadelfo, sceso in nobile gara con Eumene di Pergamo, tanto che sembra abbia superato perfino quella di Ninive, fondata da Assurbanipal, e certo essa dovette arricchirsi costantemente di opere almeno sino alla fine del II sec.a.C., periodo in cui ebbe inizio il suo lento declino scientifico, pur assolvendo per lungo tempo ancora alle sue funzioni. Quando nel 270 d.C. Aureliano fece radere al suolo il Bruchium, la "Grande Biblioteca" del "Museo" non doveva più esistere, ma non è detto che la sua consistenza libraria fosse andata del tutto dispersa. La "Grande Biblioteca" è spesso ricordata dalle fonti antiche, anche tarde, sia per la straordinaria ricchezza delle sue collezioni sia anche per i suoi famosi bibliotecari - Zenodoto, Callimaco, Eratostene, Apollonio Rodio, Aristofane di Bisanzio, Aristarco di Samotracia e altri noti eruditi dell'antichità - tanto da far pensare che la sua storia, almeno nei primi due secoli dell'Ellenismo, corrisponda alla storia dell'attività scientifica dei suoi direttori. Nella lunga vita della Biblioteca, che è poi la vita dell'importante Scuola di Alessandria, in auge durante l'alta età tolemaica, gli studiosi hanno individuato tre periodi, di cui quello centrale e principale, corrisponderebbe alla direzione di Aristofane di Bisanzio e di Aristarco di Samotracia. Al contrario, scarsi sono i dati che ci sono pervenuti circa la sua collocazione topografica. Da Ateneo e da poche altre fonti apprendiamo che la "Grande Biblioteca" di Alessandria faceva parte del "Museo" e quindi della "Reggia", com'è logico che fosse. E poiché Plutarco ci dice che al tempo della guerra alessandrina, nel 48 a.C., quando Achilla assediava Cesare nel Bruchium, la Biblioteca fu raggiunta dall'incendio appiccato alle navi ed ai magazzini portuali, i neoria, e subì danni ingenti, se ne deduce logicamente che essa e il "Museo" dovessero essere verso il limite occidentale dei Quartieri Reali, non molto lontano dal mare. A queste condizioni sembrano corrispondere l'ubicazione proposta da Evaristo Breccia - il quale però tende a dilatare la "Reggia" troppo verso Ovest - e l'ipotesi formulata dall'Adriani, nel suo imponente studio sulla topografia di Alessandria, che, appunto, la "Grande Biblioteca" dovesse trovarsi non molto lontana dal luogo dove poi sorse il Cesareo. Alcuni studiosi, sulla falsa riga dell'astronomo Mahmoud el-Falaki, hanno tentato di collocare la "Grande Biblioteca" e il "Museo" a Sud della Via Canopica, di fronte al preteso sito del Soma di Alessandro, ma erroneamente e contraddicendo le fonti antiche. Ritorniamo per un momento al "Museo" ed alla "Grande Biblioteca", di cui ci parlano in termini entusiastici Strabone e Ateneo, e che dovettero essere due istituti culturali di primo piano nell'Alessandria di Tolemeo II. Il fatto che prima della creazione di queste due istituzioni alessandrine, siano noti alcuni esempi solo in parte consimili, nulla toglie alla straordinaria novità dell'invenzione tolemaica: due grandi laboratori per la ricerca, frequentati da letterati, studiosi e scienziati. Dunque, il concetto informatore del "Museo" e della "Biblioteca" di Alessandria era del tutto rivoluzionario, anche se in parte rimodellato sul Peripato e sulla biblioteca aristotelica del Liceo. Non si trattava soltanto della raccolta di opere e di testi e della loro conservazione e trasmissione, insomma non solo di un lavoro riservato ad eruditi - "topi di biblioteca", li chiamò sarcasticamente il sillografo Timone - ma, piuttosto, dell'attività ufficiale di un collegio di specialisti, un sinodo, presieduto da un epistates e finanziato dal re, che aveva l'obbligo di operare ricerche per il progresso delle scienze. Questi intellettuali raccoglievano dati e materiali, elaboravano fonti e testimonianze, ricercavano in medicina e nelle scienze esatte, creavano in poesia e in letteratura, codificavano in manuali ed enciclopedie. In sostanza, anticipavano i nostri odierni concetti di "memoria" e di "informazione", e collocavano le due istituzioni tolemaiche in posizione dinamica, progressiva, aperta. La futura "Nuova Biblioteca di Alessandria", oltre che raccogliere libri e materiale cartaceo, potrebbe assolvere benissimo ad altri compiti, battendo vie assolutamente nuove, e tra esse quelle del rapporto tra patrimonio culturale e scienza e tra storia e tecnica, come tra breve preciseremo. Perché noi siamo convinti di una verità, che rischia di rimanere come una delle più convincenti meditazioni fantastiche di una generazione: e cioè quella che il mondo della ricerca archeologica e storico-artistica può essere un mondo di cui fanno parte, a pieno diritto, e scienza e tecnica non in senso fantascientifico, ma in senso storico. Dire che una biblioteca è lo spazio fisico in cui sono raccolti dei libri, rappresenta una grossa inesattezza: la biblioteca consiste piuttosto in quell'insieme complesso e affascinante di operazioni visibili e non, che rendono "fruibile", da parte di tutti, non soltanto il libro, ma l'intero apparato culturale che l'istituzione rappresenta. Ora, è chiaro che non tutte le biblioteche forniscono gli stessi servizi: la Nuova Biblioteca di Alessandria" dovrebbe essere in grado di fornire servizi complessi e aggiornati, specializzati e rivolti al futuro, di cui, per il settore delle discipline archeologiche tenteremo di schizzare un breve ritratto programmatico. In questa sede, non vogliamo certo fare lezione a nessuno, ma soltanto proporre alcune riflessioni sulle tematiche della futura "Biblioteca" di Alessandria, approfittando di questo momento di attesa, che dovrebbe avviare la scoperta di nuovi indirizzi e denunciare posizioni obsolete. E vorremmo subito raccomandare che non è sufficiente, alle soglie del terzo millennio, richiedere depositi di opere e sollecitare sussidi bibliografici provenienti da ogni parte del mondo, per la creazione dei fondi librari di base. Sì, tutto ciò, in quanto parte viva delle strutture e della storia di altre istituzioni, può essere riproposto anche per la "Nuova Biblioteca di Alessandria" sotto forma di originale o di copia, continuando la grande sottoscrizione internazionale che da tempo è in atto; ma non sarà facile ricostruire, oggi, dal nulla, una stratificazione storica, che è poi la vita stessa di ogni grande biblioteca. Per quanto riguarda il campo dell'archeologia, per esempio, ad Alessandria occorre proporre qualcosa di veramente nuovo, che sia perfettamente inserito nel contesto storico-culturale della nazione egiziana. Per conto nostro suggeriamo di riflettere su almeno tre nuove grandi tematiche da attuare, nell'ambito dei beni archeologici, mettendo a frutto le più moderne esperienze dell'informatica. I) Un catalogo generale informatizzato, tratto dalle consistenze delle grandi biblioteche specializzate d'Europa e d'America, sugli studi di archeologia faraonica, greco-romana, copta e islamica d'Egitto, pubblicati in questo secolo. II) Una banca-dati dei monumenti e dei reperti faraonici, greco-romani, copti e islamici dell'Egitto, fondata su un sistema unitario di schedatura elettronica con acclusa documentazione visiva (per esempio, su CD-Rom), che consenta l'immediato e sistematico approccio sia alle grandi strutture monumentali superstiti sia all'innumerevole messe di reperti conservati nei Musei Egiziani. III) Una seconda banca-dati nella quale riversare schedatura elettronica e documentazione visiva dei reperti e dei materiali - faraonici, greco-romani, copti e islamici - di provenienza egiziana, conservati nei musei stranieri. Questa terza via potrebbe essere facilmente tentata sottoscrivendo apposite convenzioni con i singoli musei. Su questo, e altro, è pienamente d'accordo l'amico Mohsen Zahran, General Manager del progetto, con il quale mi incontro periodicamente ad Alessandria, durante lo svolgimento delle missioni archeologiche dell'Università di Palermo. Quanto ai fatti organizzativi, che non sono poca cosa, giudichiamo opportuno suggerire, per la parte italiana, una rosa di almeno tre accordi internazionali, nell'ambito dei rapporti sempre più stretti e amichevoli tra Italia ed Egitto. Il primo, per un grande schedario bibliografico di base, con il CUBI, il Catalogo Unificato delle Biblioteche Italiane; il secondo, per la tecnica del censimento dei beni archeologici, con il Centro per il Catalogo del Ministero dei Beni Culturali; il terzo, per la documentazione grafica e fotografica dei materiali archeologici egiziani esistenti in Italia, con l'apposito Centro specializzato dello stesso Ministero. Il fatto di privilegiare codesta sezione archeologica della Biblioteca significherebbe continuare a richiamare sull'Egitto l'attenzione del mondo studioso internazionale e ad accrescere il turismo colto. E, altresì, codesto progetto verrebbe necessariamente ad arricchire le possibilità di studio e di lavoro di moltissimi giovani egiziani, ed è argomento questo che non può essere trascurato, una volta che si ponga mano ad una struttura pubblica e internazionale di taglio così rilevante. Una società civile e ordinata, come scriveva Walter Gropius, il fondatore del Bauhaus, non ha bisogno di geni, ma piuttosto di uomini preparati e responsabili. Solo così è possibile rompere l'immutabilità artificiosa delle normali biblioteche, che tende a cristallizzare le funzioni basilari ed a isolare l'istituzione stessa all'interno della società che la ha prodotta. Così, crediamo, la "Nuova Biblioteca di Alessandria" - erede dei rivoluzionari progetti tolemaici del "Museo" e dell'annessa "Biblioteca" - rivolgendosi oggi, con il suo moderno potenziale organizzativo, anche a larghi ceti sociali tradizionalmente esclusi da strutture culturali aggiornate e finalizzate, riuscirà a produrre una decisiva presa di coscienza comune ed una degna rivalutazione della memoria collettiva. Solo così, una biblioteca proiettata verso il terzo millennio potrà far conoscere e diffondere un sistema di conservazione attiva, non stereotipa, non sacrale del passato, ma comprensibile nel presente, progressiva e aperta verso il futuro. * Ringraziamo il professore Nicola Bonacasa per questo suo pregevole saggio che siamo onorati di ospitare. Il professore Bonacasa è Ordinario della cattedra di Archeologia e Storia dell'Arte greco-romana dell'Università di Palermo e Direttore della Missione Archeologica promossa dalla stessa Università ad Alessandria d'Egitto; è coautore con P. Minà di "La tomba di Alessandro-Realtà, ipotesi e fantasie" - Roma, 2000. ( torna su ) |
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