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PALERMO

In questa nuova rubrica proponiamo articoli e commenti comparsi su "la Repubblica - Palermo" riguardanti le relazioni tra la Sicilia e i paesi dell'area mediterranea e del mondo arabo.

( LA SICILIA NEL MEDITERRANEO)

  1. LA SICILIA E GLI OTTO GRANDI
    di Agostino Spataro
  2. L'ARTE ISLAMICA SI STUDIA DAL VIVO
    di Maria Tiziana Gulotta
  3. LA VERGOGNA DI PORTOPALO
    di Agostino Spataro
  4. SEI MILIARDI PER IL MARE DALLA SICILIA AL LIBANO
  5. LA VERGOGNA NEGLI ABISSI
    di Tahar Ben Jelloun

Come restare ancorati all'Europa

VINCENZO VIOLA

Fino al 2006 e quindi per tutta la durata della prossima legislatura, il flusso di risorse finanziarie dell'Unione europea verso la Sicilia è già assicurato da Agenda 2000. Guardando ora a dopo il 2006, bisogna tener conto che a quella data l'Ue sarà stata ampliata a diversi nuovi Stati membri, per lo più dell'est europeo e per lo più assai più poveri della media dell'Europa dei Quindici. Ciò comporterà l'abbassamento, in termini di valore assoluto, della soglia corrispondente al 75 per cento del reddito medio comunitario pro capite e, di conseguenza, il superamento di questa soglia da parte di tutte le regioni del Mezzogiorno d'Italia, Sicilia compresa, con esclusione, a oggi, della sola Calabria. Detto superamento potrebbe significare l'uscita dall'obbiettivo 1 e quindi una enorme riduzione delle risorse finanziarie provenienti dall'Unione. Quanto detto dimostra che trattasi di un problema né solo siciliano, né solo nazionale, ma che investe tutte le attuali regioni obbiettivo 1 della Unione europea a quindici.
Un Paese assai avvertito su tali temi, quale è la Spagna, nella conferenza intergovernativa di Nizza, si è cautelato riservandosi il diritto di veto sulla politica di coesione del dopo 2006. Noi (governo italiano, Regioni, parlamentari europei, membri italiani della commissione, rappresentanza permanente presso il Consiglio dell'Ue) dobbiamo subito fare un gioco di squadra, determinato e nel contempo duttile nel cercare le alleanze, per far sì che si pervenga a una decisione che consenta alle regioni del Sud d'Italia di non restare escluse, dopo il 2006, dalla politica di coesione dell'Ue. La partita si gioca da ora sino agli inizi del 2004, data in cui verrà presentato il terzo rapporto sulla coesione che conterrà le scelte definitive.
Il dibattito è iniziato nel febbraio di quest'anno con la presentazione da parte della commissione del secondo rapporto sulla coesione. Si legge qui la consapevolezza del problema che sopra abbiamo posto e si offre un ventaglio di soluzioni su cui avviare il ragionamento. Si può dire che nel complesso ci si trova di fronte a proposte incoraggianti, particolarmente per una regione insulare come la nostra.
Infatti, tra le priorità della futura politica di coesione vengono citate le reti di trasporto e telematiche «per legare le zone periferiche e insulari con il centro dell'Europa»; ma soprattutto, per la prima volta, si pone in testa alla lista delle priorità quelle «aventi una forte dimensione territoriale» e in tale contesto si distingue, conformemente alla corretta versione dell'articolo 158 del trattato, tra «regioni meno sviluppate e regioni che soffrono di gravi handicap geografici e naturali» e, tra queste, si citano espressamente le isole accanto alle regioni ultraperiferiche, alle regioni spopolate lapponi, alle regioni di montagna. Sono in sostanza tutte quelle realtà che hanno interesse a che si passi, quale criterio di ripartizione dei fondi strutturali, da un criterio macroeconomico puro a uno mitigato da un criterio geografico oggettivo: questo è il traguardo principale da raggiungere.
Il rapporto presenta quattro nuove opzioni per le eleggibilità all'obbiettivo 1 e per l'appoggio transitorio alle Regioni che ne escono, il cosiddetto phaesing out. In tutte queste ipotesi l'essere regioni insulari è sin da ora considerata come una condizione sufficiente a mitigare la rigidità dei parametri di riferimento e a garantire comunque alla Sicilia, dopo il 2006, un'ulteriore programmazione di risorse finanziarie dall'Unione europea.
Se quindi è pressoché certo che Agenda 2000 non sarà, come comunemente si dice, l'ultima occasione per la Sicilia, ciò non deve indurre ad alcuna forma di disimpegno rispetto alla priorità assoluta dell'oggi che resta quella di spendere bene e nei tempi previsti le somme a noi assegnate. A mio avviso, due sono le condizioni principali perché ciò avvenga: drastica semplificazione delle procedure e concentrazione degli interventi riducendo fortemente un numero eccessivo di misure previste.
L'autore è stato deputato al Parlamento europeo ed è consigliere d'amministrazione del Banco di Sicilia.

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Una casa vinicola siciliana apre 2 aziende in Tunisia

La Calatrasi di San Cipirello fattura 24 miliardi all'anno

Un pezzo di Sicilia in Tunisia per produrre vini di alta qualità: la Calatrasi di San Cipirello ha inaugurato ufficialmente in Tunisia le due aziende Domain Hannon e Domain Neferis per un totale di 1000 ettari, di cui 400 a vigneto. Alla presenza delle autorità africane, del presidente della Regione siciliana Totò Cuffaro e dell'ambasciatore italiano, è stato presentato il progetto che prevede un investimento complessivo di nove miliardi in cinque anni e come obiettivo la produzione di un milione di bottiglie di vini di alta gamma per il mercato tunisino (un giro annuale di nove milioni di turisti).
La Calatrasi, 24 miliardi di fatturato raggiunto nel 2000 esportando i propri vini in tutto il mondo, una joint venture con l'australiana Brl Hardy, leader mondiale nella commercializzazione di vini, tre poli produttivi fra Sicilia, Puglia e Tunisia per un totale di 1900 ettari di vigneto, un team di professionalità internazionale, produce una ampia gamma di etichette tra vini bianchi e rossi, quali Terre di Ginestra, Allora e Selian, D'Istinto, Terrale e Accademia del Sole. In Tunisia Calatrasi ha già terreni dal 1999, dopo esserseli aggiudicati a un'asta internazionale.
Oltre la metà dell'investimento complessivo verrà stanziato dall'azienda di San Cipirello, socio di maggioranza della società nata per gestire i terreni (la cui proprietà resta allo stato tunisino). «Il sessanta per cento è nostro - afferma Maurizio Miccichè, amministratore delegato della Calatrasi - la società avrà in gestione il terreno per 25 anni nel corso dei quali noi porteremo, oltre alle risorse finanziarie, il nostro know how».

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La sicilia e gli otto grandi

AGOSTINO SPATARO

Mentre a Genova gli 8 "grandi" si apprestano, dal 20 al 22 luglio, a discutere sui destini e sulle conseguenze dell'economia globale, in Sicilia restiamo impantanati in una situazione di stallo, indecisi sul futuro dell'Isola: se dovrà diventare il nord (evoluto) dell'Africa o restare il sud (emarginato) dell'Europa. I temi in agenda del prossimo vertice di Genova del G8 sono di grande importanza e riguardano la prospettiva dell'area euromediterranea, nella quale la Sicilia è collocata. Per come si stanno mettendo le cose, probabilmente, sapremo poco di quanto verrà discusso e deciso, poiché questo vertice sembra divenuto un evento di ordine pubblico internazionale; un affare gestito da polizie e da servizi di controspionaggio di mezzo mondo.
Tuttavia, ciò che più interessa è cercare di evidenziare quali rapporti intercorrono fra la realtà del G8 e le problematiche specifiche dell'area mediterranea e quindi della Sicilia, il cui avvenire sarà sempre più condizionato dall'evoluzione politica ed economica di questa importante zona del pianeta.
Per prima cosa, è doveroso spiegare al lettore qual è il peso dei paesi del G8 nell'economia mondializzata, poiché da questo nasce la loro pretesa di "ordinare" il mondo.
Nel 1998, gli 8 Paesi (Usa, Canada, Giappone, Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna e Russia), con il 13,8 per cento della popolazione mondiale, disponevano del 48 per cento della ricchezza (pil) prodotta nel mondo, detenevano oltre il 60 per cento del commercio internazionale e così dicasi per i consumi d'energia (e, di converso, per le emissioni inquinanti), per la qualità dei servizi, per le speranze di vita, e così via.


Forti di questi numeri, i paesi del G8 invece di coinvolgere, in una sede universalmente riconosciuta qual è l'Onu, gli altri 201 Stati assai penalizzati dalla globalizzazione, si arrogano il diritto di decidere, da soli, anche le sorti degli altri popoli, piegando alle loro ragioni il ruolo d'istituzioni fondamentali quali il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale, il Wto. Per altro, questi 8 Signori non decidono un bel nulla, poiché per loro hanno già deciso le grandi consorterie della finanza internazionale.
Il resto del mondo, ovvero 201 Paesi con una popolazione complessiva di 5 miliardi e 215 milioni d'abitanti, deve accontentarsi, senza protestare, delle rimanenze: ossia del 52 per cento del pil e del 40 circa del commercio internazionale. Ma c'è uno squilibrio nello squilibrio ancor più grave fra quello già evidenziato: infatti, se estrapoliamo da queste cifre i dati relativi agli altri paesi sviluppati dell'Ocde e non facenti parte del G8, si riduce drasticamente la quota spettante ai paesi in via di sviluppo (Pvs) e ad altri ancora più poveri. Sui Pvs, inoltre, grava un debito estero divenuto insopportabile per quelle economie che, nel 1999, ammontava a 2.554 miliardi di dollari. Si tratta di paesi poverissimi, dove il reddito procapite è inferiore a 1 dollaro al giorno, afflitti da malattie endemiche e devastanti, siccità, malnutrizione, in gran parte governati da generali ingordi, messi lì a garantire il pagamento d'esosi interessi e l'acquisto di costosissimi sistemi d'arma. Non a caso, nel corso degli ultimi 30 anni, il debito di questi paesi è cresciuto a velocità strabiliante, moltiplicandosi per 42: dai 61 miliardi di dollari del 1970 ai 2554 del 1999.
L'area mediterranea (i 21 Paesi rivieraschi, esclusi quelli del Mar Nero) costituisce un insieme eterogeneo, caratterizzato da forti divari economici e di reddito che possiamo cogliere suddividendo questi paesi in quattro fasce secondo il reddito procapite annuo (considerato a parità di potere d'acquisto) che resta uno dei principali elementi indicativi di una determinata condizione sociale ed economica: 1) dai 15 mila ai 22 mila dollari procapite è composta: da due paesi facenti parte del G8, Italia (20.300) e Francia (22.000) e da Israele (18.150) e Spagna (15.930); 2) dai 10 mila ai 15 mila dollari, da: Cipro (14.675), Malta (13.180), Grecia (12.540), Libia (11.832), Slovenia (11.800). Il reddito procapite della Sicilia è di circa 11.000 dollari. 3) dai 5 mila ai 10 mila dollari: Turchia (6.350), Libano (5.940) e Tunisia (5.300); 4) al di sotto dei 5000 dollari: Croazia (4.780), Algeria (4.460), Giordania (3.450), Marocco (3.310), Siria (3.250), Egitto (3.050), Serbia/Montenegro (2.280), Albania (2.120), Territori Palestinesi (1.465).
Rispetto al mondo, l'insieme dei paesi rivieraschi del Mediterraneo, con il 7 per cento della popolazione, rappresenta l'8,2 per cento del pil e il 17 per cento dell'interscambio commerciale. Naturalmente, all'interno di questo aggregato il peso di Francia e Italia è davvero sproporzionato e segnala un divario fortemente sperequativo con il resto dei paesi, soprattutto quelli delle rive sud ed est del Mediterraneo. Infatti, se togliamo dal pil globale mediterraneo (8,2 per cento del pilmondo) quello relativo a Francia e Italia (insieme 6,45 per cento), gli altri 19 paesi si dovranno spartire un ben gramo 1,75 per cento del pil mondiale. Così dicasi per il commercio, il turismo, i consumi, le infrastrutture, e così via.
Per avere un'idea di come stanno le cose nel Mediterraneo e di come si colloca l'Isola in tale contesto proponiamo un altro, significativo confronto: la Sicilia, con poco più di 5 milioni d'abitanti e pur trovandosi al penultimo posto della graduatoria italiana per il reddito pro capite (all'ultimo c'è la Calabria), dispone di un pil globale di circa 56,08 miliardi di dollari, ovvero una cifra superiore a quella risultante dalla somma dei pil di ben 5 Stati rivieraschi con una popolazione complessiva di 22,8 milioni di abitanti: Malta, Albania, Serbia/Montenegro, Giordania, Palestina (55,3 miliardi di dollari).
Nel biennio 199899, il valore delle importazioni siciliane è cresciuto di 2.284 miliardi di lire (+17,5 per cento), mentre quello delle esportazioni è calato di 323 mld (4,7); il disavanzo dell'interscambio siciliano, nel 1999, è stato di 8.736 miliardi di lire, ovvero una cifra di molto superiore al valore globale delle esportazioni (6.583 miliardi).
Non a caso il grado d'internazionalizzazione dell'economia siciliana è stato nel 1998 del 16,7 per cento, uno dei più bassi in Italia, mentre il saldo migratorio si è innalzato a 17,5 per cento; com'è noto, queste due tendenze marciano di pari passo nell'economia globalizzata.
Questi numeri (abbastanza indicativi e sommari) dovrebbero far riflettere non soltanto sui problemi interni della gestione politicoamministrativa della Regione, ma soprattutto sulle politiche e sugli strumenti per una spiccata proiezione internazionale dell'economia siciliana nel contesto euromediterraneo che nel 2010 evolverà in una zona di libero scambio, nel quadro del processo di mondializzazione dell'economia che, inevitabilmente, andrà avanti nei prossimi decenni.

Agostino Spataro

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L'arte islamica si studia dal vivo

Al via ad Architettura un corso postlaurea sugli itinerari arabi in Sicilia tra cultura e turismo


MARIA TIZIANA GULOTTA

Ha preso il via in questi giorni il corso di specializzazione postlaurea su "Itinerari dell'arte islamica in Sicilia", organizzato dal dipartimento di Storia e progetto nell'architettura dell'Università di Palermo. È un'iniziativa che il «Museo senza frontiere», un'organizzazione internazionale non governativa, ha commissionato al dipartimento di Storia e progetto con il finanziamento del Fondo sociale europeo e l'approvazione della Regione, con l'obiettivo di far interagire i beni culturali e un turismo di qualità.
Questo itinerario scientifico di arte islamica sarà immesso in una rete internazionale, di cui fanno già parte undici Paesi del Mediterraneo: dalla Spagna alla Turchia, dal Marocco a Israele. E così la Sicilia è entrata a far parte di questo circuito, dal momento che anche nell'Isola la koinè islamica è molto forte.
Il corso, che durerà complessivamente 480 ore, è diretto da Carla Quartarone, docente di Pianificazione urbana ad Architettura ed è organizzato in differenti moduli, secondo le diverse specializzazioni. Prevede la formazione di venti mediatori del patrimonio culturale siciliano, che avranno il compito di conoscere le risorse e trasmetterle agli utenti stranieri, venti tourist provider e venti marketing manager, che dovranno interloquire con gli enti pubblici e privati in modo da rendere fruibili gli itinerari.
I dieci percorsi intorno alla Sicilia, elaborati da un comitato scientifico, daranno l'opportunità al visitatore di conoscere monumenti espressione di tre secoli e mezzo di storia, dall'età islamica a quella normanna e chiaramontiana. Ogni percorso è come una sala da vistare. Il primo itinerario partirà dal museo islamico del castello della Zisa, per toccare Palermo e il suo territorio, le province di Agrigento e Trapani, Mazara del Vallo, fino a raggiungere le Madonie e i Nebrodi.
Questi itinerarimostra verranno pubblicati in un libro d'arte che farà parte della collana dal titolo "L'arte islamica nel Mediterraneo", edito dalla casa editrice Electa, in modo da coinvolgere il visitatore nella scelta degli itinerari scientifici. Inoltre ogni monumento sarà contraddistinto da una segnaletica consistente in un totem o una targa che renda più agevole il percorso.

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La vergogna di Portopalo

AGOSTINO SPATARO

Sono stati accertati i resti (meglio dire i brandelli) della più grave sciagura marittima del Mediterraneo, nel tratto di mare fra Sicilia e Malta. In quella maledetta notte di Santo Stefano del 1996, 283 persone, imprigionate in una carcassa maltese, sono colate a picco divenendo pasto per cernie, orate e gamberoni che, a loro volta, diventeranno cibo prelibato sulle nostre tavole imbandite per le feste comandate. Buon appetito!
A parte l'alto numero delle vittime, questa tragedia è un evento davvero sconvolgente poiché ha rivelato un comportamento asociale e inquietante che non dovrebbe appartenere all'indole dell'uomo. In quasi cinque anni, dal mare o impigliate nelle reti sono emerse le terrificanti prove della sciagura: cadaveri dilaniati, brandelli di corpi umani e d'indumenti. Eppure nessuno ha parlato, indagato, denunciato le evidenti omissioni (perfino un cranio umano verrà trovato su una bancarella di Portopalo). Nessuno, proprio nessuno. Nemmeno fra le cosiddette autorità civili, religiose e militari che, in vario modo, ne avevano avuto sentore. Nessuno fra la gente di Portopalo, nel ragusano (ricca provincia siciliana, per altro quasi immune da fenomeni incivili di criminalità), che vedeva e sapeva dell'immane tragedia e regolarmente taceva. In Sicilia, generalmente, la gente non parla per paura della rappresaglia, per "omertà", come impropriamente viene chiamata la paura dei siciliani. In questo caso l'omertà non c'entra nulla, non c'era motivo di temere la rappresaglia mafiosa. Ma se i pescatori e la gente hanno taciuto soltanto per non avere noie, per non subire il fermo di qualche ora o giorno della loro attività, non si capisce davvero perché le autorità non abbiano indagato. L'opinione pubblica internazionale si farà un'idea non molto accattivante dell'Italia e della Sicilia in particolare.
L'indignazione non guasta, ma quello che più serve in questa fase è interrogarsi sul perché si sia potuto giungere a tanto cinismo in questa nostra Isola, nei millenni celebrata per il suo spirito d'ospitalità, di compassione, di solidarietà. Virtù sempre più rare in verità, ma che nell'Isola dovrebbero essere maggiormente esercitate nei confronti degli immigrati visto che esiste "un'altra Sicilia" emigrata all'estero per sfuggire alla miseria, alle angherie feudali dei latifondisti e dei loro campieri mafiosi: esattamente come speravano di fare quei 283 giovani indiani, pachistani e cingalesi che fuggivano dalla povertà e dalla guerra eterna.
Ovviamente, una riflessione, anche severa, dovrebbe coinvolgere le altre popolazioni e governi del Mediterraneo (Malta, Grecia, Turchia, Albania, Egitto, Libano, Tunisia, Marocco) che questo turpe mercimonio di uomini consentono, traendone i più lucrosi vantaggi.
Ma è solo indifferenza, cinismo o c'è dell'altro? Probabilmente, il delirio del profitto, la corsa sfrenata ed egoistica al facile guadagno hanno preso il sopravvento sui valori tradizionali della civiltà contadina, saggia e pietosa, che fino a pochi decenni addietro distingueva il sentimento dei siciliani. Siamo oltre il cinismo e la folle corsa continua: verso il razzismo e la xenofobia, verso l'intolleranza per tutto quello che non ci conviene economicamente.
Si disconosce il Prossimo, l'immigrato non è più persona appartenente alla stessa razza umana, ma è il "niru", "il turco", "il marocchino", "il vu' cumprà"; abbiamo inventato una serie di epiteti spregiativi quasi volessimo spodestare quegli uomini e quelle donne della loro natura umana, per ridurli a uno stato di moderna schiavitù, o farli sentire tali, senza i diritti di quella antica che almeno prevedeva la possibilità di divenire liberti.

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Sei miliardi per il mare dalla Sicilia al Libano

Sì al progetto della fondazione Palazzo Intelligente

Un progetto di recupero e valorizzazione di sedici borghi marinari di varie località del bacino del Mediterraneo, che diventa strumento di sviluppo sovranazionale. È il progetto "Tech Net" della fondazione Palazzo Intelligente di Guido Agnello, che il 30 giugno è stato approvato dall'Unione europea. Il progetto coinvolge due località di Libano, Egitto, Tunisia, Marocco e Grecia e i centri siciliani di Lipari, Aci Castello, Scoglitti, Marina di Ragusa e Gela. Un'iniziativa che ha subito incontrato il favore di molti organismi internazionali, raccogliendo il patrocinio dell'Onu e l'adesione della fondazione libanese Hariri, della Ato (Arabic Town Organization) che riunisce 470 città di 22 Paesi arabi e della Abc (Arabic Bureau for City Development).
A Saida, l'antica Sidone in Libano, Agnello e i suoi collaboratori hanno incontrato i rappresentanti di queste organizzazioni e Staffan De Mistura, rappresentante della delegazione Onu in Italia. Il progetto che coinvolge le sedici località, con uno stanziamento di tre milioni di euro (circa sei miliardi di lire), sarà un'iniziativa pilota che alla fine coinvolgerà tutte le città della Ato e quelle della Sicilia. In questo senso a Saida la fondazione Palazzo Intelligente ha firmato un protocollo di «alleanza e solidarietà» con la presidentessa della fondazione Hariri, Bahia Hariri, ministro per l'Istruzione del Libano, e con Wadad Al Suwayeh, presidente di Ato e Abc. «Con questo accordo - spiega Agnello - il nostro progetto viene riconosciuto come strumento di sviluppo culturale ed economico per tutta l'area del Mediterraneo. Un modo diverso per rilanciare il turismo compatibile e fare pace con il mare soprattutto in Sicilia, dove sembriamo avere litigato con la nostra più grande risorsa».
Anche a Saida arriverà la campagna per i diritti umani che in Sicilia ha illuminato alcuni monumenti con le parole dei poeti. Il suggestivo «Chateaux sur la mer» della città libanese sarà illuminato da Marco Nereo Rotelli e diventerà la sede della campagna contro le mine anti uomo che l'Onu sta per varare. Ogni volta che saranno bonificate dagli artificieri mille mine, il castello verrà illuminato con i versi di poeti arabi. «Siamo soddisfatti - aggiunge Agnello - del consenso estero per il nostro lavoro. In Libano ci ha soprattutto sbalordito il grande entusiasmo dei ragazzi della fondazione Hariri. Giovani cresciuti fra le bombe e la disperazione, ma che hanno una grande fiducia nel futuro. Segno che il nostro percorso ha un senso».

g. a.

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La vergogna negli abissi

TAHAR BEN JELLOUN

Se il mare fosse un libro, alcune pagine sarebbero bianche, cancellate dalla vergogna. Non vi si leggerebbe nessuna storia, ma si intuirebbe qualche tragedia come quella avvenuta la notte del 26 dicembre 1996. Una notte di preghiera e di pace, una notte di festa. Ma a volte il destino è infedele alla vita, e allora si parla di sviste, di errori.

A meno di essere fatalisti, ci si può rifiutare di pensare che il giovane cingalese (di etnia tamil) Anpalagan Ganeshu, nato il 12 aprile 1979, e suo fratello Arulalagan fossero nati per essere divorati dai pesci delle coste italiane. La stessa sorte ebbero altre 281 persone, clandestini dello Sri Lanka, dell'India e del Pakistan.

La vergogna bianca viene da quello che l'uomo è capace di fare all'uomo.

Tutte le storie di clandestini, che provengano dall'Asia o dall'Africa, sono storie di imbrogli, truffe e schiavitù. Si è saputo che il costo del viaggio era di 5000 dollari a persona. Il trafficante - o i trafficanti - deve aver intascato quasi un milione e mezzo di dollari. Cinquemila dollari per morire, per andare a offrire il proprio corpo ai pesci affamati, per lasciarsi decomporre un pezzo dopo l'altro. Questa volta il mare della vergogna ha parlato: ha restituito alcuni corpi, certi interi e in condizioni spaventose, altri pezzo dopo pezzo. E poi ha restituito anche una carta d'identità plastificata. Un corpo del reato per mettere fine ai dinieghi, al rifiuto di vedere e di credere che il naufragio avesse davvero avuto luogo, per provare che non si trattava di un fantasma o di una diceria natalizia

Che cosa rimane di un volto divorato dai pesci? Carne avvizzita dal sale dell'acqua, pelle ridotta a una sottile membrana? Che cosa rimane di un corpo che non è più un corpo, di quello che è stato uomo, una memoria, desideri e speranze? Il mare non dice tutto. È spietato e ingoia tutto.

A cosa assomiglia un corpo che ha passato più di una settimana in fondo al mare? Alla cattiva coscienza? Alla maschera dell'indifferenza? A una descrizione di Boccaccio o a un dipinto di Bacon che illustra la miseria e la crudeltà umana?
Un corpo che è stato a lungo in mare, straziato dall'acqua e dagli squali, un corpo che ha nutrito pesci che poi saranno nei nostri piatti, non assomiglia più a niente, ma ci ricorda che l'uomo è più perverso, più brutale dello squalo.
"È così che vivono gli uomini?" si chiedeva Louis Aragon durante gli anni della resistenza contro l'occupazione tedesca in Francia.

Ma che cosa sono diventati, gli uomini, per vivere della morte dei loro simili? Non è una novità, ma stupisce sempre vedere che i rapaci non si fermano davanti a nulla.

Si è saputo che Anpalagan e suo fratello erano attesi in terra italiana da uno zio, il quale non osa dire a sua sorella, la madre dei due giovani, quello che è successo. Per la madre hanno realizzato il loro sogno: andare in Europa per lavorare e vivere in pace, dopo aver sfuggito la guerra e la carestia.
Come dice lo zio, "Anpalagan è un ragazzo vivace e affettuoso, dotato di una grande capacità di imparare e di lavorare". Per la madre, i figli sono dall'altra parte del mare e un giorno torneranno a trovarla, le porteranno dei doni e le daranno una parte dei loro guadagni come usa dalle loro parti. Lei aspetta, sorride pensando a loro e sa che sono bravi ragazzi. Ovviamente non c'è mai stato nessun naufragio.

Che naufragio? Le imbarcazioni non naufragano mai la sera di Natale, lo sanno tutti. Dio non lo permette, né il Dio dei Cristiani né lo Spirito che guida i Cingalesi.
Mentre quella madre aspetta i suoi figli, altre madri vendono tutto quello che trovano perché i loro figli possano emigrare. Madri del Marocco, del Senegal, del Mali, del Pakistan, dello Sri Lanka, di tutti i paesi del mondo in cui la miseria ha fatto degli strappi nelle coscienze.

Ci si accanisce contro i clandestini, quelli che riescono a salvare la pelle. Ma che cosa si fa contro i trafficanti, i mafiosi, i lupi rabbiosi, quelli che restano nell'ombra, quelli che rimangono sulla riva quando la piccola barca sovraffollata prende il largo in una notte buia e naviga verso la morte, o meglio verso coste sorvegliate dai gendarmi e dai cani?
Il libro del mare è il registro di un cimitero marino che non ingoia più i pirati, come succedeva una volta, ma le loro vittime.

Quattro anni dopo, questa tragedia è stata resa pubblica da questo giornale. Dal fantasma si passa alla realtà e ai fatti accertati.

Che fare, dunque, perché questi fatti non si ripetano più? Tocca all'Europa dal volto umano, e non all'Europa dei tecnocrati cinici e affaristi, avviare al più presto una nuova politica di cooperazione e di immigrazione legale da definire con quei paesi del Sud e dell'Est che bussano alle sue porte e che spesso ricevono soltanto risposte di morte. (15 giugno 2001)

(Traduzione di Elda Volterrani)


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Numero 13
luglio 2001










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