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PALERMO
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In questa
nuova rubrica proponiamo articoli e commenti comparsi su "la Repubblica
- Palermo" riguardanti le relazioni tra la Sicilia e i paesi dell'area
mediterranea e del mondo arabo.
(
LA SICILIA NEL MEDITERRANEO)
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- Inaugurata
la mostra della Fondazione. A luglio si sposterà ad Amman, a
settembre a Damasco
La Sicilia sotto una tenda berbera le Orestiadi conquistano il Cairo
-
IL
SAHARA E' PIU' VICINO
di silvano
Riggio
- ARAFAT
E L'ISOLA PERDUTA
di Agostino
Spataro
L'ultima
moda delle cerimonie nuziali: invitare la ballerina
Danza del ventre per gli sposi
Maria
Tiziana Gullotta
È
arrivata una nuova moda a Palermo: fare esibire le danzatrici del ventre
nelle cerimonie nuziali. Finora, le avevamo viste soltanto nei ristoranti
o nei pub, adesso sono richieste nei matrimoni per evocare atmosfere esotiche
e il folclore arabo.
In Egitto, ancora oggi, esiste la consuetudine di far intervenire nel
giorno delle nozze una danzatrice orientale e in simbolo di fertilità
e d'augurio per una numerosa prole, gli sposi sono soliti farsi fotografare
con le mani poste sul suo ventre. La denominazione "danza del ventre"
però è stata introdotta da alcuni viaggiatori occidentali
che si recavano in oriente, gli arabi la chiamano "raqs sharqi"
appunto danza orientale. I suoi movimenti prendono spunto dal "raqs
baladi" cioè da un tipo di danza popolare eseguita da donne
e bambini durante le feste familiari e tradizionali. In questi ultimi
anni, questa danza è sempre più diffusa e praticata nel
mondo occidentale.
Chi sono
le danzatrici che animano serate e matrimoni? Jamila, 34 anni, è
palermitana, ha ereditato la passione per la danza dai genitori, campioni
di parecchie competizioni di ballo liscio. Dai ritmi classici è
passata a quelli latinoamericani fino ad approdare alla danza orientale
che è la sua passione autentica iniziata tre anni fa, dopo l'incontro
a Milano con un coreografo egiziano. Ha frequentato workshop, stage e
seminari in Italia e in Tunisia per apprendere i differenti stili della
danza orientale anche se i suoi movimenti si ispirano, in particolare,
alla danza del Cairo e di Alessandria. «L'oriente mi ha sempre affascinato,
perché c'è un mistero velato cioè il fascino del
vedo e non vedo, del dico non dico ed è soltanto attraverso la
danza che le donne possono esprimere la loro femminilità e sensualità.
Mi piacerebbe aprire a Palermo un'accademia per dare l'opportunità
di specializzarsi e di conseguire dei titoli riconosciuti».
Maia è egiziana, ha 26 anni, da quindici anni vive a Palermo, dove
tra i vicoli del centro storico ha trovato la sua "Mecca". È
il primo anno che insegna in un'associazione, le sue insegnanti sono state
le zie e le cugine egiziane. «Mi piacciono i paesi caldi, per questo
ho scelto di vivere a Palermo, ma questa città ha circuiti limitati
riguardo alla danza e non sempre si crea quell'atmosfera carica di sensualità
ed erotismo. In Egitto si balla sempre, soprattutto nelle feste e nei
matrimoni. Mi piacerebbe approfondire la danza facendo degli scambi, per
esempio, vorrei portare le mie allieve in un paese arabo, per farle confrontare
con la realtà di quei luoghi».
Paola, palermitana, ha 27 anni, studia all'Accademia di Belle arti e insegna
danza orientale in due palestre. Si ispira alle danze dell'Algeria e della
Kabilia, dal momento che proviene dalla scuola di Sabah Benziadi, la nota
danzatrice algerina che ha debuttato con Franco Battiato. «Più
che istruttrice di danza mi definisco una mediatrice, cioè cerco
di trasmettere ai miei allievi, con un linguaggio occidentale, ciò
che ho appreso dalla mia insegnante algerina. La danza ha tirato fuori
quello che avevo dentro ed è servita a studiare me stessa. Per
me è diventata una filosofia di vita e consiglio a tutti di avvicinarsi
a essa perché dà equilibrio e armonia alla mente, eleganza
e sinuosità al corpo. A Palermo e dintorni è difficile reperire
l'abbigliamento per questa attività e siamo costrette a farceli
spedire dall'estero a un prezzo che va dai 250 euro in su».
Spesso l'abbiamo vista esibirsi al pub "Shahrazad", si chiama
Noura, è inglese e vive a Palermo da quattordici anni. Ha cominciato
con la danza classica, poi il tip tap, la danza contemporanea e per caso
si è avvicinata alla danza orientale che continua sempre ad approfondire
e studiare. «Ogni danzatrice ha la sua personalità, il suo
pubblico e qualcosa di diverso da trasmettere. Di recente, ho ballato
in Inghilterra per l'anniversario di matrimonio dei miei genitori, erano
meravigliati non sapevano che facessi questo lavoro a Palermo. Il prezzo
delle esibizioni varia secondo l'importanza della cerimonia, ma in genere
si parte da cento euro per una serata. Dal momento che non è facile
reperire l'abbigliamento, è il mio fidanzato arabo a cucire i costumi
orientali, con pazienza infila perlina per perlina».
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UN
PROGETTO PER IL FUTURO
LO SCAMBIO CON IL PETROLIO
AGOSTINO SPATARO
Col
passare dei giorni, l'emergenza idrica rischia di trasformarsi da disagio
sociale diffuso a un impietoso atto d'accusa nei confronti di un'intera
classe dirigente politica e amministrativa, dei governanti del centrodestra
che, dopo aver fatto il pieno dei voti, non garantiscono ai siciliani
un pieno d'acqua per lavarsi e dissetarsi. Per non dire dei disastri in
agricoltura e nel turismo dove le conseguenze potrebbero essere davvero
letali già agli inizi dell'alta stagione.
Ci sono voluti i blocchi stradali e gli arresti di Palermo e l'eco suscitata
sui mass media italiani e stranieri, l'organizzazione da parte di Cgil,
Cisl ed Uil di una grande manifestazione provinciale per stamattina, alle
11 in piazza Marconi ad Agrigento, cittàsimbolo della grande sete,
per scuotere l'imperturbabilità del governo Berlusconi, costretto
a prendere atto dell'incapacità del governo regionale e del suo
presidentecommissario nel fronteggiare la difficile situazione.
Vedremo quali risultati produrranno i provvedimenti decisi dal Consiglio
dei ministri, tuttavia pare che si muovano soltanto nella logica dell'emergenza,
mentre siamo di fronte a una crisi strutturale, ciclica, in sintonia col
contesto geoclimatico dei paesi della fascia centromeridionale del Mediterraneo,
dentro cui è collocata la Sicilia.
Da tempo, sono note talune preoccupate analisi, formulate da specialisti
di organismi qualificati (Cnr, Piano Blu, Irem), relativamente al divario
che si sta creando nell'area mediterranea fra la crescita tendenziale
dei consumi idrici per i diversi usi e il progressivo impoverimento (ma
anche inquinamento e salinizzazione) delle risorse idriche disponibili.
In primo luogo, a causa della sostenuta crescita demografica che interesserà
maggiormente i paesi rivieraschi e in particolare quelli nordafricani.
Da qui al 2025, la popolazione costiera aumenterà dagli attuali
123 a 220 milioni di abitanti, mentre i turisti che affluiranno sulle
coste del Mediterraneo passeranno dagli attuali 180 a oltre 300 milioni.
Aggiungendo alla popolazione residente le presenze turistiche si avrà
una pressione demografica davvero esorbitante, pari a 12.000 persone per
chilometro di costa, più che doppia rispetto all'attuale (5.700)
(fonte: Adalberto Vallega in "Water resources and mediterranean ecosystems").
Bisognerebbe, inoltre, considerare le prevedibili, accresciute esigenze
per gli usi irrigui e industriali che, fra poco più di 20 anni,
peseranno sulle già grame risorse idriche dei paesi rivieraschi,
provocando una condizione di estrema penuria in ben 8 paesi e in una popolazione
oscillante fra gli 85 e i 140 milioni di abitanti (rispetto ai 23 milioni
attuali), mentre altri 150 milioni di mediterranei (al posto degli attuali
87 milioni) vivranno in condizione di crisi idrica permanente. Appare
chiaro che, di questo passo, l'acqua diventerà una risorsa davvero
preziosa e difficilmente reperibile e potrà divenire oggetto di
contenzioso e perfino di sanguinosi conflitti fra gli Stati.
Stiamo parlando dello scenario euromediterraneo dove, per una "bizzarria
compensativa" della natura, insistono i paesi della riva nordafricana
poveri d'acqua, ma ricchi di petrolio e di gas naturale, e quelli della
riva nord e del centro Europa poveri d'idrocarburi, ma dotati di enormi
disponibilità di risorse idriche, in gran parte inutilizzate.
La Sicilia, forse perché si trova nel mezzo, scarseggia sia di
acqua sia di petrolio. Che fare? Molte sarebbero le cose da fare, anche
per recuperare 50 anni di colpevole ignavia. A tal proposito, vorrei presentare
un'idea, apparentemente un po' azzardosa, da anni condivisa con alcuni
amici studiosi del Mediterraneo, che va ben oltre i provvedimenti d'emergenza
e si configura come ipotesi inedita di cooperazione euromediterranea.
L'Italia e la Sicilia dovrebbero avviare azioni di programmazione su scala
mediterranea, associando a questo sforzo le altre regioni meridionali,
per aprire una prospettiva nuova fra Europa e paesi produttori d'idrocarburi,
basata sullo scambio fra acqua e petrolio (e gas). Si verrebbe a creare
un vincolo d'interdipendenza fra nord e sud che favorirebbe lo scambio
in altri settori e garantirebbe la comprensione e la pace fra le nazioni.
Saremmo "condannati" alla pace, poiché nessun governo
avrebbe interesse al conflitto, né quelli del nord che dipenderanno
dal sud per l'approvvigionamento energetico, né quelli del sud
che dipenderanno dal nord per l'approvvigionamento idrico.
Scambio ineguale? Penso proprio di no. A ben guardare, un litro di acqua
minerale costa quanto un litro di benzina (al netto delle tasse), per
cui anche come valore reale lo scambio è ammissibile. Il problema
del trasporto è risolvibile mediante la realizzazione, accanto
ai grandi metanodotti e oleodotti già operativi o programmati,
di acquedotti altrettanto grandi che, seguendo un percorso inverso (dal
centronord europeo verso il sud), trasferiscano enormi quantitativi d'acqua
verso i paesi aridi e desertici esportatori d'idrocarburi. In questa prospettiva,
la Sicilia, sul cui territorio approdano e transitano imponenti gasdotti
transmediterranei, potrebbe divenire sede di attraversamento di una gran
parte di questi flussi idrici e quindi usufruire di una percentuale dei
volumi trasportati che renderebbe superflua la costruzione di nuove dighe
e di costosissimi dissalatori. Senza inventarsi una tassa sull'acqua,
per favore.
Agostino
Spataro
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Uno
studente di architettura
riscopre il varco della città degli Arabi
di
Mario Pintagro
Balàrmuh,
la città degli Arabi, è sotto i nostri occhi. Di tanto in
tanto emerge e si offre alla vista con il suo carico di storia e fascino.
E dalla tela di pietra dell'antica cortina muraria del Cassaro spunta
fuori un antico varco, la Porta Oscura, la stessa che il mercante iracheno
IbnHawqal attraversò nel 972 per uscire verso settentrione dove
era una sorgente chiamata Ayn sifà, la fonte della salute. La scoperta
è di uno studente di architettura, Gaetano Brucoli, prossimo alla
laurea. Brucoli ha incrociato i dati topografici con quelli archivistici,
poi ha effettuato delle verifiche sul posto, ispezionando alcuni immobili
fra via Venezia, a ridosso del Teatro Biondo, e la salita Castellana,
dov'era l'antica fabbrica di cioccolato Valenti. Fra interpolazioni e
sovrapposizioni, al di là di un pesante portone metallico ha risolto
il rebus, rimovendo un soppalco per leggere con più facilità
quel che resta dell'antica Porta Oscura. Forse l'antico ingresso cittadino
corrisponde alla Bab aynsifà o Porta della salute, fatta aprire
dall'emiro tra il 954 e il 962 sulle mura settentrionali della città,
a seguito della protesta della gente che non aveva varchi vicini tra le
altre due porte, la Bab al Bahr che guardava il mare e la Bab al Sciantagath,
verso la Guilla, ma questa è solo una congettura che potrà
essere dimostrata dall'indagine archeologica.
Della Porta Obscura si ha traccia sin dal 1309 attraverso un documento
notarile di compravendita. L'ultimo studioso ad avere lasciato una descrizione
di Porta Oscura era stato Vincenzo Di Giovanni nella Topografia Antica
di Palermo, nel 1882. L'opera conteneva un'incisione del De Lisi che mostrava
l'arco della porta in un cortile e il piano di calpestio con il basolato
di Billiemi. Poi più niente, se n'era persa la memoria. «Il
vicolo che dava accesso alla porta era ancora riconoscibile nelle prime
mappe delle città - spiega Brucoli - poi, con l'apertura di via
Maqueda esso perse d'importanza, sino a essere chiuso. Era percorribile
fino al 1759, mentre nel 1818 risultava ostruito nei due accessi e privatizzato.
I due ingressi però si riconoscono ancora: quello da via Venezia
è in corrispondenza della bottega di un pescivendolo, proprio sotto
gli archi di sbadaccio di due costruzioni, mentre dalla salita Castellana
si accede al cortile dell'omonimo palazzo».
Percorso uno degli accessi, non si può fare a meno di notare la
corrispondenza fra lo stato attuale dei luoghi e la descrizione del Di
Giovanni. L'arco si trova in cima a una stretta e ripida scalinata su
quella che una volta doveva essere la cresta della cittadella punicoaraba.
Fra il piano della porta e piazza Venezia, l'antica Conceria, c'è
un dislivello di più di sette metri: un dato confermato dagli storici
che a proposito della Porta Oscura parlano di «acchianata di Porta
Oscura» o «scinnuta», a seconda della direzione di percorrenza.
Ma perché oscura? Lo storico Pugnatore, nel 1583, scrisse che il
nome era dovuto «dall'effetto per avventura dell'aere scuro»,
mentre Gaetano Giardina nel 1732 scrisse che «il luogo era oscuro
e mancante di lume». Quest'ultimo si soffermò sull'importanza
del sito lamentando che sarebbe stato un peccato se si fosse chiuso il
vicolo. Duecentosettant'anni dopo chissà se qualche assessore comunale
si ricorderà delle vestigia arabe della città, magari espropriandolo.
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Gemellaggio
Sicilia Egitto con il papiro
Un
gemellaggio d'arte e cultura tra la Sicilia e l'Egitto, per rinsaldare
ancora una volta un tessuto che annoda molti fili comuni. La strabiliante
biblioteca di Alessandria d'Egitto, nuova e avveniristica architettura
di cristallo che ha comunque alle spalle secoli di gloriosa storia, trova
nella Sicilia uno speciale referente per alcune importanti iniziative.
Spiega Lelio Crivellaro, console italiano ad Alessandria d'Egitto: «L'Italia
ha destinato un milione e mezzo di dollari per iniziative culturali ed
è tra le nazioni più impegnate in questa nuova struttura.
Ad esempio, gli antichi papiri conservati nella biblioteca saranno restaurati
da giovani egiziani che frequenteranno corsi di restauro nella sede dell'Istituto
per il papiro di Siracusa, con la collaborazione del professor Basile».
Le metodologie oggi adoperate in Egitto per restaurare i preziosi e antichissimi
fogli, infatti, sono del tutto superate e spesso prevedono l'impiego di
sostanze altamente dannose per la salute. Sempre dall'Italia viene la
sponsorizzazione per l'acquisto di speciali teche espositive per i preziosi
fogli, con luce riflessa e speciali regolatori di temperatura.
I depositi del museo grecoromano della città egiziana, inoltre,
custodiscono un mosaico raffigurante la fonte Aretusa, che sarà
spedito in Sicilia, restaurato ed esposto per sei mesi al museo di Siracusa,
per poi tornare in Egitto. Dall'Italia arriveranno anche le direttive
per gli accordi per la realizzazione di alcune iniziative legate a un
personaggio comune, Archimede, e che vedranno ancora una volta il coinvolgimento
della città aretusea. «Sono luoghi lontani - dice il console
Crivellaro - ma con una storia comune che in fondo non si è mai
interrotta. Sarebbe bello che anche in Italia nascessero Club di amici
della Biblioteca».
Non è un caso se la lunga passerella di vetro che collega l'università
e la biblioteca prosegue proprio in direzione del Mediterraneo, a pochi
passi da questo spettacolare centro di cultura che vuole essere una finestra
sul mondo.
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Inaugurata
la mostra della Fondazione. A luglio si sposterà ad Amman, a settembre
a Damasco
La Sicilia sotto una tenda berbera le Orestiadi conquistano il Cairo
di
Paola Nicita
IL
CAIRO - Nell'antica villa in riva al Nilo sull'isola di Zamalek il giardino
è occupato da una grande tenda berbera, all'interno vengono proiettate
immagini della costa siciliana. Al primo piano della villa dei primi del
secolo, c'è un'installazione con alcune cuffie intorno a una balaustra
che premettono di ascoltare il canto del venditore beduino di succo di
palme che si rispecchia perfettamente nelle «abbanniate» dei
venditori dei mercati di Palermo.
Il secolare gioco a incastro d'arte e di storia si ricompone nella mostra
"L'Islam in Sicilia, un giardino tra due civiltà" inauguratasi
domenica negli spazi dell'Akhenaton del Cairo con un concerto di Mario
Crespi degli Agricantus e alla presenza tra gli altri dell'ambasciatore
Mario Sica, del sottosegretario alla Cultura Sherit Elshoubashy, di Ludovico
Corrao, presidente della Fondazione Orestiadi, e dell'assessore ai Beni
culturali Fabio Granata. L'esposizione è organizzata dalla Fondazione
Orestiadi di Gibellina, in collaborazione con gli assessorati regionali
ai Beni culturali e alla Cooperazione e il ministero degli Esteri. Sette
le installazioni proposte dagli Stalker, tra cui un grande tappeto volante
che riproduce la Cappella Palatina. "Corrispondenze", a cura
del direttore del Museo delle trame mediterranee di Gibellina Enzo Fiammetta,
mette in relazione le opere storiche con produzioni di giovani designer
siciliani e di quattro artisti egiziani. Dopo Il Cairo, dove rimarrà
fino al 20, la mostra sarà ad Amman a luglio e a Damasco in settembre.
«Per le Orestiadi - annuncia Corrao - proporremo tra agosto e settembre
l'Edipo Re di un giovane regista italiano, un monologo di Licia Maglietta
dal testo di una scrittrice catanese e lo spettacolo di Paolini su Ustica».
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IL
SAHARA E' PIU' VICINO
di
Silvano Riggio
Al
termine di un'effimera "onda blu" giunta dopo decenni di privazioni,
nei rubinetti ritorna la siccità. È vero che la mancanza
d'acqua dipende dalle reti colabrodo, dall'inefficienza degli enti pubblici
e dalle interferenze mafiose; ma è altrettanto vero che l'acqua
scarseggia all'origine e continuerà a mancare. Piove poco e male.
La Sicilia si avvizzisce anno dopo anno. La stessa modesta quantità
di pioggia che prima si distribuiva in oltre sei mesi oggi si concentra
in pochi episodi temporaleschi dalle conseguenze rovinose. All'origine
di ciò è un fenomeno biblico, dal nome sinistro: è
la desertificazione.
Il fenomeno non è nazionale: interessa solo la Sicilia e parte
della Sardegna; in minor misura le altre regioni del Mezzogiorno. Da noi
questa maledizione naturale è ignorata quasi fosse una vergogna.
Qualche tempo fa un alto dirigente dell'Amap dimostrava di non sapere
cosa fossero il Nino e l'effetto serra (viene da chiedersi: ma cosa leggono
questi signori?). Il problema però non è isolato: fa parte
di un guasto planetario, inteso come "global change", cambiamento
climatico mondiale, ed è talmente grosso da avere ispirato la creazione
di un organismo transnazionale, l'Ipcc (International Panel for Climatic
Change), dedicato al suo studio e alla ricerca di possibili soluzioni.
Le cause in parte si conoscono. Grazie alle ricerche promosse dall'Ipcc
la desertificazione della Sicilia era stata prevista già alla fine
degli anni Ottanta. Chissà perché all'Eas, all'Anpa, alla
Protezione civile, alla Regione siciliana, nessuno ne era informato (sorge
di nuovo la domanda: ma cosa leggono i funzionari?). Nei primi anni Novanta
il quadro tracciato dall'osservatorio meteorologico di Reading prevedeva
per il 2000 un aumento delle temperature su tutto il sud Europa ben superiore
al mezzo grado della media mondiale, accompagnato da una drastica diminuzione
delle piogge, che si sarebbero concentrate in periodi sempre più
brevi, proprio come avviene nelle aree desertiche. Il Mediterraneo settentrionale
e l'Europa continentale avrebbero invece ricevuto un surplus di acqua,
ma in pochi uragani di inaudita violenza.
La previsione si avvera da almeno 8 anni e le "anomalie" del
tempo sono quasi la "normalità". Le carte meteo mostrano
la formazione in autunno di un'area ciclonica con epicentro sul mar Ligure
e nel Golfo di Genova, alla quale corrisponde un'area anticiclonica stazionante
sul nord Africa. Lo squilibrio pressorio fra le due aree innesca violente
burrasche con inondazioni in Liguria, in Versilia e in generale su tutto
il centro nord. Il sud e la Sicilia diventano corridoi di transito dei
venti torridi africani (lo scirocco e il libeccio) diretti a Nord a colmare
la depressione ciclonica. I venti sahariani arrostiscono la nostra isola
e a Palermo si arroventano ancor più per l'effetto Föhn (vento
di caduta). Ovviamente allo spirare dei venti caldi scoppia l'incendio
doloso di quei pochi boschi e macchie che erano sopravvissuti alla mancanza
d'acqua.
L'azione dell'uomo peggiora il danno dei mutamenti climatici. La cementificazione
degli alvei fluviali e la rettificazione del corso dei fiumi favorisce
lo straripamento durante le piene ed impedisce la ricarica della falda.
I brevi ma violenti uragani causano inondazioni disastrose seguite dal
disseccamento delle falde. Quasi tutti i corsi d'acqua della Sicilia sono
stati rettificati e cementificati con danni incalcolabili all'ambiente
e all'economia. L'industrializzazione dell'agricoltura è responsabile
di altri danni gravi. Lo scavo eccessivo operato dai trattori favorisce
l'erosione e la perdita di suolo agricolo. L'asportazione del materiale
organico dal suolo e l'abuso dei fertilizzanti inorganici impediscono
l'imbibizione dei terreni profondi. Ne segue l'inaridimento della falda
e la morte della vegetazione arborea. L'espansione delle città
e gli impianti fognari aumentano la salinità delle acque sotterranee.
Se si esaminano le conseguenze che l'inaridimento potrà avere sulla
vivibilità in Sicilia, queste appaiono più gravi nella fascia
occidentale e meridionale dell'isola dove già piove meno che in
Tunisia. L'ulteriore diminuzione di queste medie già così
basse farà precipitare questa parte dell'isola in una situazione
sahariana, peggiorata dall'alta salinità delle acque interne. Nella
parte nord l'espansione delle aree metropolitane accresce già la
richiesta idrica a scapito delle campagne, innescando il conflitto fra
cittadini ed agricoltori che ci colpisce in questi giorni.
Ai nostri ignari politici ed amministratori, pronti a raccomandarsi alla
Madonna, bisogna ricordare che esistono soluzioni parziali al problema,
tecnicamente realizzabili: basta guardare a Israele, nazione guida nel
buon uso dell'ambiente. La più sensata prevede il risparmio dell'acqua
sia attraverso la differenziazione delle reti idriche che attraverso il
riuso delle acque usate. Queste ultime, dopo aver subito un processo di
trattamento, non vanno eliminate in mare, come si fa ora. Tale pratica
provoca l'inquinamento delle acque marine, esaurisce la falda idrica e
sottrae un bene prezioso agli usi collettivi. Le acque usate, sottoposte
ad un trattamento anche sommario, vanno riutilizzate per irrigare parchi
e giardini ed altre zone agricole, si prestano ad usi industriali, per
il lavaggio delle aree urbane e, in ultima istanza, vanno a ricaricare
la falda idrica. Altro grave pericolo è infatti la salificazione
delle acque sotterranee, causata dall'emungimento della falda e della
realizzazione di opere fognarie. La pratica del riuso, prescritta in Israele,
in California e in altre zone subaride dell'Europa meridionale, suscita
scarso interesse nei progettisti locali, e sono occorsi gli sforzi dell'ottima
Silvia Coscenza, per realizzare un impianto pilota di riciclo.
Altra soluzione parziale è l'inseminazione delle nuvole con nuclei
idrofili per stimolare le piogge. Chissà perché, questa
tecnica è osteggiata nella nostra Regione, forse perché
elegante, poco costosa e inadatta al grande business. La costruzione di
ulteriori invasi e di dissalatori delle acque marine è sconsiderata
e disastrosa dal punto di vista economico; ovviamente, essa promette grandi
affari e per questo motivo è ben vista in certi ambienti.
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Arafat
e l'isola perduta
di
Agostino Spataro
La
proposta del neo gruppo parlamentare "Sicilia 2010" d'inviare,
a turno, delegazioni di deputati regionali in Palestina, se effettivamente
attuata, sarebbe un atto emblematico significativo della volontà
di pace dei siciliani e una testimonianza concreta di solidarietà
col popolo palestinese.
In Sicilia esiste una speciale sensibilità verso le vicissitudini
dei popoli arabi e palestinese in particolare che nel passato si è
espressa nei modi più diversi, sempre riconducibili allo spirito
di convivenza pacifica e di cooperazione.
Ai tempi della guerra del Kippur, era il 1973, circolava una battuta (attribuita
ad Achille Occhetto, allora segretario regionale del Pci) che esprimeva,
fra il serio e il faceto, il sentimento dei siciliani: «La Sicilia
è l'unico Stato arabo a non aver dichiarato guerra a Israele».
In quegli
anni, Palermo e la Sicilia divennero centri di un magnifico movimento
pacifista, di accoglienza di migliaia di giovani esiliati o rifugiati
politici provenienti dai vari Paesi mediterranei allora angariati da dittature
fasciste o da regimi militari che costellavano le rive del Mediterraneo.
La Sicilia progressista reagì nell'unico modo possibile, organizzando
la solidarietà e promovendo il dibattito e l'azione politica per
trasformare il Mediterraneo da luogo di sanguinosi conflitti in un mare
di pace e di cooperazione.
Il Pci tentò di organizzare a Palermo una grande Conferenza mediterranea
alla quale furono invitati i leader più prestigiosi dei movimenti
di liberazione del mondo arabo: da Arafat a Boumedienne, da Gheddafi a
Bourghiba. Molti aderirono all'invito, ma purtroppo quella conferenza
venne prima rinviata e poi annullata.
La prima volta che incontrai Yasser Arafat, a Lisbona nel 1977, gli ricordai
la mancata iniziativa e il nostro rammarico di non averlo potuto ospitare
a Palermo. Arafat rispose che il rammarico più grande era il suo
poiché desiderava tantissimo visitare la «Siqilia»,
quest'Isola bellissima che «ogni arabo porta nel cuore».
In effetti, nell'immaginario collettivo degli arabi, la Sicilia (almeno
quella del periodo arabonormanno) è rappresentata come una sorta
di paradiso in terra, come una metà agognata, perciò ancora
oggi tutti la rimpiangono (insieme all'Andalusia) come un territorio ambito
che l'Islam ha perduto. Con il leader palestinese ci siamo visti in altre
occasioni e sempre ci ha chiesto della «Siqilia». Come quando
l'andammo a trovare a Beirut, nel suo bunker anche allora minacciato dalle
truppe israeliane del generale Ariel Sharon il quale, insieme con le falangi
dei cristianomaroniti libanesi, attuò mesi dopo uno fra i più
orrendi massacri di vecchi, donne e bambini palestinesi rinchiusi nei
campi profughi di Sabra e Chatila. O in occasioni di conferenze internazionali:
a Damasco, Baghdad, Tunisi, Tripoli e a Roma nell'82 dove, oltre a incontrare
il presidente Pertini, parlò nell'Aula della Camera ovvero nel
primo Parlamento occidentale nel quale si era formata una larga maggioranza
di parlamentari (circa 500, da Berlinguer a Craxi a Zaccagnini) che richiedeva
al governo il riconoscimento politico dell'Olp e il diritto per i palestinesi
ad avere uno Stato.
L'ultima volta, a Roma nel 1998, si ricordò della «Siqilia»
e gli promettemmo che una delegazione siciliana sarebbe andata a Gerusalemme
est, il giorno dell'imminente (allora così si pensava) proclamazione
dello Stato indipendente di Palestina.
Oggi Yasser Arafat, leader di un popolo oppresso ma invitto, è
prigioniero dell'esercito più potente del Medio Oriente. Sharon
continua ad accanirsi contro un leader privato di acqua e luce, nell'illusione
di umiliarlo e costringerlo alla resa. Evidentemente conosce poco il personaggio
e sta sottovalutando la capacità di resistenza di Arafat e del
popolo palestinese.
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Numero
16
giugno 2002
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