(PUNTI
DI VISTA)
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- L'OCCIDENTE,
UN MODELLO ?
di
Abbas Beydoun
L'ULTIMA
CORSA
(di
Melhem Karam )
Dalle
alture della Cecenia alle spiagge di Gaza, il progetto fondamentalista
universale oscilla fra la logica del raffreddamento e quella del riscaldamento
delle tensioni. Non è più un segreto che il movimento fondamentalista
in tutti i suoi aspetti locali e regionali, a parte le sue cangianti coloriture
ideologiche, ha un progetto politico coerente.
Nonostante le sconfitte subite in Egitto, Algeria, Afghanistan, Yemen,
Libano del nord e in Sudan, non pensa di avere perduto la guerra. Esso
considera la sconfitta come un accidenti temporaneo, in una prospettiva
storica di lunga portata, legata allo Stato del Califfato la cui ora non
tarderà a suonare più o meno a breve scadenza.
Secondo la visione dei suoi capi, il "nemico" è un conglomerato
di regimi in carica che non è facile annientare. Tuttavia, il progetto
ha permesso ai militanti di scuotere il prestigio di questi regimi e di
colpire parte del loro orgoglio, dopo l'11 settembre. Ciò continuerà
in futuro, alla luce delle informazioni rivelate, recentemente, dal vice-presidente
americano, Dick Cheney, in base alle quali è stata decretata la
mobilitazione "Delta" in certe posizioni sensibili americane.
La guerra che oppone l'amministrazione USA alla rete di Al-Qaeda può
interessarci (il Libano n.d.r.) anche in maniera diretta per ciò
che succede in Palestina. Dopo la visita che il principe ereditario Abdallah
Ben Abdel-Aziz ha compiuto a Washington e lo svolgimento a Beirut del
Comitato speciale di pace arabo, i fondamentalisti palestinesi sono entrati
in fibrillazione.
Hanno replicato in profondità nelle città israeliane agli
sforzi arabi di raffreddamento. Secondo fonti diplomatiche, si sono avuti
contatti con "Hamas" e "Jihad", miranti a dissuaderle
d'intraprendere operazioni-suicide in questa fase, per preservare l'operazione
diplomatica.
Tuttavia, la reazione a questa condotta è stata nulla. I due movimenti
temono di perdere le loro caratteristiche e di rinnegare la loro ragion
d'essere, nel caso in cui dovessero prestarsi a un'azione politica nella
quale loro non hanno fiducia e da cui non si attendono alcun risultato,
eccetto la protezione della sicurezza israeliana e degli interessi regionali
americani.
La dialettica dell'escalation non si fermerà, benché i primi
a perdere siano Yasser Arafat e la sua Autorità che hanno ingaggiato
un confronto più difficile di quello avvenuto fra il 1970 e il
1982.
In questa drammatica confusione, sono aperte tutte le possibilità;
la minima è quella "di finire" il presidente Arafat per
mezzo delle riforme e della lotta alla corruzione. Egli si trasformerà,
allora, in un semplice leader storico di cui s'ignorerà il parere
e al quale nessuno chiederà consigli
"Hamas" e "Jihad" potranno non divulgare i loro obiettivi
segreti e le loro carte nascoste, ma i fondamentalisti di Palestina hanno
un vecchio conto da regolare con Arafat e attendono il momento propizio
per liquidarlo. D'altra parte, l'alleanza fondamentalista internazionale
pensa che la Palestina è la scena della sua ultima battaglia, dopo
le sconfitte subite in altri scenari.
Per questo le operazioni suicide sono proseguite con un tempismo studiato,
tranciante, con gli sforzi politici dedicati dal summit di Beirut, dall'iniziativa
saudita e le intese di Charme l-Cheik
Da qui, le previsioni della diplomazia francese dopo l'operazione di Natania,
dicono che Yasser Arafat si troverà in una posizione difficile
e delicata su tre piani: palestinese, israeliano e americano...Se dovesse
persistere il conflitto fra le due strategie all'interno della scena araba,
si perpetuerà la storia delle sconfitte arabe dopo il 1918, 1948,
1967 e 1991. Il pericolo israeliano deve unificare il popolo palestinese,
al di là della diversità dei punti di vista. La congiuntura
internazionale non è affatto propizia al confronto fra quanti sono
favorevoli alla soluzione politica e quelli che optano per la soluzione
del suicidio, poiché apre la via verso l'ignoto che sfocerà
in prove più dolorose di quelle del 1948. I suicidi non impediranno
a Sharon e a Netanyahu di realizzare il loro sogno biblico, quello di
costringere i palestinesi all'esodo o di sterminarli...
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LIBIA:
progressi nell'emancipazione della donna
Pubblichiamo
alcuni brani di un articolo apparso in "Jeune Afrique- L'Intelligent"
del 14/3/02 nel quale si evidenziano taluni importanti passi avanti (dalla
poligamia ai diritti sociali e politici) nella difficile battaglia per
l'emancipazione femminile in Libia, all'interno di un contesto ancora
segnato da pratiche discriminatici.
"In
Libia, bisogna essere folli per prendere una seconda moglie". Questa
opinione è largamente condivisa fra i libici, dopo l'approvazione
(18 anni addietro) della legge n. 10. Questa legge, molto criticata dagli
uomini, fa dell'accordo della prima moglie una condizione obbligatoria
per un secondo matrimonio in questo Paese tradizionalmente attaccato,
sul piano sociale, ai costumi arabo-musulmani.
Secondo questa legge, l'accordo può essere sollecitato soltanto
in taluni casi strettamente definiti, in particolare in caso di sterilità
accertata dal medico o di una malattia incurabile della prima sposa che
dovrà essere attestata da tre medici.
In caso di divorzio su istanza del marito, il suo patrimonio (a cominciare
dalla casa e dalla gran parte del suo salario) vanno automaticamente alla
donna ripudiata.
L'uomo libico, come in tutte le società arabo-musulmane, ha interpretato
i precetti del Corano e le leggi celesti nell'esclusivo interesse dei
maschi, può ripudiare la moglie, batterla senza timore di essere
perseguito dai giudici. Oggi non è più così
Con l'avvento del colonnello Gheddafi, che ha attuato la rivoluzione nel
1969 contro l'ingiustizia in tutte le sue forme, sociali, politiche ed
economiche, la donna libica ha cominciato a liberarsi del peso delle tradizioni
assurde, contrarie alla religione islamica.
In effetti, il leader libico si è impegnato in una dura lotta,
durata due decenni, per distruggere i vincoli e gli obblighi sociali che
soffocano la donna libica, lanciandosi in una vera battaglia per realizzare
l'emancipazione della donna senza, tuttavia, mettere in discussione le
raccomandazioni della charia islamica...
Nel corso di una conferenza organizzata a Tripoli dall'associazione "Aicha"in
occasione della festa della donna, sono stati esaminati gli ostacoli che
ancora limitano la libertà della donna in Libia, nonostante le
differenti opzioni del dirigente libico per la sua emancipazione
La signora Mofida, responsabile del Comitato giuridico dell'Ong libica,
ha affrontato, fra l'altro, le questioni inerenti lo status della donna
nei posti di lavoro, rilevando che la legge libica ha accordato gli stessi
diritti agli uomini e alle donne, tuttavia dovrà prendere più
in considerazione la natura fisica della donna e accordarle altri benefici
quali l'aumento dei congedi per allattamento da 30 a 45 e anche a 60 giorni.
La conferenza si è anche interessata del codice penale libico che
opera una discriminazione fra uomo e donna. Secondo l'avvocato Aicha Abou
Jomaa, le donne libiche sono chiamate ad impegnarsi per emendare la parte
del codice penale libico che considera legittima difesa la soppressione
della moglie sorpresa in intimità con un altro uomo, mentre se
nella stessa circostanza è la moglie ad uccidere il marito non
può beneficiare delle stesse attenuanti...
In conclusione, si può affermare che la donna libica, grazie all'azione
del colonnello Gheddafi, ha potuto realizzare importanti progressi nella
sua emancipazione; comparata con la maggioranza delle sue sorelle dei
paesi vicini, la via resta ancora lunga prima che essa possa guadagnare
la sua libertà totale restando fedele ai principi della sua religione
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L'OCCIDENTE,
UN MODELLO ?
Pubblichiamo
ampi stralci di un interessante scritto del poeta libanese Abbas Beydoun,
apparso sul n. 42 di "Qantara", rivista de l'Institut du Monde
Arabe, e relativo all'impegnativo dibattito sulle civiltà e sui
"modelli" e, in generale, alle relazioni fra Occidente e Oriente,
così come concepite e vissute dagli intellettuali arabi.
Gli intellettuali
arabi usano raramente l'espressione "Oriente - Occidente". Oriente
è una vecchia espressione in uso nella storia del cristianesimo,
per i musulmani, invece, è la qualificazione che l'occidentale
attribuisce a tutto ciò che è all'esterno della sua area.
Quanto agli Arabi, l'Occidente esiste per loro prima di ogni paese d'Oriente
qualunque esso sia. Fra l'India e i paesi arabi per esempio, non c'è
nulla di comparabile con quanto esiste fra questi ultimi e l'Occidente
francese o inglese o spagnolo. Io credo che questo sia anche il caso dell'India.
Poiché l'Occidente è il secondo paese o la seconda patria
di ogni paese dell'altro mondo, che è eterogeneo e i cui membri
hanno in comune il fatto d'avere questo nome occidentale "l'Oriente".
Da solo l'Islam non può qualificare i paesi i cui cittadini professano
questa credenza. Certo questa è la loro religione, ma non la loro
nazionalità, ed essa non determina la totalità della loro
cultura. Esiste un enorme scarto fra i musulmani del Medio Oriente e quelli
dell'Asia centrale. Fra l'Egitto e l'Indonesia o fra la Repubblica islamica
d'Iran e gli Arabi ci sono poche cose in comune sul piano culturale, e
quel poco che esiste è del tutto trascurabile rispetto a ciò
che lega l'Iran all'Occidente o gli Arabi all'Occidente.
L'intellettuale arabo non crede di far parte dell'Oriente e non si sente
interamente determinato dall'Islam. Ad ogni modo, egli non crede che il
mondo è diviso in due blocchi e non si riconosce in un solo mondo.
Egli ha perduto il suo (mondo n.d.r.) fin dagli inizi della conquista
militare, economica e culturale dell'Occidente; o almeno ha capito di
non possedere un mondo suo.
D'altronde, sarà onesto riconoscere che la conquista occidentale
non ha incontrato una resistenza significativa, in particolare sul piano
culturale.
Gli Arabi cambiarono le loro architetture, i loro mobili, i loro vestiti,
il loro modo di vita a una rimarchevole velocità. In realtà,
la conquista ha incontrato strutture disaggregate che offrivano l'illusione
di formare un mondo coerente, ovvero il mondo intero
I movimenti nazionalisti, che sono i figli illegittimi della cultura occidentalizzata,
sono andati troppo avanti nell'impresa (de sape????) dell'Islam.
La bell'architettura tradizionale fu distrutta in favore di un'architettura
miserabile, gli antichi modi di vita furono cambiati, le antiche arti
furono disprezzate, la sinfonia e il balletto costituirono l'obiettivo
dei musicisti, mentre si aspira a ricreare il romanzo balzachiano, la
poesia surrealista e la pittura impressionista.
Ormai, l'Occidente è il modello, anche quando gli si vuole resistere.
In cambio, l'Occidente sosterrà le monarchie e le autocrazie contro
i movimenti democratici...
La situazione diviene bizzarra nei paesi arabi: movimenti nazionalisti
che distruggono il patrimonio, un' occidentalizzazione culturale che va
di pari passo con la lotta contro l'Occidente, gruppi militari o religiosi
che pretendono d'identificarsi con lo Stato, movimenti islamisti che rifiutano
l'Occidente culturalmente e vi si allineano politicamente, democrazie
tribali e comunitarie, modernizzazioni apparenti che si accavallano in
un disastro economico e culturale, capitalismi di Stato che finiscono
per dividersi lo Stato, ecc.
Gli intellettuali arabi non pensano che esistono due mondi e che il loro
sia il mondo orientale, islamico o arabo. L'Oriente attuale è un'invenzione
occidentale. Non esiste che un solo mondo e un solo regime, e ciò
che noi chiamiamo l'Oriente è il volto fallace o il volto sgradevole
del regime occidentale. C'è un Oriente coloniale o dei regimi coloniali
in Oriente. Queste sono costruzioni estranee, un misto di vecchie strutture
(deliquescentes???) e di strutture nuove male utilizzate, che si chiamano:
Stato, società, cultura, regime politico, ma che, in realtà,
sono oggetti difficili da adottare e che restano estranei alla gente
In queste società dette "orientali", non c'è che
l'ossessione occidentale. L'Occidente fabbrica la totalità della
vita (haissable???) dell'Oriente, la totalità del suo mondo. L'Occidente
dispone di realtà vere e menzognere, di modelli errati e giusti,
di simboli, di norme. Nulla esiste o può esistere in quest' Oriente
senza il sostegno dell'Occidente. La sua vita è un'eco, un'imitazione,
in altri termini, la sua esistenza deriva dall'altro e non ha per alternativa
che la rivolta o l'obbedienza, il desiderio di morte, o ancora la rivolta
associata al desiderio di morte simbolica o sanguinosa.
E' sorprendente vedere condannare oggi l'islam storico apparso 14 secoli
fa, o affermare che il seme della violenza e del suicidio si trova in
questa religione.
Esiste, ben inteso, una storia violenta nell'Islam, ma essa non è
un'eccezione rispetto alla storia degli imperi dell'antichità.
Tuttavia, questo Islam si è (effondré ???) con la conquista
coloniale e quello che noi vediamo oggi è una violenza dell'Islam
dopo la conquista. La violenza di un islam coloniale, figlio della cultura
coloniale e della stessa violenza coloniale.
L'imperialismo ha imposto ai paesi dominati una violenza inedita che è
giunta alla deportazione delle popolazioni, agli attentati, alle punizioni
collettive, ecc
La violenza imperialista e la cultura colonialista hanno costituito l'ambiente
all'interno del quale la violenza islamista moderna si è sviluppata.
Ben inteso, l'Oriente porta ugualmente le responsabilità di ciò
che accade. Esso non mostra una forte volontà e trova l'alibi nella
sua debolezza, ma questo pretesto rischia di trasformarsi in nevrosi se
nessuno dovesse venirgli in aiuto.
D'altra parte, l'idea dell'americano capace di uccidere dall'alto del
cielo senza rischiare di morire è l'idea cattiva che noi ci facciamo
di Dio, è anche un'idea folle. E' così che si confrontano
il vecchio principio imperialista e l'antico slogan divino. La civiltà
americana di fronte alla missione dei talebani! Ecco due miti e due follie
in un mondo al quale non resta più di fare il suo (apprentissage???)
al cinema.
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Numero
16
giugno 2002
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