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(PUNTI DI VISTA)

  1. L'ULTIMA CORSA
    di Melhem Karam
  2. L'OCCIDENTE, UN MODELLO ?
    di Abbas Beydoun

L'ULTIMA CORSA
(di Melhem Karam )

Dalle alture della Cecenia alle spiagge di Gaza, il progetto fondamentalista universale oscilla fra la logica del raffreddamento e quella del riscaldamento delle tensioni. Non è più un segreto che il movimento fondamentalista in tutti i suoi aspetti locali e regionali, a parte le sue cangianti coloriture ideologiche, ha un progetto politico coerente.
Nonostante le sconfitte subite in Egitto, Algeria, Afghanistan, Yemen, Libano del nord e in Sudan, non pensa di avere perduto la guerra. Esso considera la sconfitta come un accidenti temporaneo, in una prospettiva storica di lunga portata, legata allo Stato del Califfato la cui ora non tarderà a suonare più o meno a breve scadenza.
Secondo la visione dei suoi capi, il "nemico" è un conglomerato di regimi in carica che non è facile annientare. Tuttavia, il progetto ha permesso ai militanti di scuotere il prestigio di questi regimi e di colpire parte del loro orgoglio, dopo l'11 settembre. Ciò continuerà in futuro, alla luce delle informazioni rivelate, recentemente, dal vice-presidente americano, Dick Cheney, in base alle quali è stata decretata la mobilitazione "Delta" in certe posizioni sensibili americane.
La guerra che oppone l'amministrazione USA alla rete di Al-Qaeda può interessarci (il Libano n.d.r.) anche in maniera diretta per ciò che succede in Palestina. Dopo la visita che il principe ereditario Abdallah Ben Abdel-Aziz ha compiuto a Washington e lo svolgimento a Beirut del Comitato speciale di pace arabo, i fondamentalisti palestinesi sono entrati in fibrillazione.
Hanno replicato in profondità nelle città israeliane agli sforzi arabi di raffreddamento. Secondo fonti diplomatiche, si sono avuti contatti con "Hamas" e "Jihad", miranti a dissuaderle d'intraprendere operazioni-suicide in questa fase, per preservare l'operazione diplomatica.
Tuttavia, la reazione a questa condotta è stata nulla. I due movimenti temono di perdere le loro caratteristiche e di rinnegare la loro ragion d'essere, nel caso in cui dovessero prestarsi a un'azione politica nella quale loro non hanno fiducia e da cui non si attendono alcun risultato, eccetto la protezione della sicurezza israeliana e degli interessi regionali americani.
La dialettica dell'escalation non si fermerà, benché i primi a perdere siano Yasser Arafat e la sua Autorità che hanno ingaggiato un confronto più difficile di quello avvenuto fra il 1970 e il 1982.
In questa drammatica confusione, sono aperte tutte le possibilità; la minima è quella "di finire" il presidente Arafat per mezzo delle riforme e della lotta alla corruzione. Egli si trasformerà, allora, in un semplice leader storico di cui s'ignorerà il parere e al quale nessuno chiederà consigli…
"Hamas" e "Jihad" potranno non divulgare i loro obiettivi segreti e le loro carte nascoste, ma i fondamentalisti di Palestina hanno un vecchio conto da regolare con Arafat e attendono il momento propizio per liquidarlo. D'altra parte, l'alleanza fondamentalista internazionale pensa che la Palestina è la scena della sua ultima battaglia, dopo le sconfitte subite in altri scenari.
Per questo le operazioni suicide sono proseguite con un tempismo studiato, tranciante, con gli sforzi politici dedicati dal summit di Beirut, dall'iniziativa saudita e le intese di Charme l-Cheik…
Da qui, le previsioni della diplomazia francese dopo l'operazione di Natania, dicono che Yasser Arafat si troverà in una posizione difficile e delicata su tre piani: palestinese, israeliano e americano...Se dovesse persistere il conflitto fra le due strategie all'interno della scena araba, si perpetuerà la storia delle sconfitte arabe dopo il 1918, 1948, 1967 e 1991. Il pericolo israeliano deve unificare il popolo palestinese, al di là della diversità dei punti di vista. La congiuntura internazionale non è affatto propizia al confronto fra quanti sono favorevoli alla soluzione politica e quelli che optano per la soluzione del suicidio, poiché apre la via verso l'ignoto che sfocerà in prove più dolorose di quelle del 1948. I suicidi non impediranno a Sharon e a Netanyahu di realizzare il loro sogno biblico, quello di costringere i palestinesi all'esodo o di sterminarli...

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LIBIA: progressi nell'emancipazione della donna

Pubblichiamo alcuni brani di un articolo apparso in "Jeune Afrique- L'Intelligent" del 14/3/02 nel quale si evidenziano taluni importanti passi avanti (dalla poligamia ai diritti sociali e politici) nella difficile battaglia per l'emancipazione femminile in Libia, all'interno di un contesto ancora segnato da pratiche discriminatici.

"In Libia, bisogna essere folli per prendere una seconda moglie". Questa opinione è largamente condivisa fra i libici, dopo l'approvazione (18 anni addietro) della legge n. 10. Questa legge, molto criticata dagli uomini, fa dell'accordo della prima moglie una condizione obbligatoria per un secondo matrimonio in questo Paese tradizionalmente attaccato, sul piano sociale, ai costumi arabo-musulmani.
Secondo questa legge, l'accordo può essere sollecitato soltanto in taluni casi strettamente definiti, in particolare in caso di sterilità accertata dal medico o di una malattia incurabile della prima sposa che dovrà essere attestata da tre medici.
In caso di divorzio su istanza del marito, il suo patrimonio (a cominciare dalla casa e dalla gran parte del suo salario) vanno automaticamente alla donna ripudiata.
L'uomo libico, come in tutte le società arabo-musulmane, ha interpretato i precetti del Corano e le leggi celesti nell'esclusivo interesse dei maschi, può ripudiare la moglie, batterla senza timore di essere perseguito dai giudici. Oggi non è più così…
Con l'avvento del colonnello Gheddafi, che ha attuato la rivoluzione nel 1969 contro l'ingiustizia in tutte le sue forme, sociali, politiche ed economiche, la donna libica ha cominciato a liberarsi del peso delle tradizioni assurde, contrarie alla religione islamica.
In effetti, il leader libico si è impegnato in una dura lotta, durata due decenni, per distruggere i vincoli e gli obblighi sociali che soffocano la donna libica, lanciandosi in una vera battaglia per realizzare l'emancipazione della donna senza, tuttavia, mettere in discussione le raccomandazioni della charia islamica...
Nel corso di una conferenza organizzata a Tripoli dall'associazione "Aicha"in occasione della festa della donna, sono stati esaminati gli ostacoli che ancora limitano la libertà della donna in Libia, nonostante le differenti opzioni del dirigente libico per la sua emancipazione…
La signora Mofida, responsabile del Comitato giuridico dell'Ong libica, ha affrontato, fra l'altro, le questioni inerenti lo status della donna nei posti di lavoro, rilevando che la legge libica ha accordato gli stessi diritti agli uomini e alle donne, tuttavia dovrà prendere più in considerazione la natura fisica della donna e accordarle altri benefici quali l'aumento dei congedi per allattamento da 30 a 45 e anche a 60 giorni.
La conferenza si è anche interessata del codice penale libico che opera una discriminazione fra uomo e donna. Secondo l'avvocato Aicha Abou Jomaa, le donne libiche sono chiamate ad impegnarsi per emendare la parte del codice penale libico che considera legittima difesa la soppressione della moglie sorpresa in intimità con un altro uomo, mentre se nella stessa circostanza è la moglie ad uccidere il marito non può beneficiare delle stesse attenuanti...
In conclusione, si può affermare che la donna libica, grazie all'azione del colonnello Gheddafi, ha potuto realizzare importanti progressi nella sua emancipazione; comparata con la maggioranza delle sue sorelle dei paesi vicini, la via resta ancora lunga prima che essa possa guadagnare la sua libertà totale restando fedele ai principi della sua religione…

 

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L'OCCIDENTE, UN MODELLO ?

Pubblichiamo ampi stralci di un interessante scritto del poeta libanese Abbas Beydoun, apparso sul n. 42 di "Qantara", rivista de l'Institut du Monde Arabe, e relativo all'impegnativo dibattito sulle civiltà e sui "modelli" e, in generale, alle relazioni fra Occidente e Oriente, così come concepite e vissute dagli intellettuali arabi.

Gli intellettuali arabi usano raramente l'espressione "Oriente - Occidente". Oriente è una vecchia espressione in uso nella storia del cristianesimo, per i musulmani, invece, è la qualificazione che l'occidentale attribuisce a tutto ciò che è all'esterno della sua area.
Quanto agli Arabi, l'Occidente esiste per loro prima di ogni paese d'Oriente qualunque esso sia. Fra l'India e i paesi arabi per esempio, non c'è nulla di comparabile con quanto esiste fra questi ultimi e l'Occidente francese o inglese o spagnolo. Io credo che questo sia anche il caso dell'India. Poiché l'Occidente è il secondo paese o la seconda patria di ogni paese dell'altro mondo, che è eterogeneo e i cui membri hanno in comune il fatto d'avere questo nome occidentale "l'Oriente".
Da solo l'Islam non può qualificare i paesi i cui cittadini professano questa credenza. Certo questa è la loro religione, ma non la loro nazionalità, ed essa non determina la totalità della loro cultura. Esiste un enorme scarto fra i musulmani del Medio Oriente e quelli dell'Asia centrale. Fra l'Egitto e l'Indonesia o fra la Repubblica islamica d'Iran e gli Arabi ci sono poche cose in comune sul piano culturale, e quel poco che esiste è del tutto trascurabile rispetto a ciò che lega l'Iran all'Occidente o gli Arabi all'Occidente.
L'intellettuale arabo non crede di far parte dell'Oriente e non si sente interamente determinato dall'Islam. Ad ogni modo, egli non crede che il mondo è diviso in due blocchi e non si riconosce in un solo mondo. Egli ha perduto il suo (mondo n.d.r.) fin dagli inizi della conquista militare, economica e culturale dell'Occidente; o almeno ha capito di non possedere un mondo suo.
D'altronde, sarà onesto riconoscere che la conquista occidentale non ha incontrato una resistenza significativa, in particolare sul piano culturale.
Gli Arabi cambiarono le loro architetture, i loro mobili, i loro vestiti, il loro modo di vita a una rimarchevole velocità. In realtà, la conquista ha incontrato strutture disaggregate che offrivano l'illusione di formare un mondo coerente, ovvero il mondo intero…
I movimenti nazionalisti, che sono i figli illegittimi della cultura occidentalizzata, sono andati troppo avanti nell'impresa (de sape????) dell'Islam.
La bell'architettura tradizionale fu distrutta in favore di un'architettura miserabile, gli antichi modi di vita furono cambiati, le antiche arti furono disprezzate, la sinfonia e il balletto costituirono l'obiettivo dei musicisti, mentre si aspira a ricreare il romanzo balzachiano, la poesia surrealista e la pittura impressionista.
Ormai, l'Occidente è il modello, anche quando gli si vuole resistere. In cambio, l'Occidente sosterrà le monarchie e le autocrazie contro i movimenti democratici...
La situazione diviene bizzarra nei paesi arabi: movimenti nazionalisti che distruggono il patrimonio, un' occidentalizzazione culturale che va di pari passo con la lotta contro l'Occidente, gruppi militari o religiosi che pretendono d'identificarsi con lo Stato, movimenti islamisti che rifiutano l'Occidente culturalmente e vi si allineano politicamente, democrazie tribali e comunitarie, modernizzazioni apparenti che si accavallano in un disastro economico e culturale, capitalismi di Stato che finiscono per dividersi lo Stato, ecc.
Gli intellettuali arabi non pensano che esistono due mondi e che il loro sia il mondo orientale, islamico o arabo. L'Oriente attuale è un'invenzione occidentale. Non esiste che un solo mondo e un solo regime, e ciò che noi chiamiamo l'Oriente è il volto fallace o il volto sgradevole del regime occidentale. C'è un Oriente coloniale o dei regimi coloniali in Oriente. Queste sono costruzioni estranee, un misto di vecchie strutture (deliquescentes???) e di strutture nuove male utilizzate, che si chiamano: Stato, società, cultura, regime politico, ma che, in realtà, sono oggetti difficili da adottare e che restano estranei alla gente…
In queste società dette "orientali", non c'è che l'ossessione occidentale. L'Occidente fabbrica la totalità della vita (haissable???) dell'Oriente, la totalità del suo mondo. L'Occidente dispone di realtà vere e menzognere, di modelli errati e giusti, di simboli, di norme. Nulla esiste o può esistere in quest' Oriente senza il sostegno dell'Occidente. La sua vita è un'eco, un'imitazione, in altri termini, la sua esistenza deriva dall'altro e non ha per alternativa che la rivolta o l'obbedienza, il desiderio di morte, o ancora la rivolta associata al desiderio di morte simbolica o sanguinosa.
E' sorprendente vedere condannare oggi l'islam storico apparso 14 secoli fa, o affermare che il seme della violenza e del suicidio si trova in questa religione.
Esiste, ben inteso, una storia violenta nell'Islam, ma essa non è un'eccezione rispetto alla storia degli imperi dell'antichità.
Tuttavia, questo Islam si è (effondré ???) con la conquista coloniale e quello che noi vediamo oggi è una violenza dell'Islam dopo la conquista. La violenza di un islam coloniale, figlio della cultura coloniale e della stessa violenza coloniale.
L'imperialismo ha imposto ai paesi dominati una violenza inedita che è giunta alla deportazione delle popolazioni, agli attentati, alle punizioni collettive, ecc…
La violenza imperialista e la cultura colonialista hanno costituito l'ambiente all'interno del quale la violenza islamista moderna si è sviluppata.
Ben inteso, l'Oriente porta ugualmente le responsabilità di ciò che accade. Esso non mostra una forte volontà e trova l'alibi nella sua debolezza, ma questo pretesto rischia di trasformarsi in nevrosi se nessuno dovesse venirgli in aiuto.
D'altra parte, l'idea dell'americano capace di uccidere dall'alto del cielo senza rischiare di morire è l'idea cattiva che noi ci facciamo di Dio, è anche un'idea folle. E' così che si confrontano il vecchio principio imperialista e l'antico slogan divino. La civiltà americana di fronte alla missione dei talebani! Ecco due miti e due follie in un mondo al quale non resta più di fare il suo (apprentissage???) al cinema.

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Numero 16
giugno 2002










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