Intervista al segretario del CC del Partito
Comunista Iracheno
L’IRAQ FRA OCCUPAZIONE
MILITARE
E LOTTA PER LA DEMOCRAZIA
Qualcuno
ricorderà le fugaci immagini delle grandi bandiere rosse agitate
dai militanti del Partito Comunista Iracheno nel giorno dell’entrata
a Bagdad delle truppe americane. A molti apparvero una bizzarria in
contrasto con la loro tradizione "antimperialista". Invece,
come abbiamo scritto più volte noi e come si potrà leggere
in questa intervista, i comunisti iracheni avevano tanti buoni motivi
e legittimi diritti per festeggiare la caduta del regime tirannico
di Saddam Hussein. Diritti che solo pochi possono vantare, all’interno
e all’esterno dell’Iraq.
In questa fase difficile e caotica della situazione dell’Iraq
occupato e nel vivo del dibattito sulle sue prospettive, in corso
anche in Italia, riteniamo sia utile far conoscere ai nostri lettori
il punto di vista di un esponente importante della vita politica nazionale
irachena: Hamid Majid Moussa, segretario del comitato centrale del
Partito Comunista Iracheno, uno dei 25 membri del Consiglio transitorio
di governo, istituito dopo l’occupazione militare del Paese
petrolifero da parte della coalizione Usa e Gran Bretagna.
In questa intervista che pubblichiamo anche come contributo per arricchire
il quadro informativo, Hamid Majid Moussa spiega la delicata posizione
dei comunisti iracheni nel contesto dei movimenti popolari per la
democrazia e dell’azione del Consiglio di transizione. Il testo
è stato ripreso dal numero di febbraio 2004 del mensile francese
“France-Pays Arabes”, diretto da Lucien Bitterlin, che
ringraziamo per la gentile concessione.
Domanda: Qual è oggi l’influenza del Partito
Comunista Iracheno (PCI) in Iraq? Pensate che gli iracheni siano attratti
dal comunismo?
Risposta: Il PCI è il più vecchio partito politico iracheno.
Il partito Baas è stato fondato negli anni ’50 e il PCI
lo ha aiutato a costituirsi… Dal 31 marzo 1934, il PCI non ha
mai cessato le sue attività, svoltesi sia alla luce del giorno
sia nella clandestinità.
I comunisti iracheni sono stati vittime del
regime di Saddam Hussein?
Noi abbiamo molto sofferto, più degli altri partiti politici.
Abbiamo avuto migliaia di vittime e di compagni arrestati. A causa
del nostro passaggio all’opposizione il regime di Saddam Hussein
ha costretto migliaia d’iracheni a fuggire all’estero.
Ogni giorno, continuiamo a pubblicare la lista dei nostri martiri.
Ora, abbiamo le prove della morte dei nostri compagni scomparsi.
Cosa avete pensato dopo tante sofferenze,
allorché gli americani sono sbarcati in Iraq, hanno occupato
il vostro Paese, e hanno fatto prigioniero Saddam Hussein?
In quanto Partito comunista iracheno siamo sempre stati contro la
guerra. Eravamo contrari all’idea di rovesciare Saddam Hussein
con una guerra. Proponevamo il suo rovesciamento dall’interno,
mediante l’azione delle forze popolari, con l’aiuto di
altri paesi, ma nella legalità internazionale, giacché
sapevamo che alla guerra sarebbe seguita l’occupazione e questa
non porterà alla democrazia.
Tuttavia, la guerra c’è stata. Ora noi siamo contro l’occupazione
della coalizione americano-britannica.
Vogliamo ritrovare la nostra indipendenza e la nostra sovranità.
Per questi obiettivi conduciamo una lotta popolare, patriottica e
pacifica.
Attraverso la pressione popolare vogliamo far cessare l’occupazione,
anche se abbiamo accettato di partecipare al Consiglio transitorio
di governo.
Lei è il rappresentante comunista
in questo Consiglio. Vi sono altri comunisti?
Io sono il solo rappresentante comunista. In Iraq non vi sono altre
formazioni comuniste. L’unica è il PCI. Ogni partito
dispone di un solo rappresentante nel Consiglio.
V’intendete bene con gli altri membri
del Consiglio, vi sono delle divergenze fondamentali fra i diversi
partiti?
Far parte di questo Consiglio non vuol dire essere d’accordo
su tutto. Ci sforziamo di trovare un compromesso minimo sulle questioni
più importanti…
Lei
dice che il PCI combatte una lotta pacifica per mettere fine all’occupazione.
Ma c’è una resistenza armata contro gli occupanti. Vi
sono attentati, atti di violenza, vittime che non sono militari americani
o britannici, ma anche civili iracheni o membri delle organizzazioni
umanitarie internazionali. Come valutate questa situazione?
Noi pensiamo che coloro i quali uccidono i figli del popolo
iracheno non fanno la resistenza. Chi sabota gli interessi del popolo
iracheno, chi vuole la restaurazione del regime iracheno non è
un resistente. Quelli che vogliono portare l’Iraq ai tempi del
medio evo non sono i resistenti, sono i fondamentalisti di Al Qaeda.
Quelli che uccidono degli innocenti rendono un servizio agli americani.
Poiché non fanno la guerra agli americani, ma offrono loro
il pretesto di un paese in preda all’anarchia, nel quale bisogna
restare per instaurare l’ordine. E’ per questo che gli
americani non attaccano questa gente…”
Forse non li conoscono…
Sanno con chi hanno a che fare. Sono noti gli autori dei massacri
più spettacolari. Dove sono quelli che inviavano in Siria vetture-
trappola? Perché i servizi americani non l’interrogano?
Vuol dire gli islamisti?
Esiste un’alleanza fra i partigiani di Saddam Hussein, che sono
armati e dispongono di mezzi finanziari, e gli islamisti.
Lei pensa che Saddam Hussein comandasse le
operazioni contro gli americani o contro quelli che cooperano con
loro?
Lui non faceva una resistenza organizzata. Invece, coloro
che hanno profittato dei vantaggi del regime di Saddam Hussein hanno
il denaro e le armi.
Ci potranno essere candidati baasisti alle
prossime elezioni? Secondo lei, vi sono baasisti che hanno servito
il loro paese, che non erano fanatici del regime e che possono giocare
un ruolo positivo nel futuro dell’Iraq?
Noi facciamo una distinzione fra baasisti e baasisti. Non
sono tutti come i loro dirigenti. Vi sono dunque dei buoni cittadini
baasisti. Solo una minoranza ha commesso crimini e ha aiutato Saddam
Hussein a imporre la sua dittatura.
L’insieme del popolo iracheno oggi
chiede la partenza delle forze americano-britanniche. Paul Bremer
ha proposto la data di giugno 2004. Se gli occupanti della coalizione
lasceranno l’Iraq a questa data, non temete che si potranno
verificare scontri fra le diverse fazioni, forze e componenti etniche
irachene?
Ciò di cui parla Bremer è un accordo concluso
fra lui e il Consiglio transitorio di governo. Il 1° giugno 2004,
l’Autorità deve passare nelle mani del Consiglio. Nel
frattempo, si dovranno realizzare i seguenti impegni, già all’ordine
del giorno: definire la forma di gestione del Paese, organizzare il
ridispiegamento delle forze straniere in Iraq, rendere operativi l’esercito
e la polizia iracheni, e anche i controlli alle frontiere, e la difesa
civile.
Attualmente, discutiamo con Paul Bremer la realizzazione dell’amministrazione
della nuova Autorità che assumerà il potere. I partiti
politici iracheni hanno grandi potenzialità popolari da mettere
al servizio della nuova Autorità. Si parlerà di questa
partenza, una volta che il “ dossier sicurezza” sarà
rimesso alle Autorità irachene. Abbiamo già cominciato
a realizzare gli obiettivi di questo dossier. Attualmente, stiamo
creando una forza di polizia di 75.000 uomini. Già 40.000 sono
in servizio. I restanti 35.000 sono in corso di formazione.
Chi paga?
L’Iraq ha i mezzi per pagare. Secondo le previsioni, nel 2004
il petrolio darà una rendita di 12 miliardi dollari. Il 1°
luglio 2004 avverrà il passaggio del potere al nuovo governo
indipendente. Questo non significa la partenza definitiva di tutte
le forze straniere che prenderà un po’ più di
tempo.
Non ritenete che le forze dell’ONU
potranno sostituirsi agli americani?
E’ questo quello che noi chiediamo, ma purtroppo non è
stato fatto. Chiediamo che vi sia una supervisione dell’ONU
in attuazione dello ”accordo” fra noi e Paul Bremer, in
tutte le sue fasi. Purtroppo, l’Onu invece d’intervenire
si è disimpegnato.
Perché è stato violentemente
colpito dal terrorismo.
Noi simpatizziamo con le vittime e ci auguriamo che i suoi membri
siano protetti.
Dovete ben conoscere Paul Bremer con il quale
lavorate, in quanto membro del Consiglio transitorio di governo. Cosa
rappresenta per voi? Come si comporta con voi?
Abbiamo da fare con lui in quanto rappresentante degli Stati
Uniti. Ciò, in base alla risoluzione 1483 del Consiglio di
sicurezza. Questa “Autorità” è responsabile
della situazione militare, delle finanze. Con Paul Bremer abbiamo
dei rapporti di lavoro. C’è un dialogo continuo con lui.
Teniamo una riunione di lavoro settimanale, tutti i mercoledì.
A queste riunioni partecipano molti assistenti. Sono state costituite
commissioni speciali. Paul Bremer rappresenta gli interessi dell’amministrazione
americana. E’molto dinamico.
Con voi Bremer si mostra arrogante o condiscendente?
Vi ascolta?
Noi difendiamo gli interessi del popolo iracheno, sia con questo sia
con un altro interlocutore.
Cosa avete pensato del comportamento di Francia,
Germania, Russia e Belgio contrario alla guerra voluta dagli americani
contro l’Iraq?
Eravamo e siamo contrari alla guerra. Dunque, tutti quelli
che erano contro la guerra erano vicini alle nostre posizioni. Le
sezioni del PCI nel mondo, hanno promosso e partecipato alle manifestazioni
contro la guerra . Il nostro slogan era “No alla guerra, no
alla dittatura”.
Siete ottimista per il futuro, malgrado le divisioni esistenti
e la violenza continua?
Sono ottimista poiché, malgrado tutte le violenze,
arriveremo a stabilizzare la situazione, come desidera il popolo iracheno.
Da noi il confessionalismo non ha radici profonde. Non penso che in
Iraq si avranno moti confessionali. C’è stata una certa
persecuzione del regime contro i curdi, contro le minoranze turche
e le altre. C’era una discriminazione religiosa voluta dal potere
contro gli sciiti. Ma non si è trattato di un conflitto confessionale
sciita-sunnita.
Per ragioni politiche, sono in atto tentativi miranti a sfruttare
queste diversità che formano il popolo iracheno. Non avranno
successo. Siamo convinti che il popolo iracheno non desidera conflitti
confessionali, né guerre nazionaliste, malgrado le scaramucce
di ogni genere.
Il popolo iracheno ha troppo sofferto durante gli ultimi decenni.
Esso aspira alla pace e alla sicurezza. Gli attuali torbidi non sono
che il risultato di un cambiamento considerevole in Iraq...
La ri-sistemazione della regione per mano
degli americani, il cui scopo è anche di rafforzare Israele
contro la Siria e i Palestinesi, è una preoccupazione per voi?
Questo è il piano israeliano. Favorevole politicamente
e militarmente a Israele. Se Israele vuole regolare a modo suo il
conflitto arabo-israeliano, il suo interesse è di spezzettare,
dividere e separare i paesi arabi, gli uni dagli altri. Esso potrà
beneficiare del sostegno degli americani, ma questi ultimi sono venuti
in Iraq con un altro piano: il petrolio iracheno. Sono venuti per
dominare l’economia irachena e utilizzare l’Iraq per controllare
gli altri paesi vicini. Perciò, hanno bisogno di stabilità
in Iraq. Dividere l’Iraq è voler perpetuare la guerra
in questo paese e nei dintorni. In un contesto di conflitto armato,
gli americani non potranno sfruttare il petrolio. Così come,
se dovesse continuare il conflitto, gli americani non potranno parlare
di democrazia in Iraq.
Ecco, tutto ciò non concorda con gli interessi israeliani.
Se un giorno si arriverà alla pace con gli Arabi, essi vorranno
l‘egemonia economica. Vorranno anche arrivare alla stabilità.
Il partito laburista israeliano propone un piano per il Medio-Oriente
basato sulla pace, la stabilità e la sicurezza.
Come si potrà attuare se la regione sarà sconvolta dalla
violenza? Perciò non ha futuro questo progetto di ri-modellamento
della regione. Non è necessario avere un accordo fra gli interessi
strategici importanti degli Usa e quelli d’Israele. Gli Stati
Uniti prenderanno in considerazione gli interessi d’Israele
fino a quando i loro interessi non cominceranno ad essere minacciati.”
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Foto http://usinfo.state.gov/regional/nea/iraq/gallery/