L’ITALIA NEI BALCANI: GESTIONE DELLA “SEPARAZIONE ETNICA”
di Gianfranco Brusasco*
Recentemente, il ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, ha fatto il punto sulla strategia europea nei Balcani “a dieci anni da Dayton ed a sei dall’intervento NATO in Kosovo”, compiacendosi “dei progressi messi a segno in questi anni”, attribuendone gran parte del merito alla diplomazia italiana.
Affermazioni vacue di fronte ad una realtà di “sparizione” sostanziale dell’Italia dalla scena internazionale.
Alcuni esempi. L’Italia continua a perdere colpi nel Mediterraneo a vantaggio di Paesi più attenti alle occasioni che contano, più dinamici, più aperti al confronto, come la Spagna.
Molti leaders arabi si mostrano risentiti per “sgarbi” di vario genere, culminanti nel contenzioso con la Libia, per promesse avventate ovviamente non mantenute, risentimento dimostrato con la mancata nomina del nuovo Ambasciatore presso la Repubblica (mentre è, ovviamente, attivo quello presso il Vaticano) e nel congelamento dei rapporti economici con centinaia d' aziende italiane.
I tentativi dei “cari amici Gerardt, George W., Tony e Jacques”, di “farci fuori” dalla riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, così come già ci hanno fatto fuori, praticamente, dai vertici “informali” tra i big dell’Unione Europea, che, guarda caso, vedono sempre e solo esclusa (per carità: informalmente !) l’Italia, alla cosiddetta “troika” che tratta sul nucleare con l’Iran, Paese che, invece, ci aveva espressamente richiesto di farne parte.
Nei Balcani ben pochi sono i reali progressi di cui potersi vantare, flebili le tracce di rapporti nuovi basati su comprensione, accettazione reciproca, coesistenza effettiva: inviati speciali e reparti militari sia ONU sia EU, sia NATO, in realtà, finiscono con il “gestire la separazione etnica” come in Bosnia Herzegovina, con tre repubbliche solo blandamente e formalmente unite, in Macedonia, in Kosovo, appunto, in Montenegro, con milioni di profughi che, giorno dopo giorno, perdono la speranza di tornare a casa, e dove episodi di violenza etnico/religiosa possono esplodere, ed esplodono, in qualsiasi momento.
Forse, l’on. Fini ha ragione nel sostenere che i problemi dei Balcani potrebbero probabilmente essere risolti (o, almeno, sedati !) solo nel quadro dell’ulteriore e definitivo allargamento dell’Unione Europea, che giunga, alla fine del processo, a conglobare tutti i Paesi della penisola e dintorni, come sta avvenendo con i procedimenti aperti per Turchia, Bulgaria, Croazia, Romania e con le “missioni di verifica” in corso con altri, tra cui, appunto, il Kosovo.
Verificando naturalmente le condizioni e le eventuali contro indicazioni per un futuro, più o meno prossimo, ingresso dei nuovi Stati. E qui sorgono, da parte di molti, obiezioni serie per quanto riguarda alcuni di questi possibili ingressi, in particolare il Kosovo.
Non si tratta ovviamente, di un problema religioso, come ottusamente si vorrebbe far credere in opposizione all’ingresso della Turchia, in nome di fumose affermazioni sulle pretese “radici cristiane dell’Europa”.
La Turchia è, certamente, uno stato islamico, ma indipendente da secoli, laico da quasi uno, anche se con problemi sia di difesa coerente dei diritti umani e di rispetto delle minoranze, sia di una presenza politica, spesso ingombrante, di componenti politiche si ispirazione fondamentalista, le quali, però, non pretendono o non possono scardinare la sostanziale laicità dello Stato.
Ma, torniamo al Kosovo. Intanto, c’è da dire che non è (ancora) uno Stato de jure, anche se, di fatto, è già separato dalla Serbia, tanto da aver addirittura adottato come moneta propria l’euro, abbandonando il dinaro. Questa separazione di fatto è frutto di una guerra e di un’occupazione militare internazionale. La sua definitiva separazione, anche secondo missioni internazionali ad hoc, avverrebbe proprio contro questo Paese, che non sembra disposto ad accettarlo, anche perché nel territorio che dovrebbe perdere, vede la culla della sua identità nazionale, dal punto di vista culturale e religioso, anche se oggi, demograficamente, la situazione non è più così, anzi la presenza serba è marginale.
Nei poco più di 10.000 kmq (per capirsi con un esempio italiano, circa quanto l’Abruzzo), vivevano all’inizio degli anni ’90, due milioni d' abitanti (come in Calabria, grande però una volta e mezza). Questi 10/15 anni di battaglie, li hanno ridotti ad un milione e mezzo, quasi solo di etnia albanese e di religione musulmana, perché il mezzo milione di serbi è fuggito in aree con maggioranza delle propria etnia e religione ortodossa.
Formalmente, la Risoluzione ONU 1244 ne ha fatto una provincia, con larga autonomia dall’Unione Serbo-montenegrina, che ne conserva, però, la sovranità. Ha una Costituzione, un Governo ed un Parlamento autonomi, eletti abbastanza democraticamente. I Serbi superstiti, non più del 5% del totale, dovrebbero essere raggruppati in cinque aree interne al Kosovo, ma, a loro volta, autonome, ma in modo non chiarito dalla Risoluzione stessa.
L’autonomia è però garantita dalla protezione militare della NATO e dall' Amministrazione Provvisoria ONU (Missione UNMIK). Chi, a questo punto, non trova più spazio né rappresentanza è proprio la componente serba della popolazione, poiché anche le trattative avvengono tra i Kosovari d' origine albanese e la Confederazione di Serbia, come i colloqui che avvengono di tanto in tanto in Svizzera, ma con basi di partenza molto distanti: per gli uni, sola soluzione è l’indipendenza, mentre gli altri adattano tattiche dilatorie pur di non sancire proprio questo punto.
La situazione è molto meno stabilizzata di quanto lasci credere una lettura disattenta e superficiale;
addirittura, si registrano “drammatici passi indietro” come ha denunciato il dimissionario rappresentante Onu, l’ex primo ministro finlandese Holkeri.
Ora, una missione dell’UE sembra prevedere l’ingresso del Kosovo nell’UE, come “regione autonoma”, come qualcuno, in Europa dice da tempo. E’ chiaro che una formula simile non starebbe in piedi, poiché mai si è previsto l’ingresso di una sola parte di uno Stato, e, quindi, non può significare altro che la separazione.
Ma il problema certamente più grave, rimane quello del Kosovo, divenuto ricettacolo di tutti i violenti ed i terroristi. Si è discusso a lungo sulla reale natura dell’UCK e sul suo attuale “disarmo, senza giungere ad una conclusione. I Kosovari tendono a considerarla insignificante, ma non c’è dubbio, come dice il filosofo kosovaro Shkelzen Maliqi, che: “Gli albanesi [kosovari] dopo molti anni di pesante repressione sentono che è giunta la svolta e che sono liberi”. Quanto alla criminalità Maliqi sostiene, capziosamente, che “non è superiore a quella delle altre parti dell’ex Jugoslavia, dove sono gli stessi alti poteri ad essere collusi con la criminalità”.
La compagine internazionale non ha messo in moto un processo di riconciliazione, ma più facili processi di progressiva segregazione e difesa armata dei diversi gruppi nazionali.
L’attività di al Qaeda nell’ex Yugoslavia tra il 1992 ed il 1995 é documentata, come l’addestramento di gruppi di combattenti “dormienti” e l’accumulo di armi, che continuarono proprio in Bosnia ed in Kosovo. In seguito, il Ministero degli Affari civili della Bosnia-Herzegovina avrebbe fornito, subito dopo la guerra, passaporti bosniaci ad almeno 900 ex combattenti musulmani, permettendo loro di “sparire” confondendosi con i cittadini musulmani profughi di guerra. Altri, non quantificabili, avrebbero acquisito la cittadinanza legalmente, sposando donne del luogo.
Del resto, non meno di sei cittadini bosniaci, catturati in Afghanistan. sono stati aggregati al nefasto campo di Guantanamo, in mano USA.
Esperti jugoslavi non esitano a sostenere che “la situazione dal Kosovo è ancora peggiore di quella bosniaca”, specie poiché sfuggono alla più massiccia presenza internazionale e alle stesse componenti etnico/religiose, che, in qualche modo, si controllano a vicenda, mentre, emarginate le autorità serbe, nessuno si è assunto tale compito in questa provincia.
Il Kosovo si presta più di tutte le altre aree ad essere terreno operativo di questa vera e propria “internazionale del terrore”, proprio per la sua instabilità, che, ad esempio, ancora nel 2004 e 2005 ha portato a scontri etnici con decine di morti, centinaia di feriti, chiese e conventi bruciati, il coinvolgimento diretto negli scontri a fuoco di militari di Paesi NATO, obbligando quest’organizzazione a pianificare l’invio urgente di rinforzi.
Nel Kosovo, presidiato da 40.000 uomini della KFOR, è operativa la più grande base costruita all’estero dagli Americani dopo la fine della guerra nel Vietnam; hanno agito, in certi momenti, fino a 900 ONG; c’è stato un parziale processo elettorale, con l’elezione del moderato Rugova, ma anche del secessionista Hashim Thaci.
Le truppe dello Kfor assistono passive, quando non compiacenti (americani), mentre i 3600 Russi si sono ridotti a 600 e possono fare ben poco, pur protestando continuamente per la conduzione dei comandi. La multi etnicità del Kosovo, come della Macedonia e della Bosnia, è una frase fatta e vuota, essendo vicina alla fine la più massiccia azione di “pulizia etnica che i Balcani ricordino”, con ampie zone della Macedonia stessa nelle mani dell’UCK, addestrata da un’agenzia privata americana controllata dalla CIA, con l’indifferenza dei mass media e la compiacenza dei comandi USA. E sembra che il piano strategico generale di smembramento della Serbia non si fermi qui, ma comprenda anche Montenegro e Vojvodina, mentre anche la sopravvivenza della Macedonia, per il vice capo della CIA nei Balcani, Steven Mayer, “è una questione aperta”
Riassumendo quindi: l’Unione Europea farà bene a valutare attentamente ogni eventuale passo verso l’ingresso del Kosovo, ed eventualmente altre parti dell’ex Jugoslavia, quando si ponga il problema, proprio per i rischi di introdurre al suo interno semi di disgregazione, d' instabilità, di terrorismo.
* responsabile area “Mediterraneo e Medio Oriente”, Direzionale nazionale Democratici di Sinistra.
Fonti: stampa e TV quotidiana italiana ed europea; alcune grandi testate USA; Ministero degli Esteri: intervento del Ministro;Osservatorio sui Balcani; bollettino dell’UNMIK (U.N. interim administration in Kosovo); Giro di vite on line; centro studi per la pace; misteri d’Italia on line; peacelink; idea azione; rete .sprigionare; unimondo/oneworld; information guerrilla; amnesty international; human right watch; notizie est.