Italia - Libia
SI PUO’ ANCORA TRATTARE COL REGIME LIBICO?
di Agostino Spataro
15/9/2008
L’accordo sottoscritto fra Berlusconi e Gheddafi per il risarcimento dei gravissimi danni inflitti al popolo libico dal colonialismo italiano (specie durante la spietata repressione d’epoca fascista) più che consensi ha suscitato perplessità e strascichi polemici.
Soprattutto a proposito dei suoi contenuti un pò pasticciati e dei costi molto più elevati del previsto.
Quasi nessuno, stranamente, ha evidenziato un aspetto banale ma decisivo: il fatto che questo Paese è nelle mani di una leadership che si è autoaccusata degli attentati terroristici contro due aerei civili, nei quali perirono diverse centinaia di persone innocenti.
Ma andiamo con ordine. Cominciamo dai cinque miliardi di euro (in 20 anni) accordati alla Libia. Sono molti, sono pochi, sono una cifra equa?
Di fronte alla gravità dell’eccidio perpetrato nessuna somma può essere considerata risarcitoria, proporzionata. Nessun ragioniere al mondo potrà mai quantificare il valore di una vita umana. Figurarsi l’entità venale di un eccidio del quale poco si è parlato e scritto nel nostro Paese.
Fino al punto d’impedire, in tempi di Repubblica antifascista, la circolazione nelle sale italiane del film libico “Il leone del deserto” che tratta di alcuni episodi della resistenza libica, con al centro l’eroica figura di Omar Muktar che Graziani fece impiccare alla veneranda età di quasi 80 anni.
Ma in questo caso stiamo parlando di un accordo diplomatico fra Stati e non possiamo, certo, pretendere una contabilità al centesimo. Sono le parti a stabilirne la congruità secondo logiche e criteri talvolta inconfessabili e sempre secondo la “ragion di Stato” che è ben altra cosa rispetto alla “ragion dei popoli”.
C’era chi s’attendeva dalla firma di questo accordo l’immediato blocco delle partenze dalle coste libiche dei barconi adibiti al vergognoso traffico di esseri umani. Registriamo, al momento, che le carrette del mare continuano a partire dalla Libia e ad arrivare, come il solito, a Lampedusa e in altre località costiere siciliane e meridionali.
Aspetti complessi di un rapporto difficile, altalenante fra i due Paesi che si auspica vengano chiariti ed affrontati in sede di ratifica parlamentare.
Un lungo negoziato in cui le parti hanno giocato al rinvio
Semmai vi sono altri problemi, prevalentemente politici, che governo e partiti dovrebbero chiarire.
A cominciare dal grave ritardo col quale si è pervenuti all’accordo.
Certo, vi sono state difficoltà negoziali, tuttavia la storia di questa pluridecennale trattativa ci dice che d’ambo le parti si è giocato al rinvio.
Anche perché il negoziato è stato usato in modo improprio, come carta vincente in un gioco un po’ cinico nel quale, per mezzo secolo, si sono intrecciati i destini del regime libico con i più concreti interessi italiani d’industrie di stato e di esportatori al seguito.
Il capitolo delle relazioni fra l’Italia e la Jamahjriya (Libia) del colonnello Gheddafi, anche durante l’embargo, è in gran parte da scrivere. Comunque siano andate le cose, un fatto è certo: la vituperata “prima Repubblica” riuscì a maturare sulla questione libica, come in generale su quelle araba e mediterranea, un orientamento ampiamente condiviso, ben oltre i confini delle maggioranze parlamentari. La politica estera italiana aveva, almeno verso questo scacchiere, un orientamento. Oggi, invece, appare disorientata, tentennante e perciò si affida all’affarismo spicciolo e alle pacche sulle spalle.
Nel caso specifico della Libia, quella politica estera riuscì a tutelare i legittimi interessi nazionali e a mantenere aperto un canale di dialogo con un regime messo alla gogna.
Strano, però! Fino a quando Gheddafi si è dichiarato estraneo alle pesanti accuse di terrorismo fu mantenuto un durissimo embargo contro la Jamahjriya, quando (nel 2003) si è dichiarato colpevole l’embargo è stato revocato. Come se la dichiarazione di colpevolezza fosse la chiave per aprire le porte di un club esclusivo.
Viene da chiedersi: come mai ora che, finalmente, si è trovato un terrorista reo confesso invece d’isolarlo si fa la fila per incontrarlo, per contrattare affari miliardari?
La corsa per il controllo delle riserve libiche d’idrocarburi
Una bizzarria non solo etica, ma politica visto che contrasta con l’imperativo categorico della lotta al “terrorismo internazionale” divenuta la bandiera dell’amministrazione Bush e di tanti governi europei, fra cui il nostro.
E’ chiaro che tale comportamento si spiega con l’esigenza di assicurarsi i rifornimenti di petrolio e di gas e le lucrose commesse generate dalla parte libica. Così com’è evidente il gioco delle grandi potenze (dalla Russia agli Usa, dalla Francia all’Italia) per accaparrarsi addirittura le enormi riserve libiche d’idrocarburi e la loro commercializzazione.
Perciò la coerenza politica, l’etica vanno a farsi benedire e tutti corrono alla fiera di Tripoli.
A queste priorità sono state piegate i ruoli dei governi e della stessa diplomazia che, ormai, sembrano prendere ordini direttamente dalle multinazionali e dai potentati finanziari.
Dentro questo scenario diventano possibili, e accettabili, le più incredibili acrobazie.
L’ultima, la più clamorosa è la contraddizione - prima rilevata- che non impedisce alla “comunità internazionale” di aprire al regime del colonnello Gheddafi dopo che ha ammesso le sue terribili responsabilità e risarcito le famiglie della vittime.
Più che ad una svolta politica siamo di fronte ad un clamoroso controsenso, giacché l’ammissione della colpa non ne annulla la gravità. Non siamo nel confessionale!
E’ stata detta tutta la verità?
Ma questa confessione ha ristabilito la verità? Nessuno può dirlo. Per il momento, dobbiamo accontentarci di queste verità contrattate, mercificate, monetizzate. Tanto a dollari.
A meno che non venga pubblicamente esplicitato ciò che si sussurra sottobanco o si lascia immaginare: ossia la voce che il regime libico sia stato obbligato ad autoaccusarsi. Da chi? per che cosa?
Anche questo è possibile. Perciò i dirigenti libici hanno il dovere di parlare chiaro, d’informare l’opinione pubblica internazionale e soprattutto coloro che, in buonafede e in assenza di prove convincenti, hanno considerato ingiusto l’embargo, a suo tempo decretato, contro il popolo libico.
Fra i tanti, modestamente anch’io che, come membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera dei deputati, ho lavorato, con colleghi di diverso orientamento politico, per mitigare gli effetti di un embargo che pareva studiato più per colpire le buone relazioni commerciali italo-libiche che il regime di Gheddafi.
Il chiarimento è necessario anche per evitare che la nostra buonafede venga scambiata per qualcos’altro. Confesso che le ammissioni di colpevolezza degli esponenti libici hanno suscitato in me amarezza, delusione, oltre che la più decisa condanna. Mi sento ingannato!
Certo, il mio stato d’animo conta poco o nulla, tuttavia un’ultima cosa desidero dirla.
Nella vita tutti possiamo sbagliare. Ma se noi, ignari della verità, abbiamo sbagliato per eccesso di garantismo, i nuovi amici del colonnello stanno sbagliando, consapevolmente, per eccesso di affarismo.
Agostino Spataro