GLI IMMIGRATI NELL’ITALIA CHE VERRA’
SOCIETA’ LAICA O MOSAICO DI COMUNITA’?
Intervista ad Agostino Spataro*
Parla Agostino Spataro, giornalista, già deputato al Parlamento nelle fila del PCI, direttore del Centro Studi Mediterranei, componente della presidenza dell’Associazione nazionale di amicizia italo - araba e autore di numerosi saggi sul mondo arabo e sul Mediterraneo.
D. Come giudica complessivamente l’atteggiamento dell’Occidente, e dell’Italia e della Sicilia in particolare, di fronte alla “questione islamica”?
R. Penso che sia riduttivo, al limite perfino fuorviante, usare la locuzione “questione islamica” per indicare una problematica più complessa e vasta riferita alla realtà del mondo arabo che, da lungo tempo, si trova nella contraddittoria condizione di essere il principale detentore e fornitore di risorse energetiche e, al contempo, una delle aree meno sviluppate del pianeta.
Dottor Spataro, la problematica è sì vasta e complessa, ma l’elemento religioso appare fondamentale.
Certo, oggi, l’elemento religioso caratterizza la travagliata situazione delle società arabo-islamiche come fattore multiplo agente sulla grave crisi identitaria, politica, sociale e morale, tuttavia vi sono altri fattori da considerare.
Le guerre, gli attentati terroristici, le stragi quotidiane che inondano minutamente le nostre case servono ad alimentare la cultura della “guerra al terrorismo” e ad annebbiare la vista di un’opinione pubblica impaurita la quale spesso pensa ed agisce in maniera irrazionale.
Si è voluto ridurre il confronto ad un mero conflitto fra democrazia occidentale, che si vuole esportare anche con l’occupazione militare, e il “fondamentalismo” islamico terrorista che fondamentalismo non è.
In che senso?
Il discorso sarebbe lungo. Come scrivo nel mio libro “Fondamentalismo islamico: dalle origini a Bin Laden” (Editori Riuniti, 2001) non si tratta di vero fondamentalismo, ma di movimenti islamisti radicali che usano l’islam per finalità politiche facendo leva sul forte sentimento religioso di vasti settori delle società arabe. Del resto l’uso strumentale, a fini di potere, della religione non è solo una prerogativa delle società arabe. Si è verificato, e si verifica, in tanti altri Paesi.
Anche in Italia?
Anche in Italia. In Occidente, i gruppi dominanti rifiutano di aprire un discorso, d’informare l’opinione pubblica sulla vastità della crisi del mondo arabo poiché, forse, temono che ciò possa mettere in discussione il collaudato sistema di relazioni economiche e politiche con i vari Stati arabi, soprattutto con quelli esportatori d’idrocarburi e importatori di costosi sistemi d’arma.
Fa comodo continuare a presentare l’Oriente islamico come un coacervo di popoli senza identità storiche, etniche e culturali, tenuti insieme dal collante religioso.
Che fine hanno fatto il dialogo euroarabo e la stessa iniziativa euromediterranea?
Per ora la parola è alle armi. L’Europa e l’Italia, che pure avevano impostato e avviato una strategia di dialogo di cooperazione col mondo arabo, sono oggi al carro dell’iniziativa bellicista e unilaterale degli Usa che hanno in Medio Oriente ben altri interessi. A cominciare dal controllo delle risorse e del mercato petroliferi.
Dal punto di vista culturale, le classi dominanti vedono (e ci propongono) l’Oriente musulmano come una barriera tenebrosa che s’interpone fra l'Europa e l’estremo Oriente.
E così può dirsi per il Mediterraneo che, invece d’essere percepito come elemento d'unione, è visto come un fossato che separa le due civiltà.
Un approccio molto approssimativo che ha ingenerato confusione e sentimenti di reciproca diffidenza, di ostilità, anche se- credo- non corrisponda al punto di vista della maggioranza delle nostre popolazioni.
Ma l’accecamento è anche dall’altra parte. Non è accettabile che i settori radicali islamici continuino a demonizzare l’Europa giudicandola sulla base di una visione deformante, manichea, come una terra senza valori e senza ideali, eternamente occupata a coltivare mire imperialistiche verso il mondo arabo. Anche questa- credo- sia una rappresentazione alterata della realtà e non condivisa dalla maggioranza delle società arabe.
Dunque?
Siamo, dunque, in presenza di due bellicose visioni minoritarie contrapposte (anche se fra loro complementari), viziate da un comune distorto senso della realtà, animate dal medesimo spirito aggressivo che postula l’ineluttabilità dello scontro di civiltà. Finché c’è tempo, bisognerà prendere coscienza del pericolo che due minoranze (razzista e espansionista in Occidente e islamista e terrorista in Oriente) riescano ad imporre a due sterminate e pacifiche maggioranze il loro catastrofico punto di vista.
Esiste una schematizzazione, propugnata dai media, secondo la quale l’Europa è filoamericana e imperialista e il Vicino Oriente islamista e terrorista?
Credo che in questa fase critica la maggioranza dei media occidentali (non tutti per fortuna) si siano posti al servizio della cosiddetta “strategia antiterroristica” e quindi lavorino per far passare nell’opinione pubblica questo tipo di rappresentazione ingannevole del vicino Oriente. Nei media arabi, che sono al servizio dei vari regimi al potere generalmente filo-occidentali, non si riscontra una tendenza contrapposta. Soli quelli dei gruppi estremisti islamici tendono a generalizzare, dipingendo l’Europa come succube delle mire espansioniste Usa. Le cose non stanno esattamente così. Poiché, nonostante le pressioni e gli imbonimenti, i popoli e qualificati settori delle classi dirigenti, politiche e intellettuali, di queste due realtà sanno ancora distinguere il grano dal loglio.
Purtroppo, tanta saggezza non si riesce a farla diventare linea di politica estera e di cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Se Europa e Italia effettivamente lo desiderano, la strada è ancora aperta per realizzare questo obiettivo.
Come se ne esce?
Non è facile indicare una soluzione specifica, ma dobbiamo sapere che il tempo e i conflitti lavorano contro la ricomposizione pacifica dei problemi aperti. Bisogna far tacere le armi e che ognuno se ne torni a casa propria. In primo luogo gli israeliani dai Territori palestinesi e dal Golan siriano occupati nel 1967.
A causa dell’avventurismo dell’amministrazione Bush e dei governanti israeliani, oggi in Medio Oriente sono aperti quattro terribili conflitti: due vecchi in Libano e in Palestina e due nuovi in Iraq e in Afghanistan.
Le guerre stanno distruggendo questi Paesi e mietendo centinaia di migliaia di vittime in gran parte civili e, fatto ancor più grave, stanno incentivando la crescita e la diffusione del terrorismo. Si dimostra che la guerra non è la soluzione, ma il suo contrario. Perciò, l’Europa e l’Italia non possono più avallarla.
L’immigrazione araba in Italia pone seri problemi d’integrazione e di convivenza pacifica e di reciproco riconoscimento culturale. Ritiene sia possibile risolverli accentuando il processo d’integrazione?
Siamo di fronte ad una questione a dimensione globale, complessa, la cui soluzione richiede tempi lunghi e una forte e persistente disponibilità all’ascolto e alla comprensione reciproca e una revisione profonda dei rapporti fra l’Italia e i Paesi di provenienza.
Per sottrarre i flussi migratori dalle grinfie delle organizzazioni criminali bisognerebbe stipulare trattati bilaterali e multilaterali sull’emigrazione.
Penso che l’integrazione non sia la risposta più adatta per promuovere il progetto di costruzione di una società dell’accoglienza, multiculturale e multietnica, se è questo l’obiettivo.
Integrazione vuol dire assorbimento, incorporazione di una minoranza o di una diversità nel corpo più vasto di un’entità sociale definita e chiusa. Sulla base di tale approccio non sarò facile conseguire la convivenza civile. C’è bisogno di contaminazioni, di scambi, di cooperazione a tutti i livelli. Con un punto fermo però: che questo processo non intacchi, anzi rafforzi, le basi laiche e democratiche delle società italiana ed europea.
Su questo aspetto non si deve arretrare nemmeno di un millimetro. Prima di tutto nell’interesse dei nuovi arrivati che spesso provengono da Paesi dove democrazia e laicità sono completamente sconosciute.
Un traguardo importante potrebbe essere la formazione di un Islam italiano rispettoso della nostra identità nazionale e delle nostre leggi. Che cosa pensa a questo proposito?
L’Islam italiano? Mi sembra un’idea un po’ vaga. Pur auspicando un radicamento nella società italiana dei cittadini immigrati di confessione islamica, non vedo come una tale ipotesi possa effettivamente attuarsi e soprattutto funzionare.
Non bisogna dimenticare che l’Islam, a differenza della Chiesa cattolica, non ha un clero né tanto meno una gerarchia che rappresenta e verticalizza le istanze di base.
Lo stesso testo sacro, il Corano, è liberamente interpretato da ciascun credente. Questa condizione crea un serio problema anche ai fini di una collaborazione feconda fra Stato italiano e comunità di religione islamica presenti nel nostro territorio. Insomma, un concordato con l’Islam, almeno per il momento, non mi pare immaginabile.
La risposta, dunque, è la società multiculturale?
Multiculturale e multietnica, laica e democratica. Lo ribadisco. Per essere chiaro, non si può favorire la tendenza in atto che mira alla costruzione di un mosaico di comunità aggregate in base a fattori razziali e/o religiosi. Questa sarebbe la fine della società laica, civile e democratica e l’inizio di una faida infinita come accade in tante parti del mondo.
L’obiettivo deve essere quello di fare in modo che l’immigrato si convinca, nel suo interesse, di essere prima di tutto un cittadino e dopo un aderente a questa o quell’altra confessione religiosa.
Quindi non soltanto il rispetto di tutte le leggi vigenti in Italia (a partire da quelle a tutela dei diritti sociali e politici degli immigrati), ma una vasta azione d’informazione e di dialogo per convincere gli immigrati ad aderire al modello di società laica e democratica vigente che è la più efficace garanzia a tutela delle loro identità culturali e religiose che la nostra Costituzione garantisce e consente di professare liberamente.
Si tratta di un processo politico e culturale che non può essere attuato con l’ingiunzione, ma con la persuasione, che richiede politiche, tempi, strumenti e provvedimenti idonei ad aiutare gli immigrati a divenire cittadini italiani ed europei a tutti gli effetti, con gli stessi diritti e gli stessi doveri.
( a cura di Salvatore Falzone)
*Pubblicata, con altro titolo, nella rivista “L’Abbazia” n. 4, maggio 2007