( Il dramma dell'infibulazione )


Le “carrette del mare”, nonostante il maltempo e la Bossi- Fini, continuano a sbarcare sulle coste siciliane frotte d’immigrati infreddoliti, brandelli di un' umanità povera, affamata e derubata dei più elementari diritti di libertà e di giustizia.
Dall’inferno al paradiso il passo è breve: duecento, trecento km di mare e, per i più fortunati, ecco spuntare la Sicilia, terra di miti e di antiche e nuove migrazioni, oggi divenuta la principale porta dei flussi clandestini verso l’Europa.
Vengono soprattutto dall’Africa per cercare lavoro e anche per sfuggire agli orrori d’interminabili guerre fratricide, fomentate da civilissimi governi e potentati occidentali, che sospingono questo grande continente verso una disastrosa deriva.
Sbarcano col loro carico di bisogni e di tradizioni ataviche il cui impatto sulle società ospiti può mettere a dura prova la convivenza e talvolta perfino gli ordinamenti.
In questi giorni, per esempio, è esploso quello della pratica, dolorosa e ripugnante, della mutilazione sessuale femminile vigente presso alcune comunità d’immigrati, soprattutto quelle originarie dall’Africa centro-orientale e nilotica.
Oltre che sui mass-media, la delicata questione è approdata in Parlamento dove, proprio l’altro ieri, le Commissioni affari sociali e giustizia della Camera hanno approvato (in sede referente) un testo di legge unificato che all’art. 1 sancisce una pena da sei a dodici anni per “chiunque pratica, agevola o favorisce una lesione o mutilazione degli organi genitali femminili…”
Anche il Parlamento, dunque, pur manifestando la necessaria comprensione sociale e culturale, ha dovuto assumere, unitariamente, una posizione che non ammette attenuanti per chi esegue tali mutilazioni, anche quando- come sembrava ipotizzare un comitato tecnico istituito dalla regione toscana- effettuate con metodi meno invasivi e crudeli di quelli tradizionalmente praticati che, in realtà, sarebbe una sorta di “infibulazione assistita”, da praticare nella struttura pubblica.
Una scelta difficile, ma in sintonia con la Costituzione italiana che salvaguarda la salute e l’integrità fisica dei cittadini.
Tuttavia, senza deflettere dai giusti principi, appare utile accompagnare la norma con vere e proprie campagne di prevenzione e di dissuasione presso le comunità e le singole famiglie interessate dal triste fenomeno e d’informazione dell’opinione pubblica che sovente sconosce la realtà di questo dramma che, in parte, si svolge anche nel nostro Paese.
Di che cosa si tratta? Diciamo subito che tale assurdo rituale non può essere catalogato “infibulazione musulmana”, come fa Gianni Vattimo (La Stampa 23/01/04), anche se praticato in alcuni paesi musulmani.
L’infibulazione, infatti, vigeva prima della predicazione di Maometto e non è contemplata nel Corano né in altri Libri sacri. I suoi sostenitori, per conferirle un carattere sacrale, l’annoverano arbitrariamente fra le circoncisioni derivate da un malinteso spirito religioso.
L’infibulazione o circoncisione femminile si concentra nei paesi nilotici (Egitto e Sudan), in Somalia e in altri paesi africani di tradizione animista (28 in tutto) e in taluni islamici della penisola arabica. Secondo le stime dell’Onu, almeno 75 milioni di donne (anzi bambine) hanno subito tali assurde mutilazioni.
Esistono diversi tipi e metodi di circoncisione femminile, tutti più o meno crudeli, praticati da barbieri e da donne anziane su bambine in tenerissima età, spesso senza anestesia e con strumenti rudimentali.
Per meglio descriverli attingeremo da uno studio curato dal dottor Sami Aldeeb Abu-Sahlieh, una fonte scientificamente attendibile e di confessione islamica, pubblicato, nel 1993, dal Cermac dell’Università di Lovanio.
Il metodo meno brutale (ma anche meno diffuso) è quello detto “sunnah” che “si limita a tagliare la pelle che si trova alla sommità dell’organo femminile. Si recide l’epidermide protuberante, evitando l’ablazione.”
Come in un crescendo d' assurda crudeltà, segue la clitoridectomia o escissione consistente nell’ablazione del clitoride e delle piccole labbra. Infine, l’infibulazione “faraonica”, praticata prevalentemente in Sudan e in Somalia, che è quella più crudele e traumatizzante.
Secondo la descrizione di Sahlieh, consiste “nell’ablazione totale del clitoride, delle piccole labbra e di una parte delle grandi labbra. Le parti della vulva così mutilate vengono poi cucite mediante punti di sutura di seta e talvolta anche con spine vegetali. Si lascia aperto soltanto un piccolo orifizio per consentire la fuoriuscita dell’urina e del flusso mestruale...
“Durante la prima notte di nozze, lo sposo dovrà aprire la sua donna, spesso con l’aiuto di un coltello…In caso di divorzio, si richiude l’apertura per evitare che la donna abbia rapporti sessuali”
Scioccante? Purtroppo, pare che le cose stiano proprio così!
Mentre nel caso della circoncisione maschile (a ben pensarci anche questa è una piccola forma di mutilazione!) lo scopo è di carattere religioso ed anche igienico, per quella femminile si ha una pluralità di fini, tutti riconducibili ad una concezione della donna grettamente maschilista che esprime “una volontà diabolica di controllare la sessualità femminile, sotto l’alibi della cultura”.
Ma cosa c’entra questo strazio con la cultura? Con qualsiasi cultura.
Perciò, non si tratta di affermare la superiorità di una cultura sopra un’altra, ma semplicemente d’impedire una patente violazione dell’integrità fisica della persona umana.
Certo, bisogna sforzarsi per capire le cause di tali pratiche e fare di tutto per prevenirle (a partire dai Paesi di provenienza) e non per perpetuarle, addirittura nelle nostre legislazioni.
Lo Stato democratico non può scendere, legittimandola, fino ad una realtà così abnorme, semmai ha dovere d’intervenire per innalzarla e armonizzarla con gli standard di qualità della vita vigenti in Italia. “Fondamentalismo” statalistico? A me parrebbe un’azione necessaria a tutela della dignità e dell’integrità fisica di milioni di vittime-bambine.

Agostino Spataro

* Pubblicato in “La Repubblica” del 25 gennaio 2004

 


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