Il Vaticano entra nel governo italiano
Casa fatta capo ha. Il governo “tecnico” di Mario Monti cosa fatta è.
Tuttavia, trattandosi di materia delicatissima conta molto sapere come, con chi e per che cosa.
Monti dice che il suo non è il governo dei “poteri forti”. Lo potrà dimostrare con i fatti.
A molti qualche dubbio rimane.
Anche se in Italia abbiamo una legge elettorale vergognosa, per risolvere la crisi si poteva adottare una procedura più consona con lo spirito della democrazia parlamentare.
Così come- bisogna rilevare- che la composizione del dicastero, forse, rassicura i “mercati” ma non troppo gli italiani.
I ministri saranno rigorosamente “tecnici”, ma appaiono, in gran parte, inquadrati in una visione oscillante tra la fedeltà al leader politico di riferimento, ai “mercati” appunto e al Vaticano che entra pesantemente nel governo italiano.
Da notare, inoltre, che due ministri, Lorenzo Ornaghi e Corrado Passera, oltre a essere quello che sono, sono anche colleghi di Monti nell’esecutivo dell’Aspen Institute Italia (di derivazioni Usa) che, certo non è una società d’incappucciati, ma qualche preoccupazione la desta.
E’, infatti, un club elitario, bipartisan dove sono iscritti esponenti dei più grandi partiti italiani, dirigenti e manager di grandi aziende, di banche e di società editoriali.
Presidente è Giulio Tremonti, potente ministro dell’economia di Berlusconi, suoi due vice: l’on. Enrico Letta, vicesegretario del PD, e il dr. John Elkann, presidente di Fiat spa.
Tutti insieme. Appassionatamente! Per fare che cosa?
Nulla d’illecito, per carità. Ma un lavoratore della Fiat, un giovane che votano centro-sinistra non si sentiranno molto tranquilli nel sapere che i loro principali esponenti convivono con avversari politici apparentemente irriducibili.
Se non ci fossero stati i veti incrociati di PD e PdL sarebbero entrati altri due colleghi dell’esecutivo Aspen ossia Giuliano Amato e Gianni Letta, zio di Enrico, facendo salire a 5 su 17 gli Aspen-man nel governo.
Vedi in: www.aspeninstitute.it/istituto/comunita-aspen/comitato-esecutivo
La maggioranza: una “convergenza forzata”
Ma andiamo avanti. Il governo è riuscito a strappare un’ampia fiducia in Parlamento, ma non credo ancora quella di vasti settori dell’opinione pubblica italiana che sembrano aver sospeso il giudizio, in attesa dei provvedimenti concreti.
Si teme che il governo per “rassicurare” i mercati possa calcare troppo la mano sui redditi dei cittadini. Il clima è d’incertezza, di preoccupazione, di protesta.
Nelle stesse ore in cui Monti si presentava al Senato, a Roma e in molte città italiane, si svolgevano decine di manifestazioni studentesche e di lavoratori contro il nuovo governo che, per indirizzo e composizione, appare troppo in sintonia con i “mercati”.
D’altra parte, in questa maggioranza, frutto di una “convergenza forzata”, serpeggiano perplessità e contrarietà, dichiarate o camuffate.
Anche nel Partito Democratico il cui gruppo dirigente sembra l’unico a non avere dubbi sull’operazione Monti.
Il punto critico, tuttavia, è costituito dal PdL di Berlusconi, dove i mugugni, i distinguo, le contrarietà diventano velate minacce miranti a condizionare il governo sui programmi e sulla sua durata. E il PdL ha i numeri per poterlo fare.
Così come non è da sottovalutare l’opposizione della Lega di Bossi, alla ricerca disperata della perduta verginità e con un bilancio governativo fallimentare da presentare ai suoi elettori.
Probabilmente, l’opposizione leghista, più che in Parlamento, si esprimerà sul territorio ossia in quel Nord che, secondo il proclamato principio di equità, dovrebbe fare i maggiori sacrifici.
La questione che fa innervosire Bossi e soci è che il nuovo governo non intende seguire le pericolose forzature leghiste sul federalismo, sulla contrapposizione Nord – Sud..
Anzi, Monti parrebbe privilegiare l’obiettivo del rafforzamento della coesione nazionale fino al punto di dedicargli un ministero. E’ ciò è un fatto decisamente positivo.
Le riforme vanno fatte non per acuire i divari esistenti, economici e territoriali, (come stava facendo Berlusconi succube di Bossi), ma per alzare il grado di coesione economica e sociale fra Nord e Sud.
La nuova questione meridionale
Specie in questa fase, l’Italia ha bisogno di un’unione creativa fra tutte le regioni, di solidarietà fra tutti i settori della società mirando a due questioni veramente fondamentali, prioritarie e indifferibili: la soluzione della questione meridionale e la riforma del sistema fiscale per debellare i fenomeni gravissimi di evasione e di elusione.
Bisogna ricordare ai guerrieri della secessione ed anche ai tanti sacerdoti del “dio mercato” che l’Italia può uscire bene dalla crisi solo se si deciderà a valorizzare le grandi potenzialità inespresse del Mezzogiorno ossia alcune fra le più grandi risorse umane e naturali del Paese.
Stiamo parlando del 40% della superficie dell’Italia, dove insistono vasti territori agricoli, spiagge incantevoli, paesaggi e monumenti di grandi civiltà, sole e vento volontà per produrre energia pulita e a basso costo e, se permettete, il bene più prezioso per un popolo civile: centinaia di migliaia di giovani diplomati e laureati inoccupati.
Quanto è costato, costa, all’Italia l’abbandono del Mezzogiorno nelle mani del clientelismo e dell’affarismo politico e delle organizzazioni criminali?
Basterebbe fare quattro conti per scoprire che conviene, anche al Nord, sviluppare razionalmente il Sud. Sicuramente conviene all’Italia democratica che vuole progredire e non sempre arretrare sotto le sferzate di “mercati” anonimi, ingordi e distruttori.
Oggi, la Germania è forte anche perché, in un decennio, ha saputo integrare i territori dell’Est (ex RDT), l’Italia è debole perché, in 65 anni di storia repubblicana, non ha saputo o voluto integrare il suo Mezzogiorno.
Obiettivo di un governo degno dovrebbe essere quello di riuscire a trasformare il Sud da onere passivo a grande risorsa nazionale, per portare l’Italia, tutta intera, fuori della crisi.
Poiché l’agognata crescita potrebbe venire, soprattutto, dal Mezzogiorno. Il Nord è saturo, inquinato, sovraffollato.
La questione fiscale
Per finanziare lo sviluppo e ridurre il debito non è necessario tartassare i redditi medio/bassi, le pensioni, ma basterebbe fare alcuni seri tagli mirati (esempio la spesa della Difesa di cui nessuno parla) e varare un programma vero di lotta all’evasione fiscale e contributiva che sono pesanti palle al piede del bilancio dello Stato.
Proprio ieri, il presidente dell’Istat, Giovannini, ha stimato l’ammontare dell’evasione fiscale a una cifra equivalente al 17% del PIL italiano ossia circa 255-275 miliardi di euro/anno.
Altro che manovre e manovrette e quant’altro si appresta a fare il governo Monti!
Basterebbe recuperare questo poderoso ammanco per rimettere l’Italia in carreggiata.
Provate a immaginare: se lo Stato incassasse questi 275 mld di euro potrebbe risolvere tantissimi problemi, dare un taglio netto al debito e quindi ridurre il famigerato “spread”.
A proposito, signori finanzieri ed economisti, politici e giornalisti, perché non parlate e scrivete in italiano così tutti capiscono di cosa si sta parlando?
O volete capirvi solo tra di voi: i primi dettano, i secondi ripetono, i terzi scrivono.
Nel programma di Monti si parla di lotta all’evasione fiscale. Tutti i governi precedenti ne hanno parlato, ma nessuno l’ha fatta sul serio questa lotta.
L’unico che pareva deciso a farla, il sottosegretario Vincenzo Visco, è sparito dal Parlamento perché nessuno l’ha candidato o nominato. Mi chiedo: se si vuole fare sul serio, perché non
richiamarlo in servizio?
Al punto in cui siamo, non bastano le parole (vacue), ma leggi severe e piani operativi, concreti e penetranti, e uomini decisi a recuperare questo enorme patrimonio di risorse finanziarie sottratte allo sviluppo del Paese.
Chiarendo ai signori evasori che pagare le tasse non è un “sacrificio”, ma un dovere civico e un obbligo di legge. Non pagarle è un reato e come tale va perseguito. Negli Usa è così. Stranamente, però, questo è l’unico esempio che in Italia non si vuole importare.
Agostino Spataro
18 novembre 2011
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