Dove va Euromed?
PER UNA POLITICA ARABA DELL’EUROPA

di Bichara Khader*

Il partenariato euro-mediterraneo non entusiasma le masse, anche se nessun Stato membro lo contesta fondamentalmente o se ne tiri fuori. Questo, senza dubbio, è il lato sorprendente del processo: nell’inerzia esso si perpetua.

Tuttavia, l’obiettivo di Barcellona non era il perpetuarsi del processo ma il rafforzamento della pace, per la stabilità e la prosperità nel Mediterraneo, obiettivi sanciti nella Dichiarazione del 1995.

Senza di ciò, somiglierà al processo di pace israelo-arabo, ossia “molto processo e poca pace”.

A fronte delle più recenti evoluzioni, l’Europa dovrà seguire una politica più innovatrice, forse più coraggiosa e trarne adeguate le conclusioni.

Innanzi tutto, il contesto geopolitico del 2004 non è più quello del 1995. All’epoca, si era in una fase d’euforia: l’Urss era stata vinta senza colpo ferire, l’economia europea usciva dal marasma, il processo di pace israelo-arabo era stato da poco avviato e pareva dovesse proseguire. Oggi la situazione è cambiata: il processo di pace nel Medio Oriente è deragliato, il terrorismo transnazionale si è impadronito dell’attenzione pubblica, la guerra in Iraq e le sue sequenze continuano ad occupare il proscenio.

Inoltre, l’allargamento dell’U.E. a 10 nuovi membri, fa uscire Malta e Cipro dal gruppo dei Paesi Terzi mediterranei (Ptm) e nello stesso tempo conferisce alla Turchia lo statuto di paese “candidato” destinandola ad un trattamento particolare. Oggi, le due parti sono più ineguali che mai: 25 + 10 di cui 8 paesi arabi, Israele (che non ha bisogno di partenariato considerato il suo livello di sviluppo economico e politico e che beneficia già del libero-scambio e partecipa ai programmi di ricerca dell’U.E) e la Turchia (che ha già sottoscritto un’unione doganale).

Verso un partenariato euro-arabo

L’Europa deve prendere atto di questa evoluzione e impegnarsi in un'altra direzione di marcia: contribuire a fare emergere un’entità politica ed economica araba, basata su un sentimento d’appartenenza, su flussi inter-arabi e sull’urgenza di venire a capo delle sfide comuni. Non esiste un’identità mediterranea propriamente detta: c’è all’evidenza un’identità araba.

Le arbitrarie suddivisioni dello spazio in Mediterraneo occidentale, Vicino Oriente, Medio oriente, Grande Medio Oriente diluiscono l’identità collettiva araba. Funzionali in materia di politica d’intervento, non sono sempre pertinenti in termini sociologici, culturali e anche geopolitiche.

Ovviamente, l’U.E. non è abilitata a forzare l’integrazione economica e politica del mondo arabo.

Qui sta innanzi tutto la responsabilità primaria dei dirigenti arabi.

Per una sorta di effetto-annuncio, di sollecitazioni multiple, di condizionamenti positivi, di messaggi chiari e di una visione fondata su un futuro solidale, l’U.E. può contribuire a rompere lo status-quo attuale e innescare le trasformazioni desiderate.

L’Europa ha oggi una popolazione di 450 milioni d’abitanti che con gli allargamenti del 2007 diventeranno 500 milioni. Di fronte ci sono 325 milioni di arabi che nel 2025 diventeranno 500 milioni. Ossia, un potenziale demografico considerevole (1 miliardo), equivalente a quello dell’India, appena inferiore a quello della Cina (1300 milioni) e più che doppio di quello dei paesi Alena (Usa, Canada e Messico).

Integrato (alla maniera europea), animato da visioni comuni, appoggiandosi ad una sola lingua, dotato d’istituzioni comuni e di strumenti capaci di assicurare politiche di convergenze fra le parti, il mondo arabo può divenire non più un cortile, ma un partner fidato, paritario, democratico e prospero.
Il contrario sarà la frammentazione in entità politiche rivali, perseguenti strategie individuali, senza alcuna garanzia di poter, in ambiti così ristretti, far fronte a tutte le sfide. Con le conseguenze drammatiche che potrebbero verificarsi all’interno del mondo arabo in termini d'aggravamento della disoccupazione, di deterioramento della situazione e d’instabilità multiple, e nella stessa Europa in termini di sviluppo delle filiere mafiose dell’immigrazione clandestina, di trasferimento dei problemi interni al mondo arabo sulle comunità di espatrio, d’agitazioni sociali e anche di terrorismo transnazionale...

Il mondo arabo e le sue popolazioni, scottate da ripetuti fallimenti di unioni abortite, sembrano oggi dubbiose di fronte alla prospettiva dell’unificazione.

Oltre ad una storia condivisa, una geografia che impone i suoi vincoli, una lingua comune, il mondo arabo fronteggia le sfide comuni e continua, a dispetto delle strategie dei regimi parassitari e cleptomani, ha dare un senso ai popoli arabi, come dimostrano tutti i giorni i movimenti popolari di solidarietà con i popoli d’Iraq e di Palestina. Certo, questo mondo offre anche lo spettacolo penoso delle divisioni e dello smarrimento, ma queste divisioni non sono così atroci come quelle che hanno caratterizzato lo spazio europeo 60 anni addietro. Esse sono lontane dai bagni di sangue della prima e della seconda guerra in Europa...

Perché una politica araba dell’Europa?

Da qui a 20 anni, l’Europa allargata avrà, dunque, nelle sue immediate vicinanze mezzo miliardo di Arabi.

Il mondo arabo è, e diverrà sempre più, una dimensione pertinente per la sua iniziativa estera.

Oggi, i sottoinsiemi (Europa-Ccg ed euro-mediterraneo) sono presi in ostaggio: il primo a causa della questione petrolchimica e dell’integralismo esportato e il secondo a causa del conflitto israelo-arabo.

Un’azione europea sul conflitto israelo-arabo è inefficace per difetto o per ostruzione. In effetti, l’azione europea è inefficace per l’ostruzionismo israeliano e per l’indecisione degli Stati europei, mentre un’apertura sul Golfo incontra l’opposizione degli Stati Uniti.

Solo una politica araba dell’Europa può essere efficace e generare un sostegno delle opinioni pubbliche arabe ed europee. Essa avrà, inoltre, il vantaggio di rasserenare le Comunità arabe immigrate e facilitare la loro integrazione. Poiché il mondo arabo è la periferia dell’Europa, ma è anche nelle città e nelle periferie d’Europa.

Questa presa di posizione non è contro euromed, ma in suo favore. Perché aiuta ad uscire dalla sua ambiguità “costruttiva”, dalle sue impasse concettuali, dal suo anonimato al di fuori di taluni circoli. In primo luogo, euromed non è che uno strumento. Non è una visione di un futuro condiviso, di una zona di scambio dove si esercitano le 4 libertà fondamentali, compresa quella della circolazione delle persone. E’ eterogenea: 8 Paesi arabi, Israele e Turchia paese-candidato.

La sua gestione è burocratica e ineguale. Essa genera frustrazioni permanenti, per delle buone o delle cattive ragioni.

Una strategia E.U-Monde Arabe dovrà essere basata su un’altra prospettiva:

a) stimolare gli scambi inter-arabi piuttosto che gli scambi con l’EU (quelli si vedranno in seguito);
b) rafforzare la stabilità e la prosperità del Mondo Arabo per la sua crescita interna e le riforme statali e sociali. La crescita in se stessa e non come mezzo per stabilizzare la gioventù e ridurre la pressione migratoria;
c) sfruttare i condizionamenti positivi e un’azione differenziata fra i diversi paesi che s’impegnano rapidamente nelle riforme e che costituiscono paesi-leaders raggiunti progressivamente dagli altri;
d) che non sarà ipotetica a causa della presenza d’Israele, ma che non avrà l’obiettivo di mettere l’U.E. contro Israele. Non siamo agli anni ’70, all’avvio del dialogo euro-arabo. Al contrario, un’iniziativa europea favorevole alla democratizzazione e all’integrazione del Mondo Arabo dovrà funzionare come uno stimolo per Israele per vincere la sua tendenza ad imporsi con la forza e a ricercare una soluzione pacifica ad un problema annoso che avvelena l’atmosfera nel Mediterraneo e che costituisce una delle radici profonde del risentimento degli arabi verso l’Occidente;
e) non mirerà ad urtare gli Stati Uniti o ad orientare il polo arabo contro gli Stati Uniti. E’ anche possibile, e augurabile, che questo partenariato sia sostenuto dagli USA, che dovrebbero rinunciare ai progetti, senza futuro, della democratizzazione “muscolosa”, delle terapie choc, del chimerico “Grande Medio Oriente” e riconoscano la necessità di un grande piano regionale, basato sul concetto di “Region-Building”, il solo suscettibile d’invertire le dinamiche perverse attuali e rasserenare le relazioni fra Arabi e gli Occidenti europeo e americano.
Per concludere. Romano Prodi, davanti ai miei studenti nel novembre del 2002, parlando della cooperazione con i paesi arabi “Tutto, salvo le istituzioni”. Dopo abbiamo avuto le comunicazioni su “L’Europa allargata” e la “Politica di vicinato”. Il messaggio è chiaro: l’Europa non si allargherà a sud. Tuttavia, allargherà la sua politica volta ad integrare il Sud arabo in quanto dimensione strutturale della sua politica estera, poiché l’Europa non può essere un attore importante a scala mondiale fino a che resta un attore subalterno nella sua primaria zona di prossimità: il Mondo Arabo.

*Il professor Bichara Khader, docente presso l’Università Cattolica di Lovanio e direttore del Centro di Studi sul Mondo arabo contemporaneo (Cermoc), è autore di numerosi libri sulla realtà del Mondo Arabo e del Mediterraneo. Fra questi segnaliamo “IL MEDITERRANEO- Popoli e risorse verso uno spazio economico comune”, (co-autore Agostino Spataro), pubblicato da “Edizioni Associate”, Roma, 1993. A dieci anni dal trattato di Barcellona istitutivo del partenariato euromediterraneo, in questo articolo (che è la sintesi di un saggio più ampio) egli sottolinea talune cause del suo difficile iter e soprattutto l’incertezza del suo futuro come strumento efficace per il miglioramento delle relazioni fra Arabi ed Europei.
Per la prima volta viene proposta l’ipotesi, che merita di essere approfondita, di un radicale cambio di politica da parte della U. E. per “una politica araba”, anche in sostituzione del partenariato euromed che sembra aver perduto vigore e credibilità.
Mi pare si riaffacci la tesi di fondo contenuta in quel nostro libro del 1993, ossia due anni prima della firma degli accordi di Barcellona. (a.s)

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