( EUROMED 2003 )


PROBLEMI E PROSPETTIVE DELLA
ZONA DI LIBERO SCAMBIO EUROMEDITERRANEA
di Agostino Spataro

Amplificata dalle proteste, un po' rituali, dei "noglobal", preceduta da una riunione "informale" dei ministri del commercio estero dell'U.E. (15 membri + 10 candidati) per una consultazione in vista del vertice  del WTO/OMC di Cancan, si è svolta a  Palermo, il 7 luglio 2003, la terza Conferenza Euromed sul commercio alla quale, oltre ai 25, hanno partecipato i ministri dei 10 paesi terzi mediterranei (PTM) firmatari degli accordi di Barcellona che dovrebbero sfociare nella creazione, nel 2010, di una zona di libero scambio (ZLS) euromediterranea.

Nonostante l'enfasi ministeriale (si trattava della prima iniziativa internazionale del Semestre italiano di presidenza della U.E.), la conferenza  di Palermo non ha prodotto risultati significativi in relazione ai temi in agenda e in particolare a quelli relativi agli investimenti e ai diversi comparti degli scambi commerciali fra UE e PTM.

La conferenza ha, di fatto, confermato le difficoltà che incontra il processo del partenariato euromed che rischiano di non farlo avanzare, ai ritmi desiderati, per realizzare, nei tempi previsti, tutte le tappe intermedie in vista della ZLS.
Soprattutto, il settore degli scambi commerciali accusa ritardi, incongruenze di comportamenti e forti squilibri fra le parti contraenti che rischiano di far slittare l'agognata scadenza del 2010.
Dal 1995 sono trascorsi 8 anni e non sono stati compiuti progressi significativi è illusorio pensare di  realizzare nei restanti 7 ciò che doveva farsi in tre lustri.
Tuttavia, i problemi esistenti non mettono in dubbio la validità della scelta del partenariato adottata a Barcellona che, semmai, bisogna perseguire con più coerenza per recuperare il tempo perduto e- se del caso- apportando le necessarie correzioni di rotta.

Diverse sono le questioni sul tappeto che qui desidero ricordare, con l'ausilio dei dati 2001, contenuti in "Euro-Mediterranean Statistics- Eurostat- 2002".
A cominciare dallo stesso progetto di Zona di libero scambio sempre più percepito, soprattutto nei PTM, come un'opzione liberista, per altro non completamente "libera", visto che dagli accordi di Barcellona è stata esclusa la libera circolazione degli uomini e delle produzioni agricole provenienti dai PTM.
Da qui l'interrogativo al quale non è stata data una risposta: con tali limitazioni, per altro asimmetriche, potrà nascere e soprattutto funzionare una zona di libero scambio?

La questione ha fatto insorgere più di qualche dubbio e rischia di trasformarsi in un formidabile ostacolo sulla via del partenariato, perciò appare indispensabile una riflessione congiunta, alla luce dell'esperienza vissuta e degli effetti derivanti dalla decisione di allargamento ai paesi PECO.
Ancora. La zona di libero scambio è davvero la scelta più appropriata per favorire lo sviluppo economico, culturale e democratico dei PTM?

Le perplessità non sono di principio, ma motivate dagli abissali squilibri socio-economici e commerciali esistenti fra le due realtà che andranno a confluire nella futura ZLS, nella quale dovranno convivere i 15 paesi UE, ovvero il più grande colosso commerciale del pianeta, con un interscambio globale per un valore di 2.024 miliardi di euro pari a circa il 40 % del commercio mondiale (a cui bisognerà aggiungere quello dei 10 paesi candidati) e i 10 PTM con un interscambio di  280 milioni di euro, (pari a circa il 2% del commercio mondiale), sui quali grava un debito estero complessivo di 249,7 miliardi di dollari.
Per altro, gli scambi dei PTM sono doppiamente dipendenti dai mercati UE, con quote oscillanti fra il 40 e il 70%; mentre la quota di scambi intra PTM mediamente non supera l'1,5%.
Non è casuale che, ad eccezione di Siria e Algeria avvantaggiate dall'export d'idrocarburi, le bilance commerciali dei PTM sono tutte deficitarie.

Rispetto a questa realtà, l'Italia, nel decennio 1992-2001, ha fatto registrare un andamento altalenante e perciò preoccupante che ha visto aumentare la quota del suo import dal 10,4 al 12,4% e diminuire quella export dal 14,1 al 11,2%. La Spagna, invece, incrementa sia l'import (dal 7,8 al 12,6%) sia l'export (dal 12,1 al 14,9%), superando finanche la Francia, e portando la quota dell'export spagnolo al primo posto fra i paesi del sud Europa.

La Libia è l'unico paese di cui l'Italia è il principale fornitore. Peccato che il paese di Gheddafi è l'unico rivierasco ad essere stato escluso dagli accordi di Barcellona, per via di un embargo che più che la Libia sembra mirato a penalizzare l'export italiano verso quel ricco paese.

Le cose non marciano nemmeno nel campo della procedura di spesa comunitaria per il finanziamento delle azioni compensative del partenariato ( programmi MEDA) che sta determinando la formazione di rilevanti "residui passivi": per il primo Meda (1995-99) la capacità di spesa è stata del 37% rispetto alle disponibilità, mentre per il secondo (2000-2006) si viaggia con una media di circa il 40%.

Anche gli investimenti diretti esteri (IDE) privati verso i 10 PTM mostrano un andamento contraddittorio, con alti e bassi anche significativi nel biennio 2000-2001: crescono in Algeria (da 297 a 1319 milioni di euro), in Marocco (da 281 a 3.023) e in Turchia (da 1063 a 3.647), diminuiscono in Tunisia (da 843 a 466 ) e in Israele (da 4755 a 3399).            

Nonostante le agevolazioni e le garanzie fornite dai governi, il flusso degli investimenti privati verso i PTM è ancora poco incisivo: nel 2001 non ha superato i 15.000 milioni (mln) di euro, mentre, nello stesso anno, gli investimenti esteri effettuati nel piccolo Belgio hanno sfiorato la cifra di 24.000 mln di euro.

Le condizioni dello scambio non sono dunque pienamente libere e- per taluni versi- addirittura ineguali; tali cioè da favorire le produzioni del centro-nord europeo, a scapito delle produzioni locali dei PTM i quali, con l'abolizione dei tassi doganali, verrebbero a perdere importanti cespiti che alimentano i bilanci dei singoli Stati.

In Marocco e in Tunisia, paesi che hanno già ratificato l'adesione alla ZLS, si cominciano ad avvertire gli effetti dei tagli, anche pesanti, alla spesa sociale (assistenza, scuola, sanità, ecc), dovuti al venir meno delle entrate doganali.

Nella ZLS euromediterranea, infine, confluiranno i 10 PTM con una popolazione di 238 milioni di abitanti e i 15 UE con 377, 3 milioni di abitanti (più i 10 PECO con circa 150 milioni); le due realtà demografiche presentano disparità di reddito pro-capite davvero abissale: si va dai 1.297 euri/annui di un marocchino ai 47.470 euri di un lussemburghese ( 36 volte superiore di quello del suo omologo statistico marocchino), dai 2.412 euri di un turco ai 26.500 euri di un inglese.

Un PIL pro capite così basso è sinonimo di un potere d'acquisto molto debole che rende inappetibili quei mercati e spinge i giovani ad emigrare in Europa.

Così perdurando la situazione, la forbice del divario si allargherà anche a causa del forte incremento demografico che nel 2025, secondo le previsioni Onu, porterà la popolazione dei 10 PTM a 328,3 mln (+ 90,3 mln), mentre nei 15 UE arriverà  388,3 mln (+ 11 mln, in gran parte emigrati dall'Africa e dal Medio oriente).

Oltre il dato meramente quantitativo, la crescita demografica dei PTM provocherà la formazione di una vasta area di emarginazione sociale, composta da decine di milioni di giovani che non potranno essere assorbiti dal mercato del lavoro locale e tenteranno, con tutti i mezzi, d'emigrare in Europa.

Un problema enorme, ben oltre le dimensioni di quello attuale delle centinaia d'immigrati clandestini, che solo una grande e sincero sforzo di cooperazione potrà evitare di esplodere.

In questo scenario, caratterizzato da gravi divari ma anche da interessanti opportunità, la Sicilia non può continuare a rivendicare, in astratto, la sua centralità storica e geografica, ma deve attrezzarsi (perché attrezzata non è) per proporsi come uno dei luoghi privilegiati del partenariato.

Oggi l'isola appare segnata da un preoccupante declino politico ed economico, anche dal punto di vista degli scambi con l'estero (- 6,2% nel 2002 secondo Bankitalia), che non può essere fermato con vaghe promesse di cooperazione o con qualche master fra Palermo e Catania, ma con programmi seri e fattibili, alla ricerca dell'isola "che non c'è", ossia di una realtà produttiva ed efficiente, tutta da costruire, capace di produrre beni e servizi di qualità per il mercato euromediterraneo.

Annessi:

Tabella n. 1

PARTE % DELL'U.E. NEL COMMERCIO ESTERO DEI PAESI TERZI MEDITERRANEI (1992-2001) %

 
1992
2001
PAESE Import  Export Bil. Comm/le  Import Export Bil. Comm/le
%
%
mil. Euro
%
%
mil. Euro

Cipro

56,0

42,2

- 1.777

50,8

38,3

- 2.840

Algeria

63,2

72,8

- 2.196

59,4

64,5

10.638

Egitto

41,1

38,9

- 4.030

29,5

31,4

- 9.009

Israele

52,3

36,0

- 3.674

41,8

26,3

- 3.963

Giordania

31,6

3,0

- 1.569

31,5

3,7

- 2.806

Libano

50,4*

15,0

n.d.

45,9**

24,1**

n.d.

Marocco

53,9

64,0

- 2.603

57,9***

74,7***

- 4.311

Malta

77,9

75,6

n.d.

60,0***

34,4***

n.d.

Palestina

0,1***

0,0

n.d.

15,4**

4,1**

n.d.

Siria

40,0

63,0

- 592

29,6***

65,0***

6.557

Tunisia

73,2

78,2

- 1.569

70,7

79,8

- 2.641

Turchia

46,6

53,9

- 6.328

44,2

51,4

- 5.066

* = 1994 ; **= 1999 ; ***= 2000

Fonte : nostra elaborazione su dati " Euro-Mediterranean Statistics-2002"- Eurostat


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