( Saddam Hussein )
La
lezione irachena e la lotta per la libertà Un’indiretta conferma di tale ricostruzione la si può ricavare dallo svolgimento dell’operazione “alba rossa” in cui sono stati impegnati 600 uomini (fra curdi e statunitensi) i quali, senza colpo ferire, hanno catturato il dittatore, già prigioniero, in quella tana per topi. Cattura rumorosa, dunque, ma per nulla eroica. In questa strana guerra “preventiva” si sta abusando dell’aggettivo “eroico”, in altri tempi riferito a casi davvero emblematici ed eccezionali. Comunque siano andate le cose, l’arresto di Saddam libera il campo di una presenza ossessionante, perciò è una buona notizia per tutti gli amanti della pace e della libertà e soprattutto per quanti hanno, effettivamente, subito morte e sofferenze inenarrabili a causa di quella spietata dittatura. Per molti, invece, dovrebbe essere, più sommessamente, un’occasione di sincera meditazione affinché, passandosi una mano sulla coscienza, dicano al mondo se hanno o non hanno fatto tutto il possibile per impedire al dittatore iracheno di costruire e rafforzare il suo sistema di potere assolutistico e crudele. Senza una seria riflessione la lezione irachena non servirà a nessuno: né agli iracheni che l’hanno subita sulla loro pelle, né a quanti si sono assunti - in modo unilaterale- il ruolo di liberatori. Da
baluardo a nemico efferato dell’Occidente Erano gli anni ’80, un periodo d’oro per Saddam saldamente insediato al potere dopo aver soppiantato il presidente legittimo ed eliminato, anche fisicamente, centinaia di oppositori interni al suo stesso partito (il Baath) e fra i partiti nazionalisti e di sinistra ex alleati di governo, fra cui l’intero gruppo dirigente del Partito comunista iracheno. Fra le prime immagini inviate dalla CNN nel giorno della cattura del dittatore, ne abbiamo visto una davvero autentica e fugace (forse sfuggita alla censura di guerra) che mostrava le manifestazioni di giubilo dei militanti comunisti che sventolavano le loro eroiche bandiere rosse. Qui l’aggettivo “eroico” è più che appropriato, poiché sotto Saddam chi si professava comunista veniva incarcerato, torturato e sovente anche ucciso. Insieme ai comunisti iracheni, hanno sicuramente diritto di gioire le popolazioni curde, soprattutto quelle che sono state gasate col micidiale “sarin”, e gli sciiti del sud perseguitati per tutto il periodo della guerra Iran-Iraq. Queste sono state le principali vittime, e non a caso, della sanguinosa repressione di Saddam Hussein. Tutti gli altri, quelli che oggi inalberano i vessilli della libertà, soprattutto all’esterno dell’Iraq, prima di esultare, dovrebbero spiegare al mondo alcuni “passaggi” cruciali, ancora non del tutto chiari. Non è un mistero che vari governi occidentali e regimi arabi (Usa e sauditi in testa) mobilitarono i loro mass-media per presentare Saddam all’opinione pubblica mondiale come l’eroe che, scatenando la guerra di aggressione contro l’Iran sciita, s’interponeva come una diga (armata di tutto punto dalle potenze della Nato e del Patto di Varsavia) fra l’ondata minacciosa della rivoluzione khomeynista e gli immensi giacimenti di petrolio iracheni e della penisola arabica. Tutto
era permesso al tiranno, anche l’uso delle armi chimiche Già in quella guerra, Saddam usò le armi chimiche, tuttavia nessuno in Occidente e in Oriente si scandalizzò più di tanto, né sui giornali né nelle assisi internazionali. Addirittura, al Consiglio di sicurezza e nell’Assemblea generale dell’Onu furono bloccate diverse risoluzioni di condanna presentate dagli iraniani. Allora tutto era consentito al grande dittatore che stava salvando i pozzi di petrolio (e quindi garantito il regolare rifornimento all’occidente) e che, per altro, continuava ad acquistare costosi sistemi d’arma dai principali Paesi della Nato e del blocco orientale. Un affare lucroso per decine e centinaia di miliardi di dollari, al quale parteciparono anche diverse imprese italiane, pubbliche e private, che vendettero all’Iraq di Saddam un’intera flotta militare, componenti per costruire il temutissimo “supercannone” e perfino materiali per la fabbricazione di ordigni chimici. Alcune di queste operazioni scatenarono, all’interno del variegato mondo dei mercanti d’armi, gravi contrasti e oscure trame; in una di queste restò impigliata la filiale di Atlanta della Banca Nazionale del Lavoro. A parte questo, tutto filò liscio come… il petrolio. Con la benedizione dei vari governi che facevano a gara per ingraziarsi i favori di Saddam e del suo entourage, ovvero di tutti quei personaggi raffigurati nel famoso mazzo di carte da poker. Un
processo internazionale per accertare tutte le responsabilità
E non per ritorsione polemica, ma per amore della verità storica e soprattutto per evitare che questo improvviso “impulso di democratizzazione”, imposta con la guerra preventiva, si possa esaurire con la cattura di Saddam; lasciando indisturbati altre decine di dittatori, arabi e non, di continuare ad opprimere miliardi di uomini nella più assoluta impunità, coperti dal più inverecondo silenzio-stampa. Per queste ragioni è auspicabile che Saddam Hussein arrivi vivo e cosciente al processo che dovrà essere svolto secondo le norme del diritto internazionale, evitando sentenze sommarie e vendicative, affinché l’imputato abbia la possibilità di raccontare ai giudici tutta la verità in ordine alle sue tremende responsabilità e a quelle di chi lo ha collaborato e aiutato, dentro e fuori l’Iraq. Poiché è chiaro che, da solo, non poteva fare tutto quello di cui è accusato. Il processo potrebbe essere, dunque, l’occasione per fare piena luce sugli ultimi 30 della storia politica e sociale dell’Iraq e delle sue relazioni internazionali. Solo partendo da questo fondamentale chiarimento, si potrà avviare, con l’intervento dell’Onu, un autentico processo di riconciliazione nazionale e di transizione democratica, basato sulla partecipazione e sull’autogoverno del popolo iracheno. Il
dopo Saddam è cominciato prima della guerra E’ davvero stupefacente assistere alla preoccupante inefficienza dei servizi segreti più agguerriti del mondo, dotati di sistemi informativi e di mezzi sofisticatissimi, i quali non riescano a prevenire nulla (dall’attentato dell’11 settembre alle torri gemelle a quello di Nassirya e ai tanti altri che si verificano quotidianamente), e soprattutto ad arrestare, senza l’incentivo di cospicue taglie, gli ideatori e i responsabili dei vari gruppi operativi. Così come non si capisce cosa stiano facendo i famosi e super pagati analisti della Casa bianca, del Pentagono, della Cia e dei vari Paesi della coalizione; quali analisi forniscono ai governi committenti visto che sembrano correre verso le sabbie mobili di una guerriglia atipica, condotta con metodi terroristici e sulla base di una forte motivazione religiosa e patriottica, che potrebbe addirittura sfociare in una guerra civile e quindi infiammare l’Iraq e le aree contigue. Tutto ciò è strano, molto strano. Oppure i responsabili politici desiderano far degenerare la situazione proprio in questa direzione? Per quali obiettivi? Forse per legittimare la “guerra di civiltà” già preventivata dai fondamentalisti d’Occidente e d’Oriente? Mai la politica si è mostrata così avventata come, oggi, in Iraq. Perciò, l’Europa e l’Italia non dovrebbero farsi trascinare in questa pericolosa avventura. Anzi, devono reclamare, con più forza e unità, la fine dell’occupazione militare straniera dell’Iraq e il passaggio sotto la responsabilità dell’Onu con l’obiettivo di favorire la nascita di una democrazia in quel tormentato Paese. Senza pretendere d’indicare, o peggio di esportare, il nostro modello…
Agostino Spataro Avvertenza: ( torna su ) |
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