La scrittura, le ingiustizie, l’impegno, le radici siciliane
Quelle annotazioni critiche del compagno Camilleri
di Agostino Spataro

E’ a tutti noto che Andrea Camilleri continua a dichiararsi comunista, orgogliosamente.

Addirittura, nell’intervista pubblicata nelle pagine precedenti, rafforza la sua asserzione: “Sono stato un comunista vero e non rinnego nulla del mio passato... marxista da sempre, da quando sono nato e non lo sapevo”.

Quello che, forse, molti non sanno è che egli vive questa appartenenza come militanza attiva, appassionata e sofferta come tanti, con umano trasporto.

E’ questa la scoperta che ognuno può fare leggendo in questo “speciale” di aprile l’ampio estratto della video-intervista che il “papà” del commissario Montalbano ha rilasciato a Tonino Calà e a Michele Morreale, in occasione della Festa de l’Unità di Mussomeli.

Nulla di sconvolgente, solo una piacevole chiacchierata nella sua casa di Porto Empedocle fra compagni della stessa terra, accomunati, oltre che dall’idea, da quell’umanesimo provinciale che è poi la dimensione più sana e pulsante della realtà del partito.

Purtroppo, passando dal video allo scritto si perdono gli effetti più accattivanti che sono la pastosa parlata e l’incontenibile gesticolare dello scrittore. E non si tratta di un “altro” Camilleri o del suo doppio, ma dello stesso scrittore che, negli ultimi anni, abbiamo visto letteralmente subissato da uno strepitoso successo editoriale, in Italia e all’estero.

Un Camilleri vero, dunque. Come ho potuto costatare, in quella tiepida sera di settembre a Mussomeli, insieme a centinaia di persone che, a turno, si sono riunite intorno al monitor per ascoltare l’illustre relatore, arrivato in quello stand... via etere. Un’atmosfera un po’ surreale, animata dal faccione pacioso di Camilleri che ragiona sopra un vasto catalogo di temi scottanti: dal successo dei suoi libri presso il pubblico alla scarsa fortuna incontrata presso i critici, anche di sinistra; dalle guerre che insanguinano il mondo ai dilemmi originati dalle religioni e dai conflitti che, spesso, si scatenano in loro nome. Accenna anche ai personaggi emblematici (non solo Montalbano) dei suoi romanzi, alcuni dei quali hanno preconizzato l’involuzione politica e morale che funesta la Sicilia.

Lo scrittore conferma il suo radicamento alla terra natale, alla provincia di Agrigento, certo sfigurata da tante ingiustizie, ma (o forse per questo) prolifica di scrittori di grande spessore e tiratura (Pirandello, Sciascia, Camilleri, ecc). Qui, infatti, non c’è da essere molto immaginifici poiché la realtà stessa è immaginazione e rappresentazione.

Tuttavia, il tema centrale, e più coinvolgente, è quello relativo al suo impegno politico e civile: il Partito (con la p maiuscola), la sinistra, l’Ulivo, gli errori e le speranze di cambiamento; ed anche i sindacati, i girotondini, la gente e i loro drammatici problemi.

Le sue notazioni critiche non sono frutto di una lamentazione senile o di nostalgico rimpianto, ma scaturiscono da un ragionamento, da un pacato e suadente argomentare venato da uno spiccato spirito di lotta.

Appare evidente che il tema lo tocchi intimamente. Il suo volto, ora rubicondo e un po’ tirato, sembra varcare lo schermo per andarsi ad “assittari supra na seggia” di fronte alla massa che, seppure stordita dai fragori di musiche profane e da un viluppo di scie appetitose, si accalca per non perdersi neanche una sillaba.

Parla e fuma il compagno Camilleri, una sigaretta dopo l’altra.

Parlano anche le sue mani inquiete e gli occhi vigili dietro le lenti chiare.

Ogni tanto un sorriso spezza la sequela di movimenti minimi che, in filigrana, gli attraversano il viso, tradendo l’amarezza per gli “errori compiuti dal Partito che - sottolinea - ho elencato, ad uno ad uno, nella prefazione, richiestami da Giovanni Berlinguer, per il libro del correntone dei Ds... dei quali il principale è stato quello di operare una frattura fra la base e la dirigenza...” (il libro è quello che raccolse gli interventi del correntone nel Congresso della Quercia di Pesaro nel 2000).

Così come fra partito e sindacato, si è verificato un distacco “grandissimo e tremendo” che ha spezzato il legame con i “nostri lavoratori”.

Per lo scrittore il problema è, dunque, la dirigenza che continua ad operare in “totale distacco” dalla base e dai bisogni della gente. Da qui, anche, l’avvicinamento ai girotondini perché “erano un pungolo verso i nostri politici, erano un additivo per fare agire meglio il Partito”.

Per fortuna, la situazione sta cambiando (“per implosione del Polo non per merito nostro”) ed è possibile tornare a vincere, “purché si eviti, da parte di taluno, di parlare a vanvera... Altrimenti perdiamo le coordinate”.

Ecco, dunque, un Andrea Camilleri inedito, critico ma anche fiducioso nel cambiamento della situazione politica italiana. Uno scrittore al quale lo scrivere – confessa – costa fatica, che si definisce “un cantastorie” e un gran privilegiato dalla vita. Un uomo anziano al culmine del successo che ancora s’indigna contro le ingiustizie e si commuove di fronte alla lettera inviatagli da una giovane lettrice, malata terminale.

Dall’alto delle sue 10 milioni di copie vendute, potrebbe snobbare, come fanno tanti, i problemi della gente e le vicissitudini della politica. Invece si è presentato al pubblico della Festa de l’Unità di un piccolo centro della Sicilia interna, non come un divo ma come un compagno che brucia perché ama la sua terra e il suo partito.

Gli scrittori, solitamente, lasciano parlare i loro libri. Qui ha parlato Camilleri con parole semplici, efficaci e taglienti all’occorrenza, dettate da una straordinaria carica di umanità. Merce rara di questi tempi che non trova riscontro nell’agire politico di certi dirigenti che si mostrano interessati soltanto al loro personale destino elettorale.

Insomma, una bella lezione di politica ed anche di umiltà e solidarietà.

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