22 gennaio 2008


Bush in Medio Oriente, un viaggio di scarso valore politico


di Rudy Caparrini

Il presidente americano George W. Bush ha compiuto, dal 9 al 16 gennaio, una missione diplomatica ad ampio raggio in Medio Oriente, dove ha visitato sette Stati. L'evento è stato ovviamente molto seguito dai media internazionali, che hanno fornito ampia informazione del tour del capo della Casa Bianca. Dai molteplici reportage relativi all'evento, che ogni giorno comparivano sugli organi di stampa di tutto il mondo, si era portati a pensare che la missione diplomatica del leader statunitense avesse prodotto effetti decisivi, utili a sbloccare almeno alcuni dei molteplici contenziosi che affliggono la regione più instabile del mondo intero.

In realtà, compiendo un'analisi a mente fredda, sembra che il viaggio di Bush non abbia, invece, sortito alcun effetto sostanziale. Il tour di Bush appare di scarsa utilità per le sorti complessive della regione. A ben vedere, sembra essere stato un classico giro di fine mandato, una vera e propria passerella, utile per essere raccontata dai media ma di dubbio impatto politico e diplomatico.

Due sono le ragioni che inducono a una prudenza assoluta sull'esito di tale viaggio: il fatto che Bush jr. è a termine del mandato; la constatazione che troppi temi fondamentali siano stati colpevolmente ignorati in tale occasione. Gli impegni contratti da Bush, o meglio i suoi proclami mediatici, potrebbero avere validità solo nel caso vi fosse la reale possibilità di raggiungere obiettivi nel breve periodo, ovvero entro il termine del 2008. Dopo tale data, le intenzioni proclamate dall'ex governatore del Texas non varranno in alcun modo per una ragione assai semplice: la sua amministrazione non avrà continuità. George W. non sarà più il presidente e i suoi uomini non sembrano destinati a occupare ruoli di valore decisionale.

A prescindere da chi sarà il vincitore della kermesse elettorale americana, non è pensabile che Dick Cheney o Condoleezza Rice (e neppure i consiglieri neocon) possano avere un peso nella futura amministrazione. Il metodo tutto americano dello spoil system, infatti, lascia pensare che il nuovo presidente sceglierà uomini di sua fiducia rimuovendo quindi gli attuali decision makers in materia di politica estera. Pertanto, le linee guida indicata da Bush nel suo tour in Medio Oriente decadranno 'rebus sic stantibus' con la fine della sua amministrazione. Questa riflessione è già sufficiente a sminuire l'entusiasmo, decisamente ingiustificato, derivato dalle promesse spese dal Presidente nella sua visita ufficiale nella regione.

In secondo luogo, molto discutibile si presenta pure la scelta delle priorità cui l'amministrazione di Washington pensa di dedicare le sue residue energie politiche e diplomatiche. Bush ha puntato tutto sul contenzioso palestinese e sul Golfo Persico, al fine di creare un'ampia alleanza contro l'Iran. I risultati non sembrano troppo esaltanti in nessuno dei due casi.

Non pare siano stati compiuti progressi di nessun tipo riguardo al contenzioso fra Israele e Autorità nazionale palestinese (Anp). Bush si è incontrato con due leader dimezzati quali il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente dell'Anp Abu Mazen, vere 'anatre zoppe' e con autorità ridotta. Olmert è debole quanto mai e passibile di essere indotto alle dimissioni, nel caso che su di lui saranno confermate certe accuse da parte della commissione Winograd, incaricata di fare luce sulla guerra in Libano dell'estate 2006. Abu Mazen, da parte sua, è il leader solo di metà dei palestinesi, avendo egli perduto il controllo della Striscia di Gaza, dove l'autorità è retta dal partito islamico Hamas, nemico giurato del presidente e del suo partito Fatah. Un'intesa fra Olmert e Abu Mazen, per quanto difficile da trovare, non sarebbe certo garanzia di essere di essere applicata vista la precarietà dei due leader.

Sul fronte Iran, il Presidente non pare riscuotere un consenso unanime per la linea dura contro Teheran, né a livello di governi né fra l'opinione pubblica. I Paesi del Golfo Persico, pur ribadendo il legame con Washington, non sembrano disposti a entrare in urto con l'Iran, col quale pare vogliano invece creare legami per intensificare la cooperazione nell'area. Lo stesso Kuwait, infatti, sembra intenzionato ad avere rapporti con l'Iran, come dimostrato dalla visita del ministro degli esteri kuwaitiano a Teheran, un gesto che certo Bush non avrà gradito. Quanto all'opinione pubblica, leggendo vari commenti apparsi sui principali giornali dei Paesi arabi, sembra piuttosto di capire che la determinazione di Bush nel voler imporre il suo pensiero stia contribuendo a creare un'antipatia ancora maggiore nei confronti degli Stati Uniti, visti come potenza neo-imperialista che intende esercitare il controllo sulla regione in modo autoritario.

Durante il suo viaggio, inoltre, Bush ha mostrato scarso acume politico nell'ignorare questioni di cruciale valore. Nel corso della missione, il presidente Usa ha del tutto ignorato due contenziosi fondamentali per la stabilizzazione del Medio Oriente: quello del Libano, sull'orlo di una nuova guerra civile; la contesa per le alture del Golan, che vede contrapposti Siria e Israele. Tali omissioni rivelano che l'amministrazione Bush non ha in mente un progetto concreto di natura globale per affrontare le problematiche della regione. Senza un piano complessivo che tenga conto di tutte le questioni ancora aperte, capace di coinvolgere nel negoziato tutti gli Stati arabi, non sarà certo possibile favorire un avanzamento del processo di pace fra israeliani e palestinesi.

Il tour di Bush in Medio Oriente è da considerarsi come un importante evento mediatico, capace di far parlare le cronache. Difficilmente, tuttavia, potrà incidere sulle sorti del Medio Oriente. Gli obiettivi evocati non paiono possibili da raggiungere entro il 2008 e nel 2009 tali questioni non saranno più competenza di George W. Bush e del suo staff.

 

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