SOMMARIO
1 L’area geografica: il Maghreb.
2 L’origine della parola.
3 Alcuni accenni etnologici.
4 La lingua berbera.
5 La ripartizione attuale della lingua berbera in Africa.
6 La scrittura.
7 L’organizzaz ione politica.
1.
L’area geografica: il Maghreb
Il deserto del
Sahara, che si estende per oltre cinquemila chilometri dall’Oceano
atlantico al Mar Rosso con un’ampiezza media di duemila chilometri,
ha costituito fin dai tempi più antichi una barriera fra le
popolazioni che si erano stanziate lungo la fascia mediterranea e
quelle insediate invece a sud del deserto. La differenziazione tra
questi insediamenti ha dato origine alla distinzione tra “Africa
bianca” e “Africa nera”.
L’Africa bianca si protende dallo stretto di Gibilterra al canale
di Suez ed è limitata a nord dal Mediterraneo e a sud dal deserto
del Sahara.
Questa regione non si presenta fisicamente in modo omogeneo. Ad oriente
la Libia e l’Egitto morfologicamente appaiono come la naturale
continuazione dell’Africa sahariana, regioni caratterizzate
da tavolati aridi e desertici, resi fertili nella parte più
orientale dalla presenza del fiume Nilo; nella zona occidentale invece,
si rileva una tipica terra mediterranea con la presenza di catene
montuose più recenti (sorte contemporaneamente alle Alpi) durante
l’orogenesi alpina.
Il nome “Maghreb” con cui viene comunemente identificata
la porzione nord-occidentale di tale regione, comprendente il Marocco,
l’Algeria e la Tunisia, deriva dal termine arabo “ al-maghrib”
(luogo in cui tramonta il sole).
-Marocco:
Situato nella parte più occidentale dell’Africa mediterranea,
il Marocco comprende pressoché interamente la regione dominata
dal sistema montuoso dell’ Atlante, costituito da massicci geologicamente
giovani. Tale sistema si suddivide in tre catene principali separate
tra loro da vasti altipiani o da valli profonde, che costituiscono
le vie di comunicazione naturali fra le varie regioni. La catena più
alta è quella mediana che prende il nome di Alto Atlante. Quella
più settentrionale è il Medio Atlante, che si salda
attraverso una stretta depressione naturale al Rif: una serie di rilievi
che si protendono verso le coste del Mediterraneo. A sud l’Alto
Atlante confluisce nell’ Anti Atlante, la catena più
meridionale, che degrada verso le regioni desertiche del Sahara marocchino.
I fiumi, per la vicinanza al mare delle catene montuose, hanno un
corso sempre molto breve, ma la loro portata è abbondante e
permette un’intensa irrigazione del suolo.
-Algeria :
L’Algeria occupa tutta la parte mediana della regione dell’Atlante
e si spinge a sud fino al cuore del deserto sahariano.
L’Atlante si sdoppia in due rami principali, uno meridionale,
l’ Atlante sahariano che affonda le sue pendici meridionali
nel Sahara, e l’altro settentrionale, l’ Atlante Telliano,
costituito da una serie di massicci poco elevati che spingono i loro
contrafforti fino al mare dando vita ad una costa frastagliata. Tra
le due catene si aprono altipiani stretti e allungati caratterizzati
da depressioni occupate da laghi salmastri, alimentati da corsi d’acqua
provenienti dai versanti interni del Tell e dell’Atlante Sahariano.
Una fascia di oasi che si allineano alle falde del versante meridionale
dell’Atlante sahariano, costituisce il limite con il deserto.
Il Sahara algerino, che costituisce l’ottanta percento del territorio
nazionale, comprende sia il deserto di sabbia (erg) che quello roccioso
(hammada). Al centro del deserto algerino s’innalza l’imponente
massiccio vulcanico dell’ Ahaggar.
2
L’origine della parola
L’origine della parola berbero non risale agli stessi indigeni,
ma agli arabi che, conquistando le regioni nord africane, chiamarono
al-Barbar (il corrispettivo verbo veniva adoperato dai geografi arabi
del Medioevo con il significato di: “parlare molto ad alta voce,
mormorare , blaterare”) tutte le popolazioni autoctone che incontrarono.
Può ritenersi verosimile che gli arabi ne avessero derivato
tale designazione venendo a contatto nelle città costiere con
i residui dell’elemento greco e latino e avendo appreso da esso
i termini BàpBapoç
e barbarus (in latino tale termine indicava l’individuo incolto
appartenente a popolazioni che vivevano al di fuori dell’ orbis
romanus) Tuttavia, vi è qualche traccia di nomi propri di frazioni
della stirpe originaria da cui potrebbe essere derivato il nome al-Barbar
con successiva estensione a tutto il complesso della popolazione.
Presso i Berberi attuali, tuttavia, questa denominazione è
generalmente intesa come di provenienza straniera. I singoli gruppi
usano per designarsi nomi differenti, in particolare quello di Imazighen
(sing. Amazigh) il cui significato originario sembra essere assimilabile
a quello di “uomo libero”, o ancora, “uomo di nobile
stirpe”. Il vocabolo Amazigh si manifesta con varietà
fonetiche e morfologiche e si rileva esistente sin dall’antichità,
estrapolandolo dalle forme ellenizzate e latinizzate dei termini:
Màlikeç
e
Mazices.
A sua volta qualche gruppo che designa se stesso con il nome di Imazighen
applica lo stesso nome a tutte le altre popolazioni parlanti lingue
berbere, sicché può essere ritenuto come nome identificativo
maggiormente diffuso.
3
Alcuni accenni etnologici
Considerando
lo strato etnico primitivo dell’Africa del nord e le successive
sovrapposizioni di altri popoli, emergono due questioni essenziali:
-quale sia l’origine di tale substrato.
-se i contatti con le altre popolazioni in epoca storica ne abbiano
alterato profondamente la fisionomia etnica.
La prima questione è stata ed è tuttora dibattuta fra
antropologi, storici
e linguisti.
Le principali teorie sviluppatesi sono le seguenti: Origine africana:
i berberi insieme ad egiziani, nubiani, abissini, galla, somali ecc…
formano il gruppo etnico camitico , autoctono dell’Africa, e
che avrebbe avuto la sua origine nell’attuale Etiopia, da dove
si sarebbe diffuso in altri paesi africani e sarebbe emigrato anche
nell’Europa Meridionale. E’ questa la teoria (legata al
nome di Giuseppe Sergi) della stirpe mediterranea, che afferma le
affinità antropologiche dei popoli abitanti intorno al bacino
del mar Mediterraneo, i quali sono compresi poi in un gruppo più
grande: quello camitico.
Dediti alla pastorizia e al nomadismo, i camiti hanno caratteri somatici
europoidi, maggiormente accentuati nei gruppi settentrionali; nel
corso delle loro migrazioni e conquiste nell’Africa settentrionale
e orientale hanno determinato il destino etnico, politico e culturale
di gran parte del continente africano.
Origine asiatica: in base alle affinità rilevate fra la famiglia
linguistica camitica e quella semitica, si è sostenuto che
dall’Asia mediorientale (Yemen e Siria), patria comune dei due
rami, quello camitico, cui appartengono i berberi, si sarebbe spostato
in Africa, diffondendosi nelle regioni nord-orientali e settentrionali.
Teoria confutata, però già da Ibn Khaldun 25 , che scriveva
nella sua “Histoire des Berbères”: “L’opinion
[…] qui les fait émigrer de Syrie […] est tellement
insoutenable qu’elle merite d’être rangée
au nombre des fables”
Origine mista: le popolazioni berbere sarebbero composte di elementi
diversi, più o meno fusi fra di loro, in parte autoctoni dell’Africa,
in parte provenienti da Europa e Asia. In ambito linguistico questa
teoria viene sposata da Greenberg che supera la presunta dicotomia
tra i due gruppi etnici (camitico e semitico) affermandone la comune
origine verificata nell’individuazione di un’unica famiglia
linguistica, cioè quella afroasiatica, suddivisa al suo interno
in cinque sottogruppi (semitico, cuscita, berbero, egiziano antico
e ciadico).
Considerando la quantità di invasioni e dominazioni di popoli
stranieri e la frequenza in epoche preistoriche degli spostamenti
e delle migrazioni di gruppi etnici differenti, si può ritenere
che il concetto di origine mista sia il più verosimile. Infatti,
gli studi più recenti tendono a considerare i popoli nordafricani
come originariamente composti da elementi diversi, alcuni presentando
affinità con popolazioni mediterranee e del continente europeo,
altri con quelle di provenienza asiatica.
La seconda questione che analizza se la compagine berbera esistente
in epoca remota nell’Africa settentrionale si sia alterata e
trasformata per i contatti avuti con altri popoli dal I millennio
a.C. in poi, è stata oggetto di ampi studi.
Per quanto riguarda il periodo antico, risulta che fenici, greci,
romani, vandali e bizantini che dominarono le regioni abitate dai
berberi, non vi apportarono grandi quantità di popolazione
nuova che, mescolandosi con quella indigena, ne potesse alterare notevolmente
la fisionomia etnica. Inoltre, l’elemento colonizzatore vive
va generalmente separato rispetto a quello autoctono.
Per quanto riguarda i contatti con il mondo arabo, occorre distinguere
due momenti. Durante il primo, stimabile intorno al 642 d.C., sotto
il Califfato di ‘Umar ibn al-Khattab (634-644), gli arabi attuarono
molte spedizioni nell’Africa settentrionale, che dominarono
per qualche tempo tra frequenti ribellioni di indigeni, e il formarsi
di governi indipendenti dal Califfato. Il dominio arabo ne risultò
indebolito, per essere in seguito eliminato nel X sec. In questo periodo
non vi furono spostamenti di grandi masse di popolazione araba tali
da determinare un mescolamento con quella berbera.
Nel secolo XI avvenne, invece, la famosa invasione della tribù
dei Banu Hilal e di quella dei Banu Sulaim che occuparono molte regioni
nordafricane 27 . Gli storici moderni, riprendendo un’idea avanzata
per la prima volta da Ibn Khaldun, sono soliti attribuire proprio
a questo episodio il declino della vita sedentaria nel Maghreb. Si
ritiene che tali incursioni abbiano profondamente segnato tutta la
storia successiva, ponendo fine alla presenza di autorità stabili
in grado di garantire lo sviluppo agricolo, modificando la destinazione
delle terre e facendo penetrare presso la popolazione locale un’ondata
di immigrazione araba. Occorre però precisare che i Banu Hilal
penetrarono in Tunisia attraversando l’Egitto nella prima metà
del XI secolo. Essi assecondavano la politica della dinastia fatimide
nell’area egiziana tendente ad indebolire il potere degli Ziriti,
i governanti locali di Qayrawan,che erano stati vassalli dei Fatimidi
ma si erano sottratti
alla loro obbedienza. Gli Ziriti, però, stavano perdendo la
loro forza, a causa del declino commerciale di Qayrawan, e il loro
regno si stava disintegrando in una serie di principati basati su
città di provincia. Può essere probabile che siano stati
l’indebolimento dell’autorità e il declino dei
commerci, e quindi della domanda, a rendere possibile l’espansione
della pastorizia. Senza dubbio tale espansione causò distruzioni
e disordine, ma non sembra che i Banu Hilal fossero ostili in linea
di principio alla vita dei sedentari poiché intrattenevano
relazioni con le preesistenti dinastie. Se in quest’epoca vi
fu un avvicendamento nell’equilibrio rurale, è possibile
che esso sia dipeso anche da altre cause. L’espansione della
pastorizia, fu quindi, forse più l’effetto che la causa
principale del collasso della società agricola.
Riguardo alla consistenza dell’ondata migratoria, le teorie
in proposito sono divergenti: non sembra che i Banu Hilal fossero
così numerosi da sostituire con elementi arabi la popolazione
berbera, vero è, però, che da questo momento in poi,
vi fu, effettivamente, un’espansione della lingua araba, ma
la sua causa non fu tanto la diffusione delle tribù quanto
l’ assimilazione di berberi al loro interno. Prescindendo dall’effettivo
quantitativo numerico, con questa immigrazione si ha un vero e proprio
incremento della popolazione araba rispetto a quella berbera. Alcuni
gruppi di essa si sono conservati intatti, altri si sono mescolati
agli indigeni, molti dei quali si sono arabizzati nel linguaggio.
Alcuni antropologi, ed in particolare Chantre all’inizio del
secolo, hanno proceduto all’esame diretto dei caratteri somatici
delle popolazioni locali e hanno riscontrato il tipo arabo sporadicamente
solo in qualche individuo, mentre i gruppi che si definiscono di origine
araba o prodotto di mescolanza di arabi con berberi, sarebbero composti
in realtà da berberi arabizzati o islamizzati più profondamente
di altri. L’originario elemento berbero si sarebbe quindi mantenuto
intatto non solo attraverso i contatti con i dominatori e colonizzatori
del periodo antico della conquista araba, ma anche attraverso l’immigrazione
delle tribù gia citate dei Banu Hilal e dei Banu Sulaim. A
spiegazione di come l’invasione, per quanto documentata storicamente,
non abbia lasciato tracce dal punto di vista etnico, gli antropologi,
sostengono che essa non fosse composta tutta da arabi, ma in parte
da popolazioni dell’Africa nord orientale aggregatesi al movimento
migratorio; il nucleo arabo sarebbe quindi stato assorbito, attraverso
il susseguirsi delle generazioni, grazie al fenomeno noto come “fagocitismo”
antropologico.
A proposito dell’etnologia tradizionale è da ricordare
anche la classificazione dei berberi secondo le genealogie indigene
riportate da scrittori arabi, e in particolare da Ibn Khaldun, che
fanno risalire la popolazione a due capostipiti: Baranes, da cui discenderanno
gli agricoltori sedentari, e Madghis (ma anche Botr) il cui nome significa
“privo di discendenza”, dal quale si svilupperà
la stirpe dei nomadi dediti alla pastorizia. Rimane ignota l’origine
da un comune antenato.
I Baranes sarebbero quindi i soli veri Imazighen, i discendenti di
Madghis, invece, i figli adottivi di quest’ultimo, privato della
sua discendenza.
I Botr sembrano rappresentare per Ibn Khaldun un substrato di popolazioni
indigene, molto antico nel nord dell’Africa. All’interno
di questo gruppo, egli annovera gli Zenata, sopraggiunti in un periodo
più recente dalle regioni orientali, che si distinguono grazie
ad un dialetto proprio che ha conservato ancora oggi le sue particolarità.
Il gruppo dei Baranis comprende al suo interno una serie di sottogruppi
tra i quali si ricordano, i Masmuda, sedentari, stanziati nell’area
occidentale lungo le catene montuose dell’Atlante, i Sah Aga:
ulteriormente suddivisi in due rami differenti.
Il ramo sedentario, stabilitosi nelle Cabilie algerine e il ramo nomade
avente come ambiente tradizionale il deserto del Sahara occidentale.
La parentela tra i due gruppi si manifesta nella similitudine dei
dialetti.
Probabilmente questa bipartizione non fa che riprodurre la ben nota
contrapposizione ideale tra nomadi e sedentari, di cui si è
già osservato il peso.
In opposizione alle tesi esposte è il pensiero di Bousquet
che afferma con decisione l’ “inexistence d’une
race berbère” sottolineando la totale mancanza di omogeneità
etnica delle popolazioni in questione “[...] il n’existe
aucune parenté entre les berbérophones de la Kabilie,
par example, ou de l’Aurès, et les habitants du Mzab
ou de Djerba […]” affiancandosi a sua volta alle tesi
di Leblanc, che avendo condotto studi di antropologia fisica e sui
gruppi sanguinei, arriva alla conclusione che solo la presenza di
un gruppo linguistico berbero è l’unico dato certo a
priori. Bousquet sottolinea ancora l’importanza della religione
musulmana come elemento assolutamente non secondario dell’analisi,
in quanto comune denominatore di una immensa comunità internazionale,
che permette ai berberi di fondersi all’interno di un’altra
civiltà, a suo giudizio : “bien supérieure à
leur propre”. Caratterizza la sua concezione un’ultima
precisazione: Bousquet afferma che la concezione di appartenenza ad
un gruppo etnico sia una questione meramente mentale. Il berbero che,
“déberbérophonisé” si avvicina ad
un’altra civiltà (romana, araba, francese) reagirà
secondo gli stimoli provocati da quest’ultima, per quanto non
appartenente ad essa. I berberi non hanno alcun senso di percezione
della loro identità né della loro comunità ed
alcun interesse nell’ evidenziarle: “Ils l’ont aujourd’hui
moins que jamais, et ils ne l’auront pas à l’avenir”.
4
La lingua berbera
Da qui ed in seguito, il termine "lingua" verrà utilizzato
nella seguente accezione: “sistema di suoni articolati distintivi
e significanti, di elementi lessicali, cioè parole e locuzioni
e di forme grammaticali, accettato e usato da una comunità
etnica, politica o culturale come mezzo di comunicazione per l’espressione
e lo scambio di pensieri e sentimenti, con caratteri tali da costituire
un organismo storicamente determinato, con proprie leggi fonetiche,morfologiche
e sintattiche”( Lingua, in Vocabolario della lingua italiana,
II, Treccani, Roma, 1987.). Il termine sarà spesso in rapporto
con il vocabolo “dialetto”: “sistema linguistico
di ambito geografico o culturale limitato in relazione ad un altro
sistema divenuto dominante e riconosciuto come ufficiale” (Dialetto,
in Vocabolario della lingua italiana, II, Treccani, Roma, 1987).Occorre,
però, precisare quanto segue: in ambito strettamente linguistico
non esiste alcuna differenza tra i due termini; le ragioni che fanno
utilizzare le due differenti voci sono unicamente considerazioni extra-linguistiche
che nulla hanno a che vedere con le strutture interne delle lingue.
Come si può notare nelle due precedenti definizioni, viene
sottolineata in entrambi i casi l’e ssenzialità del riconoscimento
e dell’ufficialità dello stesso da parte di comunità
politiche,etniche o culturali.
A partire dal XIX secolo, numerosi studiosi hanno cercato di stabilire
quali potessero essere le parentele della lingua parlata dai berberi.
Fu dimostrato scarso interesse alle corrispondenze formali e si fondarono
le prime classificazioni solo su quelle lessicali.
Comparando liste di parole, si cercò di “provare”
l’affinità d el berbero con le lingue indoeuropee, con
il basco, con l’egiziano antico, con il semitico e anche con
alcune lingue parlate dagli indiani d’America.
Queste ipotesi non hanno alcun valore scientifico, poiché si
basano su similitudini fonetiche e su prestiti linguistici spesso
numerosi e di antica origine nella lingua berbera.
Nel 1838, Champollion, scrivendo la prefazione al “ Dictionnaire
de la langue berbère”di Venture de Paradis, collega tale
lingua all’egiziano antico; altri, più numerosi, insistono
nell’avvicinarlo al gruppo linguistico semitico.
Bisognerà attendere il passo decisivo realizzato grazie agli
studi di Marcel Cohen, che integra il berbero nel vasto insieme di
lingue della famiglia camito-semitica comprendente l’egiziano
antico (e il copto in quanto sua espressione attuale), le lingue semitiche
e il cuscita.
Ciascuno di questi gruppi linguistici presenta caratteri di originalità,
ma possiede anche affinità tali da ricongiungersi alla tesi
di Cohen.
Questi parallelismi non si manifestano in semplici analogie lessicali
ma pervadono la struttura stessa delle lingue in questione; si osservano
principalmente nel sistema verbale, nella coniugazione e nelle radici
delle parole.
L’imparentamento del berbero al gruppo camito-semitico non è
stato accettato facilmente da altri studiosi. Alcuni di loro, ed in
particolare André Basset, lo contesta ancora nel 1952, scrivendo
in tono molto scettico che:“la notion courante du berbère
repose essentiellement sur des arguments négatifs, le berbèbere
ne nous ayant jamais été présenté comme
introduit, la présence, la disparition d’une autre langue
indigène, ne nous ayant jamais été clairement
attestée”. Altri linguisti (Rössler, Mukarovsky)
hanno ripreso, su differenti basi, le antiche ipotesi.
Le argomentazioni presentate non paiono, però, molto convincenti.
Da molto tempo, ormai l’appartenenza del berbero al novero delle
lingue camito-semitiche resta la più plausibile.
Salem Chaker sottolinea un ulteriore aspetto del dibattito: la lingua
araba non è che una branca particolare e recente dell’insieme
delle lingue semitiche. La famiglia semitica è a sua volta
inclusa in una macro famiglia linguistica che si dirama in ulteriori
ramificazioni. Il berbero non appartiene al medesimo ramo dell’arabo
e risulta più antico di esso. Tutto ciò significa che
esiste un rapporto di parentela indiretta e lontana tra le due lingue.
In termini cronologici l’origine comune (per quanto Chaker la
consideri come mai esistita) è di molto antecedente al IV secolo
a.C. (momento in cui la branca egiziana e quella semitica si sono
già costituite in insiemi distinti). Questa datazione, ipotetica
e approssimativa, sembra essere confermata da dati antropologici:
il popolamento attuale del Maghreb, viene collocato indicativamente
intorno all’800 0 a.C., a quest’epoca, i proto -mediterranei
“Capsiani” sostituiscono lentamente le popolazioni anteriori.
Tale lontana parentela tra le due lingue non impedisce che il berbero
sia una realtà linguistica perfettamente autonoma.
5
La ripartizione attuale della lingua berbera in Africa
In assenza di precisi dati statistici sulla diffusione del berbero,
è difficile formulare circa il numero complessivo degli attuali
parlanti.
Secondo alcune stime, essi sarebbero non meno di quindici milioni.
La lingua si presenta suddivisa in una serie di dialetti che a volte
tendono a raggrupparsi in più vaste unità regionali,
ma in qualche caso sono ridotti a parlate di estensione molto limitata.
Volendo semplificare un quadro estremamente frammentato, si possono
rilevare alcuni principali raggruppamenti dialettali:
-tamahaq, dialetto dei Tuareg del Sahara., circa 800.000 parlanti
(tra Libia, Algeria, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria e Ciad).
-tašawit, circa 850.000 parlanti, nel massiccio montuoso dell’Aurès.
-taqbaylit, dialetto cabilo, circa 6-7 milioni, nei monti della Cabilia
e nelle città del Sahel, oltre che ad Algeri.
-tumzabt, circa 100.000 parlanti nello Mzab (Sahara algerino).
-tarifit, dialetto del Rif nel nord del Marocco, circa 1 milione.
- tanaziyt, dialetto dei Berberi del Medio Atlante, circa 4 milioni
di parlanti
-tašlhit, dialetto dei Berberi dell’Alto Atlante, Anti
-Atlante e della regione dell’Oued Sous (Marocco), circa 4 milioni
di parlanti.
- taddugiyah, dialetto della tribù Zenata (Mauritania), tra
i 5000 e i 10.000 parlanti.
In Egitto, Libia, Tunisia e Mauritania la popolazione berberofona
è percentualmente molto bassa e tende, in modo probabilmente
irreversibile, a passare all’utilizzo della lingua araba. In
Algeria, dove parla berbero il trenta percento della popolazione (circa
sei milioni di persone), e in Marocco, dove la percentuale della popolazione
berberofona supera il quaranta percento (circa nove milioni di persone),
la lingua berbera ha una posizione tutt’altro che trascura bile.
Da questa distribuzione si nota come nel corso del processo di arabizzazione
del nord Africa, i gruppi berberofoni siano stati sparpagliati sui
monti e nei deserti. E’, infatti, in zone di questo tipo che
attualmente abita il gruppo linguisticamente meno toccato dagli influssi
dell’arabo: quello dei Tuareg del Sahara. Sono pochi i berberofoni
rimasti sulla fascia costiera: se ad ovest tutta la costa sud del
Marocco che si affaccia sull’Atlantico parla ancora berbero,
ad occidente, sul Mediterraneo, oltre alla Cabila marittima si riscontrano
solo il parlato libico di Zuara e quello tunisino di Jerba.
Cedendo all’influenza dell’arabo, i berberi diventano
spesso bilingui, va comunque tenuto presente che ciò riguarda
principalmente la popolazione maschile: la donna, che spesso non riceve
l’istruzione pubblica obbligatoria, è di solito la conservatrice
dell’eredità linguistica (anche se con l’avvento
dei media e in particolare della televisione, rigidamente arabofona,
tale realtà è soggetta a mutamento).
Nei
paesi colonizzati dalla Francia, la forte e prolungata presenza di
coloni e di un’amministrazione rigorosamente francofona, ha
introdotto, accanto all’arabo, la nuova lingua coloniale. Non
pochi nordafricani, a disagio con l’arabo classico, o perché
di ma drelingua berbera, o perché abituati a parlare dialetti
arabi assai diversi dal modello classico, hanno ripiegato sul francese
come lingua di comunicazione (oltretutto in grado di offrire prospettive
occupazionali nella Francia metropolitana).
Le successive lotte per l’indipendenza dei paesi del Maghreb
sono state condotte all’insegna di un rifiuto della cultura
coloniale europea, contrapponendo ad essa, la tradizione arabo-islamica.
In sintesi, quasi venti milioni di berberofoni vivono disseminati
su un territorio di cinque milioni di chilometri quadrati, che si
estende dai confini tra l’Egitto e la Libia (oasi di Siwa) sino
ad arrivare alle isole Canarie, e dalle coste del Mediterraneo fino
alle rive del fiume Niger.
Tutt’altro che trascurabile è anche il numero di Berberi
emigrati in Europa e in America (soltanto in Francia si calcola vi
siano tra i cinquecento e i settecentocinquantamila berberofoni di
origine algerina e oltre duecentomila di origine marocchina).
Tale frammentazione geografica degli Imazighen non contribuisce andare
omogeneità alle loro comuni rivendicazioni, a discapito del
considerevole peso demografico.
6
La scrittura
Ad eccezione dei Tuareg che utilizzano un alfabeto chiamato tifinay
la cultura berbera è stata fino ad oggi una cultura eminentemente
orale, e la letteratura dei Berberi è consistita soprattutto
in creazioni popolari orali. Nondimeno, fin dall’Antichità
sono stati intrapresi diversi tentativi di codificare la lingua berbera
o alcuni tra i suoi dialetti con l’ausilio di differenti sistemi
grafici.
Alcune iscrizioni molto antiche (la Stele del tempio di Massinissa
risalente al 139 a.C.), reperite in gran numero soprattutto in Tunisia
e in Algeria, ma anche in Libia e Marocco, risalgono a più
di duemila anni fa, e sono state realizzate con un’originale
scrittura consonantica assai simile all’attuale alfabeto dei
Tuareg. Sull’origine di questo alfabeto si conosce ben poco.
E’ stata ipotizzata una derivazione dal coevo fenicio ma, per
quanto questa ipotesi si appoggi alla somiglianza tra le lettere e
sul nome stesso dell’alfabeto, il cui significato è di:
“ (lettere) fenicie”, le differenze tra i due alfabeti
appaiono macroscopiche. Vi è chi ha individuato tale origine
nei geroglifici egiziani o nelle scritture semitiche meridionali,
ma, al di là di una somiglianza nella forma di alcune lettere,
nessun dato certo conforta questa teoria.
L’ipotesi più accreditata, infine, sembra essere quella
che stabilisce la derivazione della scrittura berbera dall’alfabeto
libico.
Come l’alfabeto fenicio e come quello arabo, l’alfabeto
libico è interamente consonantico, diffuso in un’area
molto estesa, si suddivideva in differenti sistemi, alcuni apparentati,
ma sensibilmente difformi:
- il Libico orientale nel quale sono state redatte le iscrizioni ritrovate
in Numidia
- il Libico occidentale esteso nel territorio della Mauritania
- le scritture sahariane antiche, antenate del tifinay odierno, ma
incomprensibili ai Tuareg attuali.
Il tifinay è il sistema di scrittura degli Tuareg attuali,
è consonantico, ma dispone di un segno, per indicare le vocali,
anche se la forma dei caratteri è lontana da essere standardizzata
e in diverse tribù, singole lettere possono mutare il proprio
valore o la propria forma.
La scrittura tuareg è insegnata esclusivamente dalle donne
ai bambini; l’uso dell’alfabeto appare abbastanza diffuso
(da alcune ricerche effettuate nell’Hoggar due persone su tre
sono in grado di utilizzarlo), in genere viene adoperato per la composizione
di lettere, brevi iscrizioni su oggetti oppure i singoli caratteri
assumono la funzione di marchio per indicare il possesso dei capi
di bestiame.
Con la crescente consapevolezza dell’importanza di preservare
la propria lingua e la propria cultura, molti Berberi cercano di far
assurgere il proprio idioma alla dignità di una lingua scritta,
con la conseguenza di un acceso dibattito riguardo al metodo di trascrizione.
Chi, come gli Chleuh del sud del Marocco, già possedeva una
secolare tradizione di testi fissati nello scritto con l’alfabeto
arabo, trova naturale impiegare questo alfabeto (anche se i metodi
codificati di trascrizione non sono realmente conosciuti che da pochi
dotti), mentre tutti coloro che cercano di trascrivere il berbero
con i caratteri arabi, si ispirano, di fatto, alle pratiche di scrittura
dell’arabo che vengono insegnate nelle scuole e non alla tradizione
plurisecolare. Il risultato è una grafia spesso improvvisata,
poco coerente. Chi invece come i Cabili, o i Berberi del centro del
Marocco non aveva una tradizione consolidata, ha preferito rivolgersi
all’alfabeto latino, cui avevano fatto ricorso nei loro studi
linguistici i berberisti europei.
I Tuareg, pur possedendo una scrittura propria, hanno realizzato la
poca facilità di impiego di una grafia così priva di
vocali, ed hanno tentato di “migliorarla” aggiungendovi
delle vocali, o si sono rivolti alla trascrizione in caratteri latini,
la quale è stata proposta in Niger e in Mali per armonizzare
la grafia con quella delle altre numerose lingue parlate nel resto
del paese.
Gli sforzi dei Tuareg per arricchire la propria scrittura non vanno
confusi con quelli dell’ “Académie berbère”,
operante a Parigi, per unificarla, standardizzarla e renderla adatta
a trascrivere i suoni dei dialetti berberi del nord. La scrittura
risultante è stata nominata Neo-tifinagh, ed oggi ne esistono
numerose varietà, in seguito ai diversi tentativi fatti da
svariati enti e singole personalità allo scopo di creare una
scrittura adeguata, a volte anche con procedimenti discutibili (ad
esempio si è cercato di “mediare” tra forme differenti
di uno stesso grafema creando lettere non esistenti in nessun dialetto).
Questa molteplicità di alfabeti “ neo - tifinagh”
oggi esistenti è di per sé un ulteriore dato di fatto
che rende problematica l’adozione generalizzata di questa grafia
. La forte spinta a adottarla sembra più che altro legata a
fattori ideologici quali la riscoperta della “propria ”
scrittura e il tentativo di mediare tra i fautori della grafia a base
latina , percepita come “ colonialista”, e quella a base
araba sentita come “islamista”. Negli ultimi anni, poi,
diverse iniziative sono sorte allo scopo di creare punti di riferimento
per una standardizzazione della grafia (un colloquio a Ghardaia nel
1991, alcuni colloqui e ateliers a Parigi nel 1993, 1996, 1998, ad
Utrecht, a Tizi Ouzou), ed oramai può dirsi affermata una trascrizione
a caratteri “greco -latini” comprendente, oltre a simboli
dell’alfabeto latino anche un paio di lettere greche.
7
L’organizzazione politica
Si farà menzione di alcuni istituti caratterizzanti la struttura
dei villaggi berberi, indirizzando ad altra sede, l’analisi
del diritto consuetudinario.
All’i nterno delle tribù berbere il primo elemento associativo
è rappresentato dal nucleo familiare composto da padre, madre
e figli, oltre a tutti gli ascendenti o discendenti. Alla base della
struttura si ritrova l’ ikhs (kharouba, in Cabilia), ovvero
il ceppo, le souche ancestrale 36 ovvero la famiglia estesa a un limitato
numero di generazioni (paragonabile alla gens romana). Un gruppo di
frazioni familiari costituisce la tribù (taqbilt). Le tribù
si raggruppano talvolta in confederazioni, tra le quali, però,
non sussiste una coordinazione organica. Il legame di sangue è
l’elemento che unisce i diversi gruppi, per quanto sia ammessa,
sotto diverse forme, la naturalizzazione dello straniero.
Caratteristica delle popolazioni berbere è la divisione tradizionale
tra due grandi gruppi antagonisti: due sistemi di alleanze politica
ed economica (çoffs: filo). L’appartenenza all’istituto
è determinata dal legame familiare e non dall’adesione
individuale e volontaria. La fedeltà al çoff è
elemento essenziale. Bousquet, nella sua analisi ne definisce la struttura
come vagamente assimilabili a quella di una “ligue”. Tali
raggruppamenti possono essere chiamati in causa in ogni occasione
sia sul piano collettivo che su quello individuale. I çoffs
possono comprendere tra le loro componenti sia differenti tribù
(o confederazioni di tribù) o gli ikhs. I diversi tipi di çoffs
si compenetrano strettamente, ognuno, dal punto di vista della sua
composizione mantiene un carattere misto. In particolare, in Cabilia:
“Un çoff kabyle n’es t autre chose qu’une
association d’assistance mutuelle dans la défense et
dans l’attaque pour toutes les èventualités de
la vie” 38 . Quando il çoff cessa di offrire appoggio
efficace, è lecito, per i suoi appartenenti aderire ad un altro.
Ogni villaggio, in linea generale prevede la presenza di due çoffs,
raramente paritari per numero di appartenenti e mezzi d’azione.
Il çoffs più debole, in genere ricerca alleanza con
altri çoffs dei villaggi limitrofi. Questa ulteriore associazione
non avviene tra tutte le tribù indistintamente, ma con il tempo
si sono formati dei gruppi di tribù che si prestano mutuo soccorso.
I fondi necessari ai bisogni del çoff sono forniti da tassazioni
volontarie, i capi del çoffs rivestono un ruolo importate all’interno
del villaggio, essi non dirigono a loro discrezione le attività
del çoffs, ma detengono un’influenza considerabile e
possono disporre di poteri
significativi. Le occupazioni di chi è investito della fiducia
del çoff sono varie (l’ascolto delle doglianze, il controllo
de l çoffs avversario, il mantenimento dell’armonia all’interno
del proprio çoff).
L’istituto intorno al quale ruota la vita politica del villaggio
è la djemmâa (il termine subisce differenti mutamenti
fonetici a seconda delle zone di appartenenza geografica), ovvero
l’assemblea generale dei cittadini. Ogni uomo che raggiunge
la maggiore età ne fa parte.
L’assemblea si riunisce una volta a settimana, salvo che non
sorga la necessità di una seduta straordinaria. Tutti i cittadini
sono tenuti ad assistere alle riunioni, coloro che si astengono senza
una motivazione valida o senza permesso sono soggetti al pagamento
di un’ammenda.
Le sedute si svolgono all’aperto, tutti i partecipanti sono
seduti per terra e ogni oratore interviene dal proprio posto senza
alzarsi. Le riunioni, in genere, sono molto lunghe. Le decisioni,
non vengono prese con la maggioranza dei voti, e per le questioni
di rilevante importanza, è necessaria l’unanimità.
L’opinione della minoranza, per quanto debole, è comunque
presa in considerazione. Se non viene raggiunto un accordo la discussione
viene aggiornata e ripresa a distanza di tempo. Nei casi in cui è
necessaria una soluzione in breve tempo, vengono convocati i notables
della tribù: essi formano, assistiti da due marabutti, un tribunale
o un consiglio davanti al quale vengono presentate le opinioni contrastanti
e che si pronuncia senza possibilità d’appello. A volte,
la decisione può essere deferita alla djemmâa di un altro
villaggio.
Con il termine âk’al (titolo che viene esclusivamente
conferito dall’opinione pubblica), si indicano gli uomini del
villaggio reputati saggi, gli anziani e i capi famiglia. Essi sono
i membri di un’assemblea ristretta che esamina ogni questione
prima di sottoporla alla discussione pubblica. Quando, di comune accordo,
essa stabilisce su una questione, l’approvazione della sua decisione
da parte dell’assemblea generale diventa una semplice formalità.
I poteri della djemmâa si estendono a tutto ciò che concerne
il villaggio. Essa emette nuovi regolamenti, quando lo giudica conveniente,
abroga o modifica quelli obsoleti, decide la pace o la guerra, vota
le imposte, ne fissa le quote, il modo di ripartizione e gli impieghi,
amministra direttamente i beni comuni. L’assemblea esercita
il potere giudiziario.
Tribunale “criminel, correctionnel et de simple police”
conosce crimini, delitti e contravvenzioni, applica la pena di morte
e punisce con ammenda le infrazioni ai regolamenti. Chiamata ad occuparsi
delle questioni civili, decide essa stessa, o delega i suoi poteri
a giudici-arbitri, ma in ogni caso rimane competente per l’esecuzione.
Non viene redatto alcun documento riportante le deliberazioni dell’assemblea,
l’uso dei registri è sconosciuto, solo in rari casi,
quando le decisioni offrono un interesse maggiore, vengono registrate
per iscritto; tali atti, redatti laconicamente si limitano menzionare
l’oggetto della decisione e i nomi delle parti. Spesso è
il marabutto del villaggio a compiere la funzione di segreteria.