IRAN, QUANDO BANI SADR NON GIUNSE IN SICILIA
Intervista di Diego Romeo

 

L’on. Agostino Spataro ricevuto dall’ex presidente iraniano Bani Sadr nella sua villa di Versailles

 
Eravamo andati a Joppolo Giancaxio a trovare Agostino Spataro dopo” l’11 settembre” e durante la crisi del Golfo. Adesso che tanto si discute di Iran e di Medio Oriente siamo ritornati nel piccolo paese nella” Provincia dell’Impero” dove Agostino Spataro, già deputato del PCI e membro della Commissione Esteri della Camera, è sempre disponibile a conversare, a dare lucide anticipazioni e interpretazioni sugli avvenimenti che si verificano in quello scacchiere..
Una sorta di Cincinnato, tuttavia attivissimo come direttore di “Informazioni on line dal Mediterraneo” (www.infomedi.it), editorialista del quotidiano “la Repubblica” e scrittore di libri che narrano puntualmente l’evolversi di quella parte di mondo che rischia di condizionarci seriamente.
Troviamo l’on. Spataro molto contrariato per quanto sta accadendo in Iran. Contesta gli attuali detentori del potere e i loro predecessori, il regime nel suo complesso. Ricorda che nel 1979, agli inizi della “rivoluzione” khomeinista, manifestò, con un articolo in controtendenza rispetto alla posizione del PCI, la sua personale avversione a quel regime teocratico e intollerante che tra l’81 e l’89 provocò decine di migliaia di assassini di avversari politici.
“La gran parte di tali crimini- rivela Spataro- si verificarono durante il lungo governo del signor Hosein Mir Musawi, lo stesso che, oggi, la stampa e i dirigenti occidentali presentano come vittima dei brogli elettorali e campione della liberà e della democrazia.”

-- Questa è una notizia non molto rimarcata dalla stampa occidentale. Se queste sono le premesse su quali basi si potranno costruire nuovi rapporti?
--Sulle vicende elettorali iraniane si è detto e scritto tanto, ma non l’essenziale. In quel Paese- cerniera del Medio oriente non è in gioco soltanto la presidenza della repubblica islamica, ma ben altro: dalla difficile partita sul nucleare (militare?) iraniano al controllo delle grandi risorse d’idrocarburi, dalla “stabilizzazione” della situazione interna libanese ed irachena agli esiti della guerra afghana in cui sono impantanati vari contingenti della Nato.
L’obiettivo è quello di rimuovere l’attuale leadership iraniana considerata d’intralcio o addirittura un serio pericolo, soprattutto dai governanti israeliani.
In un modo o nell’altro. O con una nuova guerra (soluzione Bush condivisa da Israele che da anni è pronto a sferrare l’attacco) o con un capovolgimento elettorale (soluzione Obama) visto che l’Iran, nonostante tutto, è uno dei rarissimi paesi islamici in cui si vota.
Ovviamente, i conservatori al potere hanno capito l’antifona e si saranno attrezzati per respingere l’attacco anche sul terreno elettorale, ricorrendo anche a brogli. Come fan tutti.
Chi nel mondo, anche negli Usa, in Italia, può proclamarsi esente da questo riprovevole vizietto?
E difatti, al G8 de l’Aquila gli “otto grandi” si sono limitati ad esprimere nei confronti del regime degli ayatollah soltanto una “riprovazione” molto di routine.
Tutto ciò mentre a Teheran continuano le manifestazioni per chiedere l’annullamento delle elezioni.

--Tra elezioni andate in malora e rischio di guerra quale può essere l’alternativa?
--L’approccio elettorale è certamente preferibile ad una nuova, disastrosa guerra. Tuttavia, gli strateghi occidentali forse dovevano puntare su un cavallo di una razza diversa di quella dei chierici islamisti.
Invece, hanno puntato su Musawi che a questa categoria appartiene, nascondendo il suo truce passato e presentandolo come “uomo nuovo” e simbolo di tolleranza democratica.
La solita manfrina politica, ipocrita e di corto respiro, che, grazie ad una copertura mediatica eccezionale e a tratti servile, è in qualche misura passata nell’opinione pubblica internazionale. Soprattutto fra i giovani che sconoscono la storia dell’Iran khomeinista e dei suoi principali esponenti come Musawi.
Effettivamente, chi non conosce il suo imbarazzante curriculum può anche solidarizzare con questo professore, dall’aria mite, che lascia l’accademia per candidarsi a presidente riformista, su input dello “squalo” Rafsanjani potentissimo uomo di potere e vero burattinaio della politica iraniana.
Ma basta sfogliare qualche libro di storia o semplicemente andare su Wikipedia per scoprire che questo candidato, presentato come un uomo nuovo, appartato che sembra disceso dal cielo delle beatitudini della sapienza e della tolleranza, tanto nuovo non è..

--Insomma tolto Ahmadinejad ci si aspetta di peggio…
--Chi un po’ conosce la situazione iraniana, non si spiega come mai l’Occidente abbia scelto di appoggiare la candidatura di Musawi per togliere di mezzo Ahmadinejad.
Forse perché sperava in una nuova “rivoluzione arancione” (leggi manifestanti prezzolati mandati in giro per il mondo a contestare risultati elettorali non graditi) oppure non è stata individuata una personalità davvero riformista e con un passato pulito.
Il sostegno ampio (e omertoso) delle grandi potenze occidentali a Musawi dice che in Iran non s’intravvedono forze e personalità, sinceramente democratiche capaci di portare avanti, col consenso popolare, una vera riforma dello Stato e degli assetti di potere.
Questo- a me pare- il vero dramma dell’Iran attuale.

--Oltre Ahmadinejad e Musawi ci può essere un ruolo per Bani Sadr?
--Fino a qualche anno addietro, molti iraniani hanno sperato in un ritorno sulla scena politica di Bani Sadr, il primo presidente della repubblica islamica, e da quasi 30 anni in esilio in Francia per sfuggire alle persecuzioni degli anni ’80.
Anche diverse forze politiche progressiste europee vedevano di buon occhio il ritorno di Bani Sadr, ma non trovarono il coraggio di dirlo apertamente. Di mezzo c’erano molti buoni contratti con l’Iran degli ayatollah.
Bani Sadr, uno dei più stretti collaboratori dell’imam Khomeini, eletto a furor di popolo, tentò di avviare un processo unitario di costruzione del nuovo Stato con tutte le forze, anche della sinistra, che avevano combattuto la dittatura dei Palhavi e partecipato alla vittoriosa “rivoluzione” del 1979.
Inaspettatamente, giunse la caduta, la condanna (a morte) del regime che Bani Sadr riuscì ad evitare fuggendo fortunosamente in Francia. Oggi è ancora lì, esiliato in una villa nei paraggi di Versailles, dove sconta la condanna più amara per un uomo che ama intensamente il suo paese, la sua gente.

--In quegli anni lei ancora rivestiva importanti incarichi nel partito, può dirci se ci furono tentativi per rimetterlo in gioco?
--Si qualche approccio è stato esperito. Ricordo che, nel giugno del 1999, andai a incontrare Bani Sadr proprio in quella villa di Versailles.
Da tempo in Italia si parlava, specie negli ambienti dell’opposizione iraniana all’estero, della possibilità di un contatto fra il primo presidente della repubblica iraniana ed esponenti italiani politici e di governo. Per altro, in quel periodo in Italia c’era un governo di centro- sinistra (Prodi, D’Alema) che aveva aperto un canale importante di comunicazione e di collaborazione con l’Iran del presidente “riformista” Khatami.
Nessuno pensava che il governo italiano dovesse interrompere tali contatti , tutt’altro. Anche se si sapeva che Khatami non avrebbe potuto, o voluto, oltrepassare certi limiti imposti dagli ayatollah. Solo si sperava che, nel quadro del nuovo clima politico iraniano e delle aperture dell’Europa, in particolare dell’Italia, si potesse favorire, nelle forme e nei tempi possibili, una sorta di rappacificazione nazionale e quindi consentire a Bani Sadr e agli altri esuli dispersi per il mondo di rientrare. Era troppo, era poco? A me sembrò semplicemente giusto.

--D’accordo sul giusto ma tolti gli omissis cosa fu fatto in concreto?
--Discutemmo su una iniziativa che potesse, in qualche modo, avviare un primo contatto.
L’idea era quella d’invitare Bani Sadr in Italia per presentare il mio libro “Fondamentalismo islamico- L’Islam politico” uscito mesi prima.
Ovviamente, la presentazione del libro era anche lo spunto per farlo venire in Italia. Una volta giuntovi, avremmo cercato di combinare qualche incontro con esponenti politici ed anche di governo, nelle forme possibili. Nel passato, avevamo organizzato incontri di questo tipo, anche al di fuori dell’ufficialità, con rappresentanti di movimenti di liberazione.
La richiesta degli amici dell’opposizione (ch’erano in contatto diretto con Bani Sadr) era quella di far patrocinare la conferenza di presentazione del libro da un’autorità istituzionale di un certo rilievo che, in qualche modo, potesse dare un crisma di ufficialità alla presenza di Bani Sadr.
Visto che pareva difficile ottenere la disponibilità del governo o di istituzioni centrali, si pensò di chiedere il patrocinio al presidente della regione siciliana che all’epoca era l’on. Capodicasa il quale si mostrò disponibile a patrocinare l’iniziativa e ad invitare in Sicilia l’ex presidente Bani Sadr.
Insomma, un giro piuttosto largo per raggiungere Roma.

--Quindi il partito fu sufficientemente informato dell’escamotage che si preparava…
--Non solo, ma forti dell’adesione del Presidente della regione, avviammo i preparativi del mio viaggio a Parigi. Però, prima di partire, informai la segreteria del PDS e la sezione esteri (con la quale collaboravo) ed anche lo staff del presidente del Consiglio, on. D’Alema, a palazzo Chigi.
Per averne un assenso anche di massima e, eventualmente, qualche consiglio.
Per prima mi recai alle Botteghe Oscure dove incontrai l’on. Nicola Zingaretti (attuale presidente della provincia di Roma) della sezione esteri del Pds il quale, pur con tutte le cautele del caso, non sconsigliò il viaggio a Parigi. D’altra parte, ufficialmente, l’iniziativa non era promossa dal partito, ma dal Centro studi mediterranei di Agrigento.
Zingaretti mi suggerì d’informare qualcuno dello staff di D’Alema. Ne parlai con l’on. Roberto Quillo il quale ascoltò senza prendere impegni. Mi disse che prima bisognava acquisire la disponibilità di Bani Sadr e dopo avremmo parlato degli aspetti connessi ad un’eventuale azione del governo.

--Insomma atmosfera da 007.cautele diplomatiche e qualche incertezza di troppo che non lascia presagire nulla di buono…
--Si, arrivo al dunque. L’incontro era stato fissato (dall’Italia) per il 2 giugno, alle ore 17,00 nella villa blindata di Bani Sadr (Versailles, rue du General Pershing, 5). Purtroppo, quel giorno uno sciopero dei taxisti paralizzò Parigi e fummo costretti a rinviare l’appuntamento all’indomani, alla stessa ora.
Superati i diversi controlli, gli uomini della vigilanza m’introdussero in un salone molto sobrio dove m’attendeva il presidente, col suo sorriso triste.
Tralascio i convenevoli e le impressioni sul personaggio per andare al tema. Bani Sadr si dichiarò disponibile ad accettare l’invito dell’on. Capodicasa e di partecipare alla conferenza di presentazione del mio libro da tenersi a Palermo dove sarebbe stato ricevuto, con tutti gli onori del protocollo, dal presidente della regione e da altre autorità regionali e comunali.
L’informai anche dei colloqui avuti con Zingaretti e Quillo e della possibilità di avere a Roma qualche contatto, anche ufficiale, con rappresentanti di partiti e dello stesso governo D’Alema.

--Però Bani Sadr è ancora esiliato a Parigi. Che cosa gli impedì di venire in Sicilia?
Al ritorno in Italia informai i miei interlocutori degli esiti dell’incontro con Bani Sadr ed anche, in separata sede, con Babac Amir Kosravi, portavoce del Partito democratico del popolo iraniano.
Sollecitai una risposta anche perché si dovevano avviare i preparativi visto che si pensava di tenere la conferenza ad ottobre.
Anche gli amici dell’opposizione iraniana sollecitarono più volte i nostri interlocutori istituzionali e politici. Ma, inspiegabilmente, non ci fu data alcuna risposta. Era chiaro, anche se non detto, che l’iniziativa non doveva o non poteva più farsi. Non mi restò che telefonare al presidente Bani Sadr per ringraziarlo della cortese disponibilità, pregandolo di scusarmi per “l’inconveniente”.

 

Intervista di Diego Romeo

* pubblicata in “Grandangolo” del 18 luglio 2009


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