ARMI CHIMICHE
Attenzione all'etichetta!
di
Agostino SPATARO *
Vedrete
che gli eserciti liberatori troveranno un po’ delle famigerate
armi chimiche di Saddam che gli ispettori del “rinnegato”
Blix non sono riusciti a scovare. Devono trovarle! Poiché il
loro ritrovamento darà una tinta di legittimità alla
guerra unilaterale e aiuterà a far dimenticare il vulnus Usa
e inglese di uno dei principi-chiave della legalità internazionale,
che rischia di affossare la residua credibilità delle Nazioni
Unite.
Il giovane Bush non si accontenta della “vittoria” sul
piano militare, della testa di Saddam, vuole il trionfo politico e
diplomatico, perciò necessita di qualche bidone di letali componenti
chimici per dimostrare al mondo che aveva ragione a muovere guerra,
anche senza l’autorizzazione dell’Onu. Altri hanno sbagliato,
in buona o in mala fede, perché hanno troppo indugiato, confidando
nel perfido tatticismo del dittatore iracheno.
Insomma, oltre al controllo sull’Iraq e soprattutto sul petrolio,
il presidente Usa ambisce a realizzare un vero capolavoro dell’arte
della guerra intesa- diceva quel Tale- quale continuazione e perfezionamento
della politica.
Come si conviene ad un vincitore assoluto, vedrete che Bush si mostrerà
perfino magnanimo con quelli che non lo hanno seguito in quest' avventura:
egli cercherà di chiarire gli “equivoci”, di smussare
gli angoli, di dare assicurazioni sul rispetto dei contratti sottoscritti
da Saddam, mentre lascerà ad intendere che la ricostruzione
dell’Iraq, fermo restando il ruolo primario delle potenze vincitrici,
può diventare un affare per molti.
Gli strateghi di Washington vorranno anche, recuperare, dopo averlo
mortificato, il ruolo dell’Onu che sarà chiamato a ratificare
il fatto compiuto e ad organizzare gli aiuti umanitari. Siamo alle
solite: prima si bombarda senza alcun freno, provocando morte e distruzioni,
miseria ed esodi biblici, poi si lascia all’Onu e all’
Unione europea l’onere di saldare gran parte della fattura dei
danni provocati e il compito di accogliere milioni di profughi che
la guerra ha sradicato.
Sì, le troveranno le armi di distruzione di massa, ma al momento
opportuno. Lo ricordo per i tanti, impazienti direttori di giornali
e conduttori di programmi Rai che, ai primi bidoni avvistati, hanno
esultato per l’avvenuta scoperta, senza attendere uno straccio
di riscontro. Peccato che in quei bidoni ci fosse soltanto insetticida.
Pazienza, dunque. E, soprattutto, si raccomanda di fare attenzione
all’etichetta appiccicata sulle eventuali armi e/o contenitori
ritrovati.
Prima di mostrarle al pubblico, bisognerà ripulirli da imbarazzanti
scritte dalle quali si potrà risalire ai fornitori dei componenti
e delle tecnologie più sofisticate.
Com’è noto, i pezzi più “pregiati”
dell’arsenale chimico del dittatore iracheno, almeno fino ai
tempi dell’invasione del Kuwait, parlano le lingue di tutti
i Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ Onu
e dei loro alleati e amici europei dell’est e dell’ovest,
fra i quali sicuramente l’Italia..
Non sappiamo se, negli ultimi 10-15 anni, Saddam abbia rimpinguato
il suo potenziale chimico con altri acquisti e/o con nuove produzioni,
tuttavia fino ai primi anni ’90, il suo arsenale era ben dotato
e costituiva un lugubre campionario di morte nel quale erano rappresentate
società fornitrici dell’ex URSS e della gran parte dei
Paesi occidentali: Usa, Francia,Gran Bretagna, Germania, Spagna, Italia,
Svizzera, Belgio, Austria, ecc.
A dimostrazione di quest' asserzione, mi sia consentita un’autocitazione,
tratta da un mio libro del 1991 “ I Paesi del Golfo ”
(1) nel quale (al capitolo”L’arsenale chimico di Saddam
Hussein”) fra l’altro scrivo:
“Già nel 1983 un rapporto della Cia assicurava che un
gruppo di Paesi quali Siria, Israele, Iraq, Libia, Etiopia, Cina,
Taiwan, ecc erano in grado di produrre ed utilizzare l’arma
chimica.
(fonte: CIA, rapporto SNIE n. 11-17-83 del 15/9/1983)
L’Iraq è stato certamente fra i primi del “nuovo
club” a produrre e a sperimentare la bomba chimica sulla pelle
degli iraniani e delle popolazioni del Kurdistan iracheno. E’
accertato, infatti, che ripetutamente nel corso del 1984 l’Iraq
ha fatto uso di gas “mustard” e “tabun” contro
le truppe iraniane, provocando migliaia di vittime anche fra la popolazione
civile.
Le proteste iraniane giunsero all’Onu e il Segretario generale
del tempo promosse un’ inchiesta e”sulla base delle prove
accumulate l’Iraq, nonostante che esso sostenga il contrario,
risulta un criminale internazionale, in quanto ha violato il Protocollo
di Ginevra del 1925.
Ma gli opportunismi politici, connessi alla guerra del Golfo, hanno
protetto l’Iraq da una condanna formale e da sanzioni. (fonte:
Rapporto Sipri 1985)
“Gli Usa riallacciarono i rapporti diplomatici con un Paese
accusato dal Segretario generale dell’Onu, e con prove schiaccianti,
di aver fatto uso di gas letali, che per giunta si rifiutava di firmare
una dichiarazione per il non uso e che- come si sapeva- da qualificate
fonti americane (“Washington Post”del 3/11/1984)- aveva
abbondantemente rimpiazzato le scorte chimiche esaurite a seguito
dei ripetuti attacchi contro le forze armate e i villaggi iraniani.
Ma allora a Saddam tutto era consentito e anche la più brutale
nefandezza non faceva scandalo…
Ci si può immaginare quali effetti potrebbe provocare l’uso
dell’enorme arsenale chimico che l’Iraq ha accumulato
negli anni e che si ritiene ammonti a centinaia di tonnellate di micidiali
agenti chimici del tipo Sarin, Tabun, Somam, Naplan, ecc.
Ad arricchire tale arsenale vi sono poi i cosiddetti “agenti
binari” composti di due sostanze, gas e liquidi, di per sé
innocue e che comportano quindi minimi rischi in fase di produzione,
conservazione e trasporto…Per lanciare le ogive chimiche, Saddam
dispone di caccia ed elicotteri, nonché di razzi tattici BM21
e missili di fabbricazione sovietica tipo FROG …e del tipo SCUD…
(fonte: Francesco Manozzi, in “IPD” n. 5 del 1990).
“Ma chi ha aiutato l’Iraq a fabbricare queste armi micidiali
e ad accumulare questo spaventoso arsenale?
Stando ad un rapporto riservato redatto dalla Mednews di Parigi (2)…sono
207 le società appartenenti a 21 Paesi, in gran parte occidentali,
che hanno commerciato con le autorità irachene…Apre la
lista la Germania Federale (con 86 società), seguita da Usa
(18), Gran Bretagna (18), Austria ( 17), Francia ( 16), Italia (12),
Svizzera (11), Belgio (8), Spagna (4), ecc.
Le società italiane chiamate in causa dal citato rapporto sono:“Technipetrole”,
fabbriche di gas nervino; “Saia BPD”, carburanti per razzi;
“Euromac”, detonatori Krytron; “Saia Techint”,
cellule per Thuwaitha; “BNL”, finanziamenti ( ricordate
lo scandalo della Bnl di Atlanta, Usa?-n.d.r.); “Danieli”,
laminatoi; “Ilva”, materiali per ferriere; “Società
Fucine”, pezzi per supercannone; “IRI”, proprietario
società Fucine; “Audiset”, elementi gas Sarin per
Montedison; “Montedison”, elementi Sarin per Melchemie;
“Snia Techint”, laboratori armi chimiche per Saad 16…”
Queste ed altre notizie, pubblicate in riviste e libri specializzati,
non sono state mai contestate dai governi né dalle singole
imprese fornitrici e sono la più clamorosa conferma delle responsabilità
che portano quasi tutti i Paesi che oggi indicano Saddam come il nemico
pubblico numero uno.
Naturalmente, la questione delle armi chimiche e batteriologiche non
riguarda soltanto l’Iraq, ma oltre cento Paesi, grandi e piccoli,
ricchi e poveri, che hanno dichiarato di esserne in possesso e una
trentina che non l’hanno dichiarato, ma sono fortemente indiziati
di possederle.
Siamo, dunque, in presenza di un problema enorme, planetario tanto
da indurre le Nazioni Unite a tenere, nel 1997, una Conferenza internazionale
per la non proliferazione e per il disarmo chimico e batteriologico.
Per liberare l’umanità da questa minaccia apocalittica
(senza dimenticare gli arsenali nucleari), la via più praticabile
è quella intrapresa dall’Onu, lungo la quale bisogna
andare avanti, senza guardare in faccia a nessuno.
A volerlo, è già in programma una importante occasione
di confronto su questo temo: a Ginevra, ai primi di maggio 2003, si
svolgerà una conferenza mondiale per esaminare l’andamento
di questa prima fase di applicazione del Trattato di non proliferazione.
Note:
(1) Agostino Spataro- “I Paesi del Golfo”, Edizioni Associate,
Roma, 1991;
(2) Pierre Salinger / Eric Laurent in “Guerra del Golfo”,
Edizioni Mursia, 1991.
Articoli precedenti:
“Le vere ragioni della guerra di Bush” (anche in spagnolo)
“Petrolio: il sangue della guerra”
“Verso un impero americano?”
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